Care compagne
di Francesca Foti


la vostra corrispondenza pubblica, nata per merito di Lea all’indomani dell’assemblea fiorentina del 19 aprile mi ha stimolato molte riflessioni.
Essendo un’assidua frequentatrice della rete femminista della SE e dell’associazione fiorentina X una sinistra unita e plurale, conosco abbastanza bene le compagne che hanno dato vita a questo dialogo, e dunque tralascio tutte le cose sulle quali sono totalmente d’accordo e che anzi credo andrebbero approfondite.

Vorrei allora partire da una questione che sta a monte di tutto ciò e che Bianca Pomeranzi ha posto all’inizio del suo intervento all’assemblea del 19: “Intendo mettere a tema come abbia influito nella sconfitta collettiva il fatto che un percorso femminista così intenso e così capace di analizzare la crisi della politica maschile, in questi anni sia riuscito a tornare nelle piazze e sui giornali, ma non sia riuscito a aprire un dialogo vero nello spazio pubblico né tra uomini e donne, né tra generazioni differenti”.

Io ho trovato la mia “ragione politica” nel 2001, quando anche in Italia e in Europa il vento che proveniva dall’America cominciò a sparigliare le carte di un ordine che pareva essere naturale. Per le strade di Genova si consumò una battaglia campale, ma la corrente che sospingeva quel movimento – ha ragione Maria Grazia - mi pareva restituisse il senso vero di una liberazione.
La valorizzazione delle differenze, la non violenza e la critica del potere furono, nei fatti, gli assi strutturali sui quali si snodavano le forme che via via esso assumeva. Essi erano i suoi elementi costituenti, e questo mi faceva sentire a casa.

In verità, poi, nelle assemblee le donne che parlavano erano poche e spesso dirigenti di strutture organizzate, e la maggior parte dei leaders erano uomini. Tuttavia le parole di quella narrazione hanno fatto paura a molti perché producevano senso, ridisegnavano un simbolico, appartenevano a tutti e a tutte. Improvvisamente, la politica tornava ad essere un’esigenza individuale ed un investimento collettivo.

Oggi, che la corrente ha decisamente cambiato direzione, mi domando perché anche noi – donne che facciamo politica, di apparato o meno – non abbiamo risposte alle domande che poneva Bianca, e perché “la femminilità arcaica”, di cui parlò Lea in un articolo su Liberazione riguardo al desiderio di essere velina, è egemonica nella nostra società nonostante noi. Perché noi che abbiamo saputo essere il filo con cui si tessevano le relazioni di quel movimento, e che con esso abbiamo perso, siamo rimaste suoni indistinti nell’afasia che è conseguita a quella sconfitta e da cui la sinistra tutta sembra travolta. Perché, perso il referendum sulla fecondazione assistita, non siamo riuscite a costruire luoghi che connettessero “il basso” e” l’alto” – a partire dalle 100000 donne che hanno sfilato a Roma contro la violenza -, a ridare dignità ad un discorso pubblico, a conquistare un terreno politico per la nostra lotta di liberazione, che è liberazione di tutt*.
Il fatto che in un’assemblea con più di 50 interventi, si iscrivono solo nove donne, temo sia il sintomo di questa situazione e non la prima causa.

Le femministe hanno in dote un patrimonio secolare di resistenza al dominio patriarcale fatto di culture e pratiche. Fare breccia nell’ideologia mercificante del neoliberismo, aprire un varco nel controllo e nello sfruttamento dei nostri corpi, vuol dire in primo luogo restituire alla parola libertà l’antico fascino dell’impresa collettiva, e alla sua conquista la necessaria manifestazione di ogni singolo essere umano.

Ora, che nel Parlamento Italiano le donne più a sinistra sono Rosi Bindi ed Emma Bonino e non si vede nemmeno l’ombra di una femminista, sento l’assunzione collettiva di una responsabilità e di un ruolo politico in quanto donne e femministe, in una sinistra unita e plurale, sempre più pressante.

Vi abbraccio forte,
Francesca Foti

 

22-05-2008

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