Franca Bimbi, Rossana Trifiletti, Madri sole e nuove famiglie

di Liliana Moro


 

La società italiana è molto chiacchierata e poco indagata, alla frequenza delle indicazioni normative corrisponde la rarità delle indagini serie. Come è, invece, questo volume che raccoglie un ampio spettro di contributi per illuminare un aspetto poco noto dell’Italia attuale: le famiglie composte da un solo genitore – per lo più la madre – e i figli.

Abbiamo qui a disposizione una consistente mole di informazioni e di riflessioni per conoscere una tipologia di famiglia più diffusa di quanto si pensi, lontana dall’immagine classica della famiglia ‘mononucleare intima’ formata da padre, madre e i figli che essi hanno generato. Entità monolitica e universale a cui sembrano far riferimento i numerosi, attuali difensori della “Famiglia”.

In realtà andare a indagare le madri sole consente di vedere quanto oggi in Italia siano molteplici le forme di convivenza e di aggregazione, e quanto la famiglia stia cambiando. Parliamo di una realtà niente affatto trascurabile - più di un  milione e mezzo di persone – e in costante aumento, come informa il dettagliato contributo di Linda Laura Sabbadini, direttrice centrale dell’Istat.

Vari sono i motivi per cui una donna rimane sola a crescere uno o più figli e in questo caso si ritrova a dover stringere legami con una serie di persone che le consentano di farlo: di solito si tratta della famiglia d’origine, ma non esclusivamente.

Come ricorda Franca Bimbi: “Designate un tempo come target incolpevole della carità pubblica (le madri vedove) o come figura deviante del rischio morale da emarginare o riparare (le ragazze madri), nelle tipologie sempre più diffuse delle ex mogli separate o divorziate, le madri sole contemporanee rivestono tutta l’ambivalenza del discorso sociale attorno alle trasformazioni della famiglia.”

Se risulta generalmente (ma non del tutto) superato il sospetto sociale attorno alle donne che vivono senza il padre dei loro figli, non è affatto superato il rischio economico. La povertà è sempre dietro l’angolo quando bisogna fare affidamento sul lavoro di una sola persona e tutti i dati confermano un incremento della povertà femminile, che si riflette anche su quella infantile. Il problema è che “La povertà delle madri e dei bambini mette in luce come la vulnerabilità sociale delle prime abbia a che vedere con le asimmetrie riscontrabili a monte nei rapporti di genere” (Bimbi).

Le madri sole sono costrette ad accettare qualsiasi lavoro, purché sicuramente pagato, il che le rende deboli contrattualmente, tuttavia in molti casi il lavoro, dura necessità, diventa strumento di costruzione di una nuova identità e fonte di orgoglio per le proprie, inattese, capacità.

Questo elemento emerge, insieme ad altri aspetti imprevisti, dalle numerose interviste e storie di vita presentate nel volume che sono state raccolte su tutto il territorio nazionale: a Milano da Francesca Zajczyk, a Napoli da Antonella Spanò, nel Centro e nel Nord-Est da Rossana Trifiletti, Alessandro Pratesi e Simonetta Simoni.

La concretezza delle voci presentate permette di avvicinarsi a un mondo estremamente coinvolgente e vario. Le situazioni si diversificano in un ventaglio molto ampio: c’è la donna del napoletano che, superati i quarant’anni,  vive ancora in casa dei genitori con il figlio avuto da un uomo che ha poi sposato un’altra, c’è la donna del nord-est che dice “E’ come gestire un’azienda gestire un figlio” e quella che si organizza con altre mamme sole per affidare i figli a una baby-sitter comune quando vanno al cinema insieme.

C’è poi una particolare categoria di madri sole: le migranti, che hanno lasciato i loro figli al paese e in Italia si occupano di figli altrui, oppure vivono in Italia con i loro figli, sommando alle difficoltà della migrazione quelle della monogenitorialità.

Ma non è una storia miserevole: anche qui le testimonianze raccolte da Franca Balsamo a Torino riservano non poche sorprese per la dignità e la ricchezza con cui è vissuta la maternità da donne portatrici di altre culture.

Degno di rilievo il coraggioso contributo di Luca Trappolin sull’omogenitorialità, che fa il punto sulla ricerca in Italia, illuminando una realtà ampiamente sottostimata, che si tende a non vedere: quella di uomini e donne omosessuali che vivono con i loro figli e il/la loro partner. La tendenza a costruire relazioni stabili si va diffondendo sempre più, in maggior misura tra le donne. Ma la sporadicità delle ricerche in questo campo non consente di avere dati complessivi “le famiglie omogenitoriali sono indagate più per le trasformazioni culturali e legislative che implicano (e sollecitano) che per i processi reali di deprivazione o di protezione dalla povertà che le caratterizzano” (Trappolin).

Dalle situazioni presentate emerge con forza il problema della paternità: spesso le madri sole sono l’esito di un padre latitante, che non riesce a farsi carico dei propri figli, che non si riconosce un ruolo o non sa che ruolo giocare, soprattutto in caso di separazione.

“Tra i padri, quelli che presentano maggiori difficoltà sono gli uomini più legati a un modello tradizionale di padre, che privilegia il mantenimento rispetto all’accudimento e al sostegno relazionale e affettivo.” (Elisabetta Ruspini)

In generale la cura dei bimbi, soprattutto i più piccoli è ancora appannaggio quasi esclusivo delle madri, anche se il coinvolgimento è in crescita tra i padri più giovani e istruiti e “comincia a interessare trasversalmente differenti zone del paese” (Ruspini).

Il generale aumento dell’istruzione femminile ha portato a significativi cambiamenti nella composizione delle coppie e sempre più mogli hanno un titolo di studio superiore a quello del marito, così come si è ridotta la differenza d’età: non sono più una rarità le mogli più anziane del marito. Tutto ciò non ha però spostato la distribuzione dei compiti domestici e di cura. Per quali motivi? Si chiedono Alessandro Rosina e Linda Laura Sabbadini. Probabilmente perché “continua a contare di gran lunga più il lavoro del marito.” E precisano “A ciò contribuisce senza dubbio anche la carenza di politiche di conciliazione tra famiglia e lavoro che tendono a penalizzare, in presenza di figli, da una parte, la realizzazione professionale femminile e a intensificare, dall’altra, l’impegno lavorativo maschile per il mercato.”

Non stupisce che in queste condizioni l’Italia sia agli ultimi posti tra gli stati europei nella prolificità: le donne -e le coppie- non si avventurano in una gravidanza senza garanzie per il futuro.

Tuttavia i giovani italiani stanno cambiando stili di vita e stanno avvicinandosi ai comportamenti diffusi negli altri paesi europei. Secondo il Rapporto Istat 2004 “Nell’ultimo decennio le convivenze formate tra nubili e celibi sono più che triplicate, e le nascite naturali sono quasi raddoppiate” (Rosina - Sabbadini). E’ possibile che ciò produca dei cambiamenti sviluppando rapporti più responsabili e paritari, come è accaduto nei paesi in cui sono più diffuse le coppie di fatto.

L’aver rivolto l’attenzione alle madri sole ha permesso di illuminare la situazione reale delle famiglie oggi in Italia, che non hanno bisogno di giornate che le celebrino ma di politiche attente e intelligenti, rivolte non ai nuclei famigliari, che variano continuamente e rapidamente, ma ai singoli che ne fanno parte.

Se si vuole veramente sostenere chi decide di generare, bisogna “proporre politiche che aiutino le persone ad assumersi contemporaneamente i due fardelli … della propria libertà e delle responsabilità nei confronti del legame sociale.” (Franca Bimbi)

 

Franca Bimbi, Rossana Trifiletti (a cura di)
Madri sole e nuove famiglie
Declinazioni inattese della genitorialità
Edizioni Lavoro, Roma, 2006, pagg. 368, Euro 16
 

01 maggio 2007