Autoritratto
di gruppo con signore
di Rosanna Fiocchetto

Frida
Kahlo, autoritratto
La prima
inchiesta sulle lesbiche fatta dalle lesbiche è stato, nel 1985,
il Questionario del CLI (Collegamento tra Lesbiche Italiane):
218 domande che vennero poi ripetute nel 1995, a distanza di dieci anni.
Nel 2001 il Gruppo Soggettività Lesbica (gruppogsl@yahoo.it;
per le sue attività vedi il sito www.universitadelledonne.it),
nato nel 1996 nell'ambito dell'Associazione per una Libera Università
delle Donne di Milano, ha affrontato lo stesso obbiettivo con un deciso
salto di qualità nel metodo e nei risultati della ricerca. Infatti,
rispetto alle 500 copie diffuse dal CLI e della minore partecipazione
all'iniziativa (70 risposte), Soggettività Lesbica ha distribuito
tremila copie di un questionario con 150 domande, alle quali hanno risposto
700 donne lesbiche. Inoltre, l'analisi di questo sondaggio è stata
pubblicata nel libro "Cocktail d'amore - 700
e più modi di essere lesbica", stampato nel 2005 dalla
casa editrice DeriveApprodi di Roma (info@deriveapprodi.org) e curato
da Anita Sonego, Chantal Podio, Lucia Benedetti, Maria Pierri, Nicoletta
Buonapace, Piera Vismara, Rosa Conti. Non si tratta di una semplice "elaborazione
dei dati"; il materiale "statistico" infatti è arricchito
da "interviste mirate", da testimonianze e da valutazioni collettive
.
L'introduzione al volume si apre con una citazione da "Cassandra"
di Christa Wolf: "Parlare con la mia voce: il massimo". E articola
in termini politici l'intenzionalità di "dar forma al proprio
vissuto" e, soprattutto, di divulgarlo nel contesto eterosociale.
Dopo essersi rese visibili le une alle altre, infatti, le donne del gruppo
milanese hanno deciso di passare a quella che esse definiscono la "visibilità
pericolosa", con lo scopo di "comunicare all'esterno la complessità
della realtà lesbica per smontarne l'immagine stereotipa, per fare
cultura e creare nuovi spazi di libertà e di parola". E dunque
la loro azione - a differenza di altri gruppi separatisti che hanno invece
fatto la scelta di esprimersi nel "sociale femminile", costruendo
una socialità lesbica e rivolgendosi con le loro iniziative a tutte
le donne, ma soltanto alle donne - si dirige verso il "sociale"
in senso lato. Pur essendo un gruppo di sole donne, Soggettività
Lesbica intende infatti "fare emergere i nostri modi di autorappresentarci,
di relazionarci con l'esterno, e i conflitti che si muovono nella dinamica
tra interno ed esterno", lavorando alla "possibilità
di creare uno sguardo più libero per tutta la società".
Le domande del questionario analizzato in "Cocktail d'amore",
a parte la raccolta iniziale di "dati generali" e un'appendice
"propositiva", sono divise in sette "aree" tematiche:
autopercezione e identità; famiglia d'origine; amicizie; relazioni
amorose; maternità; rapporti sociali e politici; strategie di cambiamento
("sognare si può"). Vorrei effettuare qui una lettura
comparata tra alcune risposte di oggi e quelle di ieri, verificando se
e come sono cambiate le lesbiche nei vent'anni che separano il sondaggio
del CLI da quello di Soggettività Lesbica.
La sequenza degli interrogativi inizia con la fatidica domanda su "chi
è una lesbica", alla quale l'87,1% risponde "una donna
che ama le donne", mentre il 49% dichiara di usare la parola "lesbica"
per autodefinirsi senza eccessivi problemi, considerandola (63,8%) "politicamente-socialmente
rilevante" o "corretta". Commentano le curatrici: "Si
fa strada l'idea che il termine 'lesbica' possa passare attraverso una
modificazione: da veicolo di stereotipi a parola che indica uno dei possibili
modi d'amare". Nel "campione" del CLI di vent'anni fa,
la situazione era la stessa: dunque non ci sono stati significativi spostamenti,
dopo la storica riappropriazione collettiva lesbofemminista di un termine
che in precedenza veniva usato e percepito come un insulto. Anche la "scoperta"
del proprio lesbismo continua ad avvenire in maggioranza prima dei vent'anni,
e ad essere prevalentemente accompagnata da sentimenti positivi.
L'accettazione di sé appare invece decisamente inferiore a quella
dei dati raccolti dal CLI, ma resta comunque molto alta (74,1%); e appena
l'11,9% - nel 1985, nel clima entusiasta che accompagnava gli inizi del
movimento lesbico, erano solo 2 su 70 - preferirebbe non essere lesbica,
per avere una vita più facile e meno faticosa. Aumenta però
il desiderio di cambiare sesso, che dalla minima percentuale di 5 su 70
del 1985 arriva al 9,8%. Ma all'accettazione di sé come lesbica
non corrisponde una pari accettazione delle altre donne lesbiche. Questo
dato, che ricorre inalterato rispetto al vecchio Questionario del Cli
del 1985, è a mio parere veramente preoccupante e merita una seria
riflessione, anche perché, come sottolineano le curatrici, nella
percezione che si ha delle altre lesbiche "si manifestano le nostre
proiezioni, paure e insofferenze".
Alla domanda "ci sono tipi di donne lesbiche nelle quali hai difficoltà
a riconoscerti?", ben l'82,1% risponde affermativamente (nel questionario
CLI del 1985 la percentuale era del 77%, e nel 1995 era dell'82%).
Lo stigma sociale lesbico si indirizza per il 44,6% contro le "donne
esteriormente maschili", con una percentuale che aumenta proporzionalmente
al titolo di studio di chi risponde, segnalando una chiara differenza
di classe. L'ostilità verso questo tipo di visibilità sembra
essere una conseguenza di quello che il 44,6% (stessa percentuale, significativamente)
definisce come l'aspetto che crea maggiore disagio rispetto al proprio
lesbismo: "non sentirsi libera di vivere apertamente". Una relazione
causa-effetto sulla quale vale la pena di meditare: perché solo
liberandoci dal meccanismo della proiezione delle nostre paure del giudizio
sociale, potremo essere meno auto-persecutorie e più amorosamente
solidali nei confronti delle Altre, offrendo loro un riconoscimento che
ci è necessario e indispensabile come l'ossigeno. Oltre alle "butch",
le altre donne alle quali viene negato riconoscimento sono: quelle "caratterialmente
maschili/competitive" (12,9%); quelle "esageratamente maschili
o femminili"(11,5%); quelle separatiste (7,8%); quelle "esibizioniste"
(4,8%); quelle "che si nascondono e non s'impegnano" (3,5%);
quelle "che non si accettano" (2,8%); quelle "che si dicono
lesbiche e vanno con gli uomini" (1,2%); quelle "molto femminili"
(1,2%); quelle "di destra" (1,2%). Le idiosincrasie del questionario
CLI 1985 erano più variegate: comunque la maggioranza delle risposte
condannava anche qui "gli atteggiamenti maschili", ma senza
riferimento all'esteriorità; era più presente la critica
dei ruoli, mentre le separatiste venivano criticate da appena due donne
e il 97% (l'83% nel 1995) affermava di sentire il bisogno di spazi separatisti
d'incontro tra donne.
Un altro elemento che vorrei sottolineare è il fatto che nel 1985
il 68% delle lesbiche era "venuta fuori" in famiglia, mentre
oggi la percentuale non solo non aumenta, ma diminuisce al 57,3%: dato
che contrasta clamorosamente con l'aumento dei "coming out"
politici e sociali. Finiti gli anni del "personale è politico",
le lesbiche in questa fase sembrano delegare ai personaggi pubblici la
visibilità, quasi cercando una conferma indiretta della propria
legittimazione, oppure una rivalsa psicologica al problema della loro
"doppia vita". La frequentazione delle altre donne lesbiche
è oggi più legata ai locali, alle case private o a internet,
mentre la percentuale di partecipazione a gruppi o associazioni lesbiche
diminuisce dal 60% del 1985 al 47,2% di oggi. Un dato significativo, e
da approfondire, è che si manifesta un "calo di interesse"
nei confronti del riconoscimento legale delle coppie conviventi, appoggiato
dal 76% nel Questionario CLI del 1995, dall'89% nel 1995, e dal 63% nell'attuale
rilevazione di Soggettività Lesbica.
Il rapporto con il femminismo (in coincidenza dell'alleanza di molte lesbiche
con i gay) si è allentato: mentre nel questionario CLI 1985 si
dichiaravano femministe l'89% delle donne, nel 1995 la percentuale calava
al 67%, e nel questionario di Soggettività Lesbica cala ancora
al 56,7%. Le politiche anti-identitarie evidentemente non favoriscono
certo l'identificazione reciproca tra donne e tra lesbiche, anzi consolidano
il disprezzo e il disconoscimento per le proprie simili, la progressiva
estraniazione culturale e politica dal proprio genere. Questo meccanismo
nello stesso tempo viene negato (come tutti i meccanismi), compensandolo
con l'adesione ad un'immagine rappresentativa "femminile" il
cui parametro resta pur sempre il "maschile". I sentimenti di
insoddisfazione, rabbia e frustrazione, invece di essere diretti verso
il sistema patriarcale di oppressione delle donne, che include la costrizione
all'eterosessualità e all'eterosocialità istituzionalizzate,
vengono diretti verso le lesbiche "maschili" (un bersaglio ben
più facile e inferiorizzabile), oppure verso le lesbiche "infedeli"
all'immagine "accettabile" del femminile.
All'ultima domanda del questionario - "come ritieni si dovrebbe o
potrebbe fare per migliorare la condizione delle lesbiche?" - perciò
risponderei: coltivare il nostro amore tribale. Imparando a farlo nella
relazione privilegiata tra donne, nel confronto tra le nostre esperienze,
le nostre realtà e i nostri desideri. Ne abbiamo bisogno, in un
mondo inquinato dalla misoginia della cultura dominante e dai suoi derivati.
Abbiamo bisogno di filoginia, una parola che non esiste se noi non la
inventiamo e, oltre a pronunciarla, non la pratichiamo. Una parola che
lascia all'altra la libertà di essere se stessa, quella libertà
fondamentale che, non avendola, difficilmente potremo comunicare a chiunque.
Recensione
pubblicata sul sito TamLes
18-05-05
|