di Olga Foti
Un passato che non passa, e i maschi di famiglia si arrogano ancora il diritto di decidere come devono vivere le “loro” donne e di punirle. Una globale sottocultura che si perpetua e aggiunge ai delitti di ieri quelli di oggi: la ragazza pachistana uccisa dal padre, la donna di Messina accoltellata dal fratello, mogli ed ex-mogli, fidanzate ed ex fidanzate ammazzate quasi giornalmente. Certo, tanti parrucconi della Corte di Cassazione, questa sottocultura l’hanno ben alimentata affermando, in barba alla Costituzione che sancisce la parità fra i sessi, che l’adulterio della moglie è ben più grave di quello del marito (1961), che “le botte maritali” non raffigurano maltrattamenti” (1996), per non parlare della jus corrigendi che regna fino all’approvazione del Nuovo diritto di famiglia (1975). Questi assurdi parrucconi ancora oggi assolvono stupratori in nome della verginità o dei jeans. Ma, per fortuna, tutto il mondo ride di loro.
Era affacciata ‘inta lu so balcuni La vecchia strada a zig-zag tutta in ombra e i pipistrelli che piombavano dall’alto, oscillando, sembravano una premonizione. Davanti al castello l’uomo scese da cavallo con un salto, toccò terra davanti alla grande porta di quercia rinforzata con lamine di ferro, cominciò a camminare lentamente, a passi pesanti. Serrava e disserrava i pugni percotendoli l’uno contro l’altro, e a tratti guardava verso il balcone ora vuoto. La luce del tramonto metteva in risalto la sfera del suo viso e i neri mustacchi che accentuavano la piega della bocca contratta dalla collera. Restò qualche istante fermo, immobile come un giustiziere, poi fece un segno d’intesa ai suoi soldati e entrò da solo nel castello. La baronessa gli venne incontro:
“Signuri patri chi vinisti a fari?”
Con un’aria quasi cortese il padre le annunciava la decisione di ucciderla. Cinque anni prima le aveva annunciato allo stesso modo la sua volontà di maritarla.
C’era nata e si era
maritata in quel posto maledetto, casupole e carrubi, vespe e capre, gli
uomini nei campi con la zappa, le donne al fiume a lavare, tutti con il
loro diavolo. E le estati senza un filo d’acqua nei torrenti, non un’ombra
per miglia e miglia, la terra spaccata dal sole, le vespe, le mosche, il
pane che non bastava mai e il bastone.
“Balia, oh balia,
cosa fai, canti?”
“Signuri patri chi vinisti a fari?” Sentì come un pugno alla bocca dello stomaco e cominciò a correre sulle assi di legno del corridoio quasi buio, malgrado il vestito lungo l’impacciasse, le cordelle del busto la stringessero. Il corridoio sembrava interminabile, la porta della foresteria così lontana, mentre l’uomo era sempre più vicino, più vicino, con il suo puzzo di stalla e di sudore. Stridi di uccelli notturni trafissero l’aria all’improvviso, affondarono nel crepuscolo, lo lacerarono, e il fiato dell’inseguitore le fu sul collo, le mani quasi l’afferrarono. Terrorizzata urlò. E l’uomo inciampò, perse l’equilibrio, gridò a sua volta, di collera e di scorno. La baronessa continuò a correre, raggiunse la foresteria, spinse la porta, la richiuse facendola sbattere con forza alle sue spalle. “Carinisi, gente di Carini…!” Affacciata alla finestra chiedeva aiuto, e altre finestre si aprirono, porte di casupole, la gente venne fuori armata di bastoni ma davanti al castello trovò i soldati con le spade. “Gente di Carini, aiutatemi…” Il rumore della porta che cedeva, lo schianto, un grido acuto subito strozzato.
Lu primu colpu la donna cariu E poi più niente. L’uomo uscì dalla stanza, ripercorse il corridoio buio, attraversò un piccolo cortile dove i resti di un’armatura sanguinavano ruggine in una pozzanghera.
Ciumi, muntagni, arburi, cianciti Seduti davanti il porticciolo i pescatori cantavano per i villeggianti come avevano sentito fare ai cantastorie. “Una notte” disse il più vecchio “c’era la luna, luna piena, e ho visto la baronessa passeggiare sulla spiaggia. Era uscita dall’acqua e aveva i vestiti asciutti, e anche un ombrellino, il parasole.” Il Vecchio amava raccontare ma amava anche la bottiglia, si sapeva, e a quell’ora doveva averne scolate più di una. Tutti sapevano però che la storia della baronessa era una storia vera, esistevano ancora i documenti, e il castello, a pochi chilometri, nel borgo di Carini. Là era stata uccisa Laura Lanza, il 5 dicembre del 1563. E in dicembre, nel bosco di Carini, mentre il vento soffia si sente ancora il lamento della baronessa perché il suo assassinio non era mai stato punito. Delitto d’onore, aveva spiegato il padre in tribunale, la figlia tradiva il marito. I pescatori ora tacevano. C’era la luna, luna piena, e non sembrava impossibile che la baronessa potesse uscire dal mare e passeggiare sulla spiaggia. Anche i villeggianti tacevano, qualcuno pensava alla madre della baronessa costretta a vivere accanto all’assassino di sua figlia. Di lei nessuno aveva mai parlato, nemmeno i cantastorie.
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