Ringraziamo Marina Forti anche per questa testimonianza da KANDAHAR

La scuola delle bambine
di MARINA FORTI

Da il manifesto del 14 dicembre 2001

Il bel signore dai capelli bianchi ci guida nel vicoletto di terra battuta tra alti muri intonacati di fango. Un cancello si apre su un cortile inondato di sole. Le bambine siedono su piccole stuoie, un libro aperto davanti a sé, leggono pronunciando bene ogni sillaba. È un passaggio del Corano. Siamo in casa del signor Ahmad Shah Ahmadi: lui, la moglie e la figlia hanno trasformato la loro casa in una scuola elementare: insegnano pashto, dari, matematica e un po' di scritture islamiche alle bimbe del vicinato.

Una scuola clandestina: insegnare a leggere e scrivere alle bambine è stato uno dei più diffusi gesti di resistenza ai taleban, che l'avevano vietata alle ragazze. Per la verità, i taleban avevano condannato un'intera generazione di piccoli afghani all'ignoranza già solo vietando alle donne di insegnare: erano il 70% degli insegnanti.

L'analfabetismo era diffuso nell'Afghanistan rurale ben prima che Mullah Omar instaurasse il suo regime (il 90% delle bambine e il 60% dei bambini non hanno mai potuto imparare a leggere e scrivere). Ma con i taleban le cose sono peggiorate. Decine di scuole hanno chiuso. Anche nelle città, ai piccoli afghani erano rimaste poche alternative alle madrasse dove insegnano solo il Corano e i detti del profeta...

Ora ogni persona un po' istruita confida che in questi anni ha insegnato a leggere e scrivere ai propri figli e soprattutto alle figlie: ce lo dice l'infermiere capo all'ospedale, lo ripete il direttore dell'ufficio postale.
Le famiglie che ne hanno avuto la possibilità si sono trasferite in Pakistan semplicemente per poter mandare a scuola i bambini.

Fortunate dunque le bambine che hanno potuto frequentare il cortile del signor Ahmadi, all'ombra di un arancio e di un grande cespuglio di basilico dai fiori viola. Le sue alunne, spiega, sono bimbe del vicinato. Sono un'ottantina, tra 6 e 13 anni: vengono a lezione tutti i giorni, due turni, dalle 7,15 alle l2 e dalle 3 alle 4,30.

È tutto basato sul volontariato, non chiediamo soldi, spiega il signore dai capelli bianchi e lo sguardo spiritato, intenso. Prima di improvvisarsi insegnante lavorava in una fabbrica tessile, era controllore capo, poi negli anni '80 lo stabilimento ha chiuso per la guerra. Lui è del nord, di lingua dari, non pashtun. Sì ha avuto problemi con i taleban: "Ma ho continuato a insegnare, perché sono un liberale e credo che bisogna istruire bambine e bambini". Questione di principio.

Quando le bambine hanno cominciato a varcare ogni mattina il cancelletto del signor Ahmadi, la polizia talebana ha iniziato a indagare. L'hanno convocato: "Non mi hanno arrestato, ma per un certo periodo ho dovuto presentarmi ogni giorno al commissariato. Poi hanno cominciato a venire loro, regolarmente, a controllare a casa". Un'angheria continua "Fermavano le bambine per controllare i loro libri. Le sgridavano se non avevano il velo". Già, per le strade ci sono bambine di 7 o 8 anni già con il foulard.

Nel cortile con il basilico sembrano attutite le tensioni di questa città che fatica a tornare alla normalità, gli spari ogni tanto (ma non dovevano disarmare le milizie?), le voci su combattimenti nei villaggi dei dintorni, o sui marines che si avvicinano, su Mullah Omar che si allontana.

Entra una vicina di casa: la signora Sofya Malek Mohammad era la preside della scuola "Sargunanah", prima che i taleban la lasciassero senza lavoro. È tajika. Né lei né le signore Ahmadi usavano portare il burqa prima che fosse un obbligo, bastava una sciarpa sui capelli. Ora Malek è raggiante: ieri la radio ha fatto appello a tutti gli insegnanti a riprendere il lavoro, la settimana prossima dovrebbero riaprire le scuole. Indica le bambine, che ci guardano esterrefatte mentre riavvolgono i loro libri in un fazzoletto: torneranno a scuola, inshallah, se la pace dura.