Rigidi modelli di pensiero al servizio del patriarcato: donne in conflitto

Elena Fornari


scena del parto, Catal Huyuk

 

Dopo venti ore di travaglio dolorosissimo, alle dieci di sera, venne al mondo mio figlio. Avevo fatto un parto naturale come volevo, con travaglio a casa e parto nell’ospedale scelto, ma ero stanca e scioccata dalla sofferenza vissuta.
Piangevo mentre mi stendevo sul letto, le lacrime uscivano da sole. Desideravo riposare, finalmente.
L’ostetrica di turno che mi aveva accompagnata in camera, mi disse con tono brusco e con la tipica calata toscana:
“Oh cosa piangi? ‘Un sei felice?”
E io le chiesi se aveva figli.
“Certo!!! Due! Heee a mi’ tempi, si pativa in silenzio, mica tutte queste storie!!!”
E infatti, quando la guardai in volto, vidi una donna arrabbiata, arcigna e nemica delle donne. Perché forse nella sua vita, la disgrazia più grande era quella di essere nata donna. E la cosa peggiore era che continuava sicuramente a crederlo e voleva convincerne anche le altre donne, facendole sentire in colpa se avevano osato chiedere per i loro bisogni, così come stava facendo con me.
E allora, guardando fuori dalla finestra le mura bianche e fredde del cortile dell’ospedale, pensai:
“Ci si può ribellare, sai? Ci si deve ribellare!”

Chissà se quella donna aveva mai avuto il coraggio di confessare a sé stessa quali fossero le sue esigenze. Aveva partorito in silenzio, come diceva lei, sarà stato vero? Oppure era una di quelle cose che le donne raccontano per farsi vedere forti, coraggiose, come se il coraggio si misurasse nel resistere al fluire delle emozioni. Per un uomo, forze talvolta, ma non per una donna.

La donna è acqua che scorre, terra che si scioglie in lava, vento che corre facendo ondeggiare le messi.
Così, da quel giorno, il giorno del parto, dentro di me mutarono molte cose. Insieme a mio figlio era nata un’altra me stessa.
Improvvisamente vedevo cose che non avevo mai veduto prima, pensavo nuove idee e acquistavo consapevolezze. Non che tutto questo sia stato indolore, anzi!

Con una lunga depressione post-parto mi sono guadagnata la certezza che le donne non sanno più cosa vuol dire prendersi cura delle altre donne. La solitudine e la paura di non farcela che ho sperimentato in quel periodo della mia vita, sono state un faro nella notte dell’ignoranza e della non consapevolezza di essere nata donna in un mondo in cui il femminile autentico era passato di moda, rimasto ormai rinchiuso in un vecchio e polveroso baule fatto di violenza, possesso, prevaricazione e androcrazia.

Ho visto con chiarezza le donne della mia famiglia commentare le abitudini degli uomini che avevano intorno con vaghezza, per non soffermarsi troppo su una realtà che non volevano guardare.
Ho ascoltato le parole di una di loro che li giustificavano, affermando che le donne in fondo se lo meritano di subire perché, come recita il detto popolare, Chi dice donna dice danno. E poi, in un modo o nell’altro, la maggior parte delle donne sono sempre delle poco di buono. 
Ho assistito con orrore al vissuto di famiglie con dispotiche matriarche, che non erano altro che gusci svuotati della loro vera essenza riempiti di demoni di un patriarcato logoro e privo di nobile dignità.

Negli anni ho cercato, ho letto, ho studiato, ho incontrato donne, diverse sorelle, tante altre niente affatto amiche ed ho compreso con sgomento quanto lavoro di distruzione del femminile era stato fatto.

E allora mi chiedo, che cosa può essere stato che ci ha fatto dimenticare la nostra forza, il nostro potere?
Se è vero che abbiamo permesso questo perché siamo state ingannate, illuse che se ci fossimo appoggiate ad un capo-tribù maschio saremmo state al sicuro, al riparo dalle aggressioni dei maschi delle altre tribù.
Se è vero che ci siamo fatte raccontare che il matriarcato sarebbe stata la giusta condizione in modo da avere in mano anche noi la nostra fetta di potere.
Se è vero che ci hanno convinte che la cosa più saggia era rimanere vergini e illibate, diventando suore, oppure sposandoci facendo sesso solo per procreare, coperte di un lenzuolo con il buco.
Per non parlare delle nascite! Da tempo ormai la donna si è convinta di non essere capace di partorire da sola.

Quando leggo documenti storici che raccontano delle condizioni terribili e disumane nelle quali le donne erano costrette a partorire negli ospedali del ‘700, dove una donna su dieci moriva di febbre puerperale perché ricoverata accanto ai malati di sifilide, coricata in letti sporchi di pus e sangue infetto, dove le naturali norme igieniche non venivano adottate, dove vigeva il dotto sapere della medicina degli uomini di Dio, quella medicina che uccise miglia di donne in Europa dal 1500 in poi. Mentre documenti storici ci raccontano che vi furono levatrici che non videro mai morire donne di febbre puerperale.
La febbre puerperale non fu un epidemia, ma lo scempio della malvagità di quella stessa medicina che aveva condannato al rogo nei tre secoli precedenti, le levatrici e le guaritrici con il loro sapere considerato “demoniaco”.

Quando invece leggo dei ritrovamenti archeologici del Santuario del Parto di Catal Huyuk, l’area abitata più antica d’Europa, nel quale le donne partorivano in ambienti magnifici, dove è noto, così come troviamo numerose testimonianze, che nel mondo antico si osservassero le norme igieniche e che questo era alla base della salute della persona.
Ancor più quando vedo che tutte le figure che ruotano intorno alla donna nell’ambiente sociale, non fanno altro che dimenticare questo flagello che ha mortificato per secoli questa Donna-Dea-Ragna che ha il potere di tessere la tela della Vita.

Allora mi chiedo, ma davvero vogliamo continuare ad assistere, senza muovere un dito, a questa dissacrazione?
Quando vengo al corrente dell’assurdità di donne che mettono in difficoltà altre donne; le stesse donne ostetriche che accusano e minacciano altre ostetriche, fino addirittura a farle sospendere dal servizio perché hanno osato collaborare in progetti che prevedevano la partecipazione di altre figure attive nel sociale, come le doule (donne che sostengono altre donne). Allora credo che quelle stesse donne che accusano non capiscono che si stanno auto – danneggiando e che non sono altro che schiave di una forma mentale rigida, maschile, malata e decadente, che il più delle volte, cosa ancora più assurda, non appartiene neanche più a molti uomini di oggi.

E mi viene una gran tristezza mista a rabbia e dico a quelle donne che, se non si svegliano adesso, ho il timore che resteranno individui impantanati nei loro condizionamenti, fatti di interessi e di pochezza, nell’ostinarsi a voler conservare quel misero potere che hanno conquistato.
Lo so, sembra crudele, ma non chiedo scusa, perché sono convinta che, prima di tutto, la cosa di cui dobbiamo riappropriarci è la libertà di essere ciò che siamo, la libertà di essere davvero Donne.

Dunque un augurio a tutte le donne, con le parole meravigliose di Clarissa Pinkola Estés.

Per loro – possano vivere a lungo in forza e in salute,
spiegando tutte le vele del loro spirito immenso.

 

Elena Fornari – doula spirituale, segue e sostiene le donne in ogni fase e situazione della loro vita. E’ in oltre insegnante di yoga, counselor in tecniche sciamaniche e studiosa del mondo femminile.


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26-06-2012

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