Uno sguardo femminista sui conflitti del nostro tempo

di Chiara Fraschini

 «In che modo elaborare un rifiuto della guerra non neutro ma sessuato, cioè segnato dalla complessità di approcci con cui la soggettività femminile e l’esperienza femminile del mondo si sono espresse e si esprimono sulla guerra?». E’, questo, l’interrogativo che ha orientato il percorso di ricerca delle dieci autrici - e un autore - del testo La guerra non ci dà pace. Donne e guerre contemporanee, curato da Carla Colombelli.

Un interrogativo che non è più possibile eludere, nel momento in cui, accanto all’immagine della donna estranea alla guerra, assente dai combattimenti, madre-moglie-sorella-figlia-vittima da proteggere, si stagliano quelle - non certo nuove, ma rese più visibili dai media - delle donne in armi, soldate, terroriste, kamikaze. Rappresentazioni, le une e le altre, stereotipate, che rendono difficile leggere la realtà complessa della presenza-assenza delle donne negli scenari bellici, non riducibile all’estraneità.

Non solo: le nuove, diverse modalità con cui la guerra viene combattuta, facendo venir meno la linea del fronte e la divisione tra combattenti e non combattenti, coinvolgono la popolazione civile, costituita, oltre che da anziani e bambini, dalle donne, appunto. E le donne, i loro diritti, la loro libertà, sono diventati pretesto, giustificazione ideologica per alcune delle guerre più recenti, prima fra tutte quella in Afghanistan. E’ indispensabile decostruire i ruoli e gli stereotipi, giocati sull’ambiguità tra estraneità e partecipazione, che alle donne sono stati attribuiti e che, più o meno consapevolmente, esse hanno ricoperto, per far emergere la molteplicità delle loro posizioni, ma, soprattutto, per restituire autorevolezza alle loro parole sulla pace, spesso non udibili e relegate nella sfera dell’impolitico dai discorsi dominanti.

Carla Colombelli, con le autrici e l’autore che hanno collaborato al progetto, individua un importante nodo problematico nella strutturazione e colonizzazione dell’immaginario individuale e collettivo da parte della guerra: essa, che lo vogliamo o meno, entra prepotentemente nella nostra realtà quotidiana, informando di sé valori, ruoli, comportamenti, sentimenti, forme del vivere sociale e dell’agire politico.

E’ importante che i discorsi sulla guerra, articolati secondo il punto di vista dei due generi, entrino nelle aule scolastiche. E che rendano evidente la messa in ombra della presenza femminile nella storia. E’ un’ottica che va oltre l’egemonia maschile nel campo dei saperi - come della politica - e si apre al riconoscimento dell’Altro, delle differenze, della molteplicità. «C’è un filo di autorità femminile - è una frase di Luisa Muraro, citata nel libro - che percorre la storia politica dell’occidente. Intendo: autorità di donne dotate di indipendenza simbolica dal sistema del potere. Questo filo corre dall’antichità fino ai nostri giorni».

La ricca bibliografia curata da Luisa Peisino costituisce, certamente, una parte molto importante di questo lavoro: è posta, contrariamente alle consuetudini, all’inizio del testo, e incita immediatamente il lettore e la lettrice ad approfondire l’argomento. Cristina Giudice indica l’esistenza di uno sguardo femminile sulla guerra molto particolare: quello di artiste che si sono interrogate sui conflitti contemporanei. L’autrice utilizza categorie proprie del pensiero femminista, che consentono di mettere in luce, nelle opere presentate, la pratica del “partire da sé”, l’attenzione per le differenze di genere e per gli stereotipi con cui queste vengono irrigidite e, soprattutto, per i corpi sessuati, per il loro utilizzo, sfruttamento e strazio nella materialità della guerra e nella sua costruzione simbolica.

Molto utili, come punti di partenza per l’elaborazione di progetti a scuola, i due saggi di Emma Schiavon, dedicati, rispettivamente, alla rielaborazione del pensiero di due studiose, Jean Bethke Elshtain e Rada Ivekovic, sulle connessioni tra genere, guerra, nazionalismo e cittadinanza, e all’analisi dei testi giornalistici allo scoppio della guerra del Golfo, riguardanti gli accaparramenti alimentari in Italia. Emerge «come un discorso mediatico fortemente segnato dagli stereotipi di genere abbia inciso in modo molto profondo, proprio perché inavvertito, sull’auto-rappresentaione delle italiane e degli italiani».

Anche il contributo di Graziella Gaballo, orientato alla decostruzione di ruoli e stereotipi, insiti nei discorsi sulla guerra e, specialmente, nel linguaggio della guerra, si presta allo stesso scopo. Da segnalare anche gli interventi di Carla Bausone e Grazia Corrente, sul pensiero di Virginia Woolf, Simone Weil e Etty Hillesum; di Giorgio Belli, sulle auto-rappresentazioni dell’identità maschile nei film Apocalypse Now e Full metal jacket; di Enrica Panero, Laura Poli, Laura Porceddu, sulla storia delle Donne in Nero, arricchiti dagli appunti di Franca Maglietta.

Il libro si rivolge, in particolare, ad insegnanti di scuola media e superiore, propone percorsi didattici. Ma è interessante per chiunque voglia approfondire la propria conoscenza dell’elaborazione teorica e delle pratiche femminili sui conflitti e contro la guerra e per chi intenda, come si diceva, "dare al rifiuto della guerra un carattere sessuato".

 

Carla Colombelli (a cura di)
La guerra non ci dà pace. Donne e guerre contemporanee,
edizioni Seb 27, 2006
pp. 240, euro 12,50

 

questo articolo è apparso su Liberazione del 17 febbraio 2006