Femminicidio, perchè no?

Barbara Mapelli

 

Ho letto l’articolo di Isabella Bossi Fedrigotti sul Corriere della Sera del 30 aprile a proposito delle continue uccisioni di donne da parte dei loro mariti, compagni fidanzati ed ex (Non chiamatelo più ‘femminicidio’) e la mia immediata sensazione, netta e sgradevole, è stata quella di una riflessione pretestuosa, di cui mi sfugge la motivazione, certamente non chiarita nello scritto della giornalista.
Non vogliamo chiamarlo ‘femminicidio’ perché ci urta essere chiamate femmine? A me non urta comunque chiamiamolo pure in un altro modo, ‘donnicidio’, ad esempio, ma per favore teniamo distinti questi delitti dalle altre e diverse uccisioni.
Nel caso di questi assassinii, di donne intendo, le motivazioni, i percorsi mentali e le emozioni di chi arriva al gesto estremo, la disperazione dello stesso uccisore, che spesso si suicida o tenta comunque il suicidio, tutto questo appartiene a una particolare, delicatissima problematica culturale e sociale, per la quale appare necessaria un’attenzione distinta e una pratica di interventi, soprattutto preventivi, che ha alla base un ragionare e un sentire particolarmente complessi, che appartengono alle difficoltà che le nuove relazioni tra i sessi, nel tempo della contemporaneità, pongono e a cui riflessioni sui termini non offrono alcuna risposta, deformano anzi le stesse domande.

Credo si debba – sono una pedagogista e mi concentro quindi soprattuto sui temi educativi, che in ogni caso sono prioritari –  che gli uomini si‘formino’, si preparino culturalmente ed emotivamente alle nuove libertà femminili. Occorre avviare una particolare attenzione, fin dai primissimi anni di scuola e nelle famiglie o attraverso le altre agenzie formative, alle crescite dei giovani maschi, al compito, arduo, di comprendere una mutamento femminile cui deve (dovrebbe) corrispondere un cambiamento maschile.
Educare quindi, direi fin dalla scuola dell’infanzia e dalla scuola primaria, femmine e maschi, alla novità che le donne ‘nuove’ impersonano, ma anche agli stereotipi tradizionali, e spesso violenti nel caso dei maschi, che infestano immagini, modelli, giochi, forme (dis)educative spesso inconsapevoli.
Ma le culture di genere, una preparazione a queste problematiche per chi insegna, sono largamente assenti dalle nostre scuole, che, non criticandolo, leggittimano l’esistente.
Non ci sono, o sono molto pochi, gli strumenti didattici per intervenire, le pratiche pedagogiche che ‘insegnino’a divenire donne e uomini nel contemporaneo, a instaurare rapporti più armonici, rispettosi del cambiamento tra i due sessi. E, inoltre, gli uomini che insegnano, soprattutto nei primi ordini di scuola, i più delicati e fondamentali per la crescita, sono pochissimi, anzi così pochi che quella maschile può essere segnalata più come un’assenza che una presenza minoritaria. Vengono a mancare, così, soprattutto per i piccoli maschi, modelli positivi del loro genere, che vivano accanto a loro, se ne prendano cura. Per tutti e tutte sono le donne le presenze quasi esclusive e così avviamo le generazioni più giovani a una crescita in cui vengono precocemente confermati gli stereotipi sessuali più tradizionali e non si pone argine, non si creano coscienze critiche rispetto a dei modelli, in questo caso di maschilità, che spesso sono radici di violenza, di spirito conquistatore e guerresco, anche nelle forme che possono apparire, a un’occhiata superficiale, le più innocue.

E’ questo un problema grande, cui si presta poca o nulla attenzione, e che vorrei invece apartenesse, divenisse attenzione comune. Non ho ora lo spazio per suggerimenti specifici o meglio riferimenti a ciò che già esiste e si potrebbe praticare più diffusamente nelle sedi educative, vorrei per il momento che si mobilitasse una maggiore attenzione, che non si sciupassero intelligenze in questioni terminologiche che puntualizzano cio che non è necessario puntualizzare.
C’è molto lavoro da fare, anche da parte di chi ha la fortuna o il privilegio di essere molto letta o letto perché scrive su una grande giofrnale. Mi permetto allora di richiamare la sensibilità di donne e uomini consapevoli della grande partita, essenziale per il presente e il futuro, che ora si sta giocando e per la quale occorrono pensiero, pratiche, comunicazioni adeguate, considerando che il compito di tutte e tutti, ovunque siano, soprattutto è quello di prevenire, educandosi, innanzitutto, ed educando.

2-05-2012

 

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