Diotima,
Arete, Nicarete, Ipazia, Astasia, Teodora, Leonzia, Caterina da Siena...
Le donne dimenticate dai filosofi, magari dopo essersi appropriati
delle loro idee, sono tante.
FILOSOFARE
AL FEMMINILE
di Umberto Eco
Caterina
da Siena
La
vecchia affermazione filosofica per cui l'uomo è capace di pensare
l'infinito mentre la donna dà senso al finito, può essere
letta in tanti modi: per esempio che siccome l'uomo non sa fare i bambini,
si consola coi paradossi di Zenone. Ma sulla base di affermazioni
del genere si è diffusa l'idea che la storia (almeno sino al
Ventesimo secolo) ci abbia fatto conoscere grandi poetesse e narratrici
grandissime, e scienziate in varie discipline, ma non donne filosofe
e donne matematiche.
Su distorsioni del genere si è fondata a lungo la persuasione
che le donne non fossero portate alla pittura, tranne le solite Rosalba
Carriera o Artemisia Gentileschi. È naturale che,
sino a che la pittura era affresco di chiese, montare su un'impalcatura
con la gonna non era cosa decente, né era mestiere da donna dirigere
una bottega con 30 apprendisti, ma appena si è potuta fare pittura
da cavalletto le donne pittrici sono spuntate fuori. Un poco come dire
che gli ebrei sono stati grandi in tante arti ma non nella pittura,
sino a che non si è fatto vivo Chagall.
È vero che la loro cultura era eminentemente auditiva e non visiva,
e che la divinità non doveva essere rappresentata per immagini,
ma c'è una produzione visiva di indubbio interesse in molti manoscritti
ebraici. Il problema è che era difficile, nei secoli in cui le
arti figurative erano nelle mani della Chiesa, che un ebreo fosse incoraggiato
a dipingere madonne e crocifissioni, e sarebbe come stupirsi che nessun
ebreo sia diventato papa.
Le cronache dell'Università di Bologna citano professoresse
come Bettisia Gozzadini e Novella d'Andrea, così bella
che doveva tenere lezione dietro un velo per non turbare gli studenti,
ma non insegnavano filosofia. Nei manuali di filosofia non incontriamo
donne che insegnassero dialettica o teologia. Eloisa, brillantissima
e infelice studente di Abelardo, aveva dovuto accontentarsi di divenire
badessa.
Ma il problema delle badesse non è da prendere sottogamba, e
vi ha dedicato molte pagine una donna-filosofo dei nostri tempi come
Maria Teresa Fumagalli. Una badessa era un'autorità spirituale,
organizzativa e politica e svolgeva funzioni intellettuali importanti
nella società medievale. Un buon manuale di filosofia deve annoverare
tra i protagonisti della storia del pensiero grandi mistiche come Caterina
da Siena, per non dire di Ildegarda di Bingen che, quanto
a visioni metafisiche e a prospettive sull'infinito, ci dà del
filo da torcere ancora oggi.
L'obiezione che la mistica non sia filosofia non tiene, perché
le storie della filosofia riservano spazio a grandi mistici come Suso,
Tauler o Eckhart. E dire che in gran parte la mistica femminile
dava maggior risalto al corpo che non alle idee astratte sarebbe come
dire che dai manuali di filosofia deve scomparire, che so, Merleau-Ponty.
Le femministe hanno da tempo eletto a loro eroina Ipazia che,
ad Alessandria, nel quinto secolo, era maestra di filosofia platonica
e di alta matematica. Ipazia è diventata un simbolo, ma purtroppo
delle sue opere è rimasta solo la leggenda, perché sono
andate perdute, e perduta è andata lei, fatta letteralmente a
pezzi da una turba di cristiani inferociti, secondo alcuni storici sobillati
dal quel Cirillo di Alessandria che, anche se non per questo, è
stato poi fatto santo.
Ma c'era solo Ipazia?
Meno di un mese fa è stato pubblicato in Francia (da Arléa)
un librettino, 'Histoire des femmes philosophes'. Se ci
si chiede chi sia l'autore, Gilles Ménage, si scopre che
viveva nel diciassettesimo secolo, era un latinista precettore di Madame
de Sévigné e di Madame de Lafayette e il suo
libro, apparso nel 1690, s'intitolava 'Mulierum philosopharum
historia'.
Altro che la sola Ipazia: anche se dedicato principalmente all'età
classica, il libro di Ménage ci presenta una serie di figure
appassionanti, Diotima la socratica, Arete la cirenaica, Nicarete
la megarica, Iparchia la cinica, Teodora la peripatetica (nel senso
filosofico del termine), Leonzia l'epicurea, Temistoclea la pitagorica,
e Ménage, sfogliando i testi antichi e le opere dei padri della
chiesa, ne aveva trovate citate ben sessantacinque, anche se aveva inteso
l'idea di filosofia in senso abbastanza lato. Se si calcola che nella
società greca la donna era confinata tra le mura domestiche,
che i filosofi piuttosto che con fanciulle preferivano intrattenersi
coi giovinetti, e che per godere di pubblica notorietà la donna
doveva essere una cortigiana, si capisce lo sforzo che debbono avere
fatto queste pensatrici per potersi affermare. D'altra parte, come cortigiana,
per quanto di qualità, viene ancora ricordata Aspasia,
dimenticando che era versata in retorica e filosofia, e che (teste Plutarco)
Socrate la frequentava con interesse.
Sono andato a sfogliare almeno tre enciclopedie filosofiche odierne
e di questi nomi (tranne Ipazia) non ho trovato traccia. Non è
che non siano esistite donne che filosofassero. È che i filosofi
hanno preferito dimenticarle, magari dopo essersi appropriati delle
loro idee.
l'articolo
è una"Bustina di Minerva" tratta
dal settimanale L'espresso, 2004
19-04-05
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