Lettera mandata originalmente all’Unità
dopo la lettura dell’articolo su LC pubblicato il 1 novembre 2009


di Vicky Franzinetti

Uno dei vantaggi che dà il passare degli anni è quello di vedere dal vero i processi storici, ricordandosene le cause ma anche vedendone gli effetti. Questa visione di lungo respiro rende la vita molto più interessante e stimola la curiosità di capire i meccanismi  a fondo.
I Vostri articoli del 1-11-2009 (a firma Pivetta) su Lotta Continua hanno avuto proprio quell’effetto su di me. Per anni avevo letto di come dopo i movimenti, nei periodi di restaurazione, la storia venga riscritta. Leggo sull’Unità di una LC totalmente maschile, mentre in altre pagine il giornale chiede con intelligenza  perché le donne non si battono come leonesse, oltre che difendere coniugi, figli e genitori.
Sei facce di uomini di LC  per un’organizzazione con  cui la storia del secondo femminismo si è intrecciata fortemente. Un esempio di quello che in inglese si direbbe writing out, ovvero eliminare completamente un gruppo o una persona nello scrivere o riscrivere la storia, pratica nei paesi dell’Europa est quando uno  o una categoria cadeva in disgrazia e  collettiva a ovest dove spariscono interi movimenti.  Lo stesso effetto mi ha fatto un libro che mi è capitato di leggere in questi giorni, quello di Giovanni De Luna (che dopo aver riscritto gli anni di GL come se ci fosse stato, ha riscritto gli anni in cui è stato, come avrebbe voluto esserci pur senza riuscirci).

Poniamoci la domanda del perché le donne non rispondano e dico rispondano sul serio,  lasciando  stare gli uomini che riscrivono la storia per motivi personali o politici ,o gli appelli per sostenere la moglie di un vecchio sporcaccione  o di un cocainomane che pagava il proprio piacere. Permettete la digressione: qualunque sia il piacere lo penso più bello senza che intercorra il passaggio del denaro, di quell’equivalente universale che tutto il sentimento smorza –. Sono restata dell’idea che il sesso sia una gioia personalizzata, sono un po’ retro’. 
Poniamoci dunque il problema del perché sappiamo in gran dettaglio - non richiesto -  le preferenze sessuali, le posizioni e le abitudini di droga dei nostri politici (uomini e qualche donna), ma raramente il loro programma politico.
Anni fa dicemmo che il personale era politico,  ma questo non stava ad indicare che i fatti miei o di altri riguardavano la platea politica: significava più semplicemente che lavoro e relazioni confinati in una sfera definita privata (la casa, il matrimonio, il sesso) erano invece questioni da portare in una sfera politica e quindi da negoziare.

Di solito definiamo negoziabile quello che come società mettiamo nella sfera politica, discutiamo,  vagliamo ed a volte votiamo in base ai ragionamenti e non per sostenere una parte come al calcio. Definiamo come non negoziabile ciò che abbiamo nella sfera privata. Lo spingere questi aspetti  (divorzio, l’aborto, la contraccezione, la legge sulla violenza, il dire che se anche avviene in casa lo stupro e’ sempre tale) nella sfera pubblica ha voluto dire che quei confini tra pubblico e privato si sono spostati.
Lo spazio pubblico resta quello in cui si cercano le mediazioni con altre culture o religioni, a scuola per esempio, in tribunale. Di solito gli uomini, e qui intendo maschi, non negoziano lo spazio privato ma solo quello pubblico, anzi si farebbe prima a definire il privato come lo spazio che la comunità dei maschi  lascia ad ogni uomo individuale, spesso con la complicità delle ‘sue’ donne.
Lo spazio pubblico sarebbe quindi quello dei diritti mentre lo spazio privato quello che oggi definiremo della persona, che si porta dietro una cultura, una religione. Quindi se io dico che picchiare la moglie sta nello spazio privato non posso fare nulla o poco, magari solo se finisce all’ospedale (la moglie),  mentre se io dico che fa parte dello spazio pubblico, posso procedere, posso riservare alcune case per queste donne e magari pagare un avvocato a lor difesa. Posso anche pensare di lavorare perché cambi la cultura. E cosi via.
Basta solo definire quali siano i diritti delle donne, per esempio all’integrità del proprio corpo, di vivere appieno la propria vita sessuale con l’aspettativa di vita che le spetta, all’istruzione, al movimento, alla rappresentanza politica (per non citare anche gli altri diritti affermati da molti/e,  usati qui da me).
Altresì esiste uno spazio che chiamerò culturale, che è quello collettivo necessario ad ogni persona per poter riprodurre il proprio sé culturale. La riproduzione del sé culturale richiede un gruppo, un insieme di persone, una collettività.
Oggi non c’e’ molto spazio culturale perché una donna possa riprodursi (culturalmente) con dignità ed intelligenza, in cui siano rispettate scelte quali non sposarsi ma neanche mettere su un bordello autogestito, o le scelte di orientamento sessuale, o di come condurre la propria vita.

Ci troviamo in una situazione in cui la vita privata dei molti uomini pubblici e delle poche donne pubbliche (ovvero in posizione di potere, per ora eletti o designati) è nota:  ma quella veramente privata cioè i fatti loro (purché legali  quindi escluse minori e cocaina) sono discussi in pubblico, i loro programmi hanno la rarità di un manoscritto egizio, e le vere questioni della sfera ormai  privata di diritti, tagli ai servizi, lavoro delle donne, status civile e relazioni personali, oggettificazione (che sia il velo o la velina,) finiscono per essere dimenticati.
La divisione del lavoro domestico in casa tra uomini e donne per molti di reddito medio o alto si è risolto con una colf (spesso straniera) che, a sentir conoscenti, deve anche diventare amica dopo che ha attraversato i mari per venire a lavare i pavimenti in Europa. 
Invece di relazioni umane si hanno mogli, mariti, fidanzati ed amanti. Ma siamo impazziti? Nel nome della diversità si avvalorano pratiche che vanno contro i diritti di base della persona ed in nome dell’uguaglianza si vende lo ius primae noctis della figlia al signorotto locale. 
Ma quella storia di né puttane né madonne, siamo solo donne,  ve la ricordate? 


Torino, 4 novembre 2009

 

 

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