Un diverso ordine di valori
Sara Gandini

di Sara Gandini

Sara Sesti nella recensione di "Figlie di Minerva. Primo rapporto sulle carriere femminili negli enti pubblici di ricerca italiani" descrive i dati della ricerca e conclude, con le altre ricercatrici, che le donne “vengono deliberatamente scoraggiate dal dedicarsi alla scienza, attraverso precariati più lunghi, paghe più misere e giudizi più sprezzanti sul loro lavoro."

Questa interpretazione dei dati non mi convince. Non credo che oggi il paradigma della discriminazione possa spiegare queste differenze fra posizioni lavorative degli uomini e delle donne, nemmeno in ambito scientifico.
Anch'io sono una ricercatrice statistica e so che i risultati di un ricerca dipendono da come vengono poste le domande, e che l'interpretazione delle risposte dipende dalle ipotesi da cui si parte. Per analizzare i dati servono dei modelli che sono per forza soggettivi, che sono influenzati dalla nostra esperienza e dalle nostre convinzioni, più o meno ideologiche.
Se c'è una cosa che ho imparato dalle donne e' la sapienza di partire da sé, e nelle analisi proposte da Sara Sesti io non mi ritrovo. Cercherò di spiegare perché.
Ho sempre amato la scienza e la matematica. Arrivare a disegnare funzioni nello spazio mi affascinava. Cosi' ho scelto la facoltà di statistica perché mi insegnava dei metodi per osservare e descrivere la realtà traendone delle linee di fondo. Una borsa di studio mi ha permesso di pagarmi un master in biostatistica in Inghilterra e ora sono ricercatrice in biometria ed epidemiologia in campo oncologico. Amo questo lavoro perché mi permette di indagare sui fattori di rischio per i tumori, ricercando e studiando i modelli statistici più adatti a descrivere la realtà che osservo. Interpreto i risultati tentando di non farmi distrarre dalla variabilità dovuta al caso ma senza ignorare che la variabilità a volte può indicare scelte sensate e da indagare. E' un lavoro vario che gestisco senza stress e ansie, con molta libertà, fortunatamente anche a livello di orario.
Non mi sono mai sentita discriminata in quanto donna nei miei studi e nel mio lavoro, ma non ho nemmeno mai desiderato far carriera. Non amo la competizione e non mi interessa arrivare ai vertici dirigenziali semplicemente perché questo implicherebbe tensioni e rinunce che non sono disposta ad accettare. Preferisco avere tempo libero da dedicare a tutti i miei interessi (e ne ho parecchi…;-), alle relazioni affettive e politiche, perché il tempo di lavoro è tempo di vita.

Per questo mi sono ritrovata nelle parole di Lia Cigarini, quando racconta le conclusioni a cui è arrivato il gruppo di ricerca che si sta occupando da quasi otto anni del cosiddetto fenomeno della “femminilizzazione del lavoro”. Le donne, secondo Lia Cigarini, rifiuterebbero la "misura" dominante e maschile del lavoro: maggior guadagno, carriera, competizione sfrenata. Cercherebbero invece più agio, qualità e senso del lavoro, relazioni interpersonali soddisfacenti, tempi più elastici. L'applicare meccanicamente le categorie della discriminazione, della marginalità, della disoccupazione, non permette di vedere che le donne fanno fatica ad adattarsi al modo di lavorare dominato dal modello "maschile", universale, neutro, gerarchizzato e competitivo. Cosi' in questi anni sono nate moltissime piccole aziende, cooperative, associazioni di professioniste oppure di operatrici nei servizi di cura spesso formate da sole donne, perché sembrerebbe che il conflitto fra i sessi abbia generato in molte circostanze questa tendenza alla "sottrazione”.

La storica spagnola Cristina Borderías in Strategie della libertà. Storie e teorie del lavoro femminile, (manifestolibri, 2000) ascoltando le donne che lavorano, e ripensando la teoria del lavoro tenendo conto delle loro parole, introduce nuove categorie interpretative per spiegare le scelte delle donne nel mondo del lavoro arrivando persino a definirle delle grandi strateghe. Questa ricercatrice sostiene che: "La storia degli studi sul lavoro femminile è la storia di un itinerario che va dall'invisibilità, cancellazione e costruzione di una immagine fortemente negativa di questa esperienza, all'affermazione della soggettività e della differenza sessuale. Concetti e categorie differenti nascono mano a mano che il metro di misura non è più il lavoro produttivo maschile. Se si riesce invece a vedere come e quanto le lavoratrici praticano strategie individuali e familiari orientate alla maggior libertà possibile partendo dal contesto dato, ne risulta che esse sono soggetti attivi.”

Continuando a misurare il mutamento femminile sulla base dei criteri maschili-universali del mercato e del potere, si continua a scrivere una storia in cui le donne non fanno che progredire ma che sono sempre seconde, senza mai raggiungere il mitico obiettivo della parità. Mentre bisognerebbe interrogare il desiderio delle donne e saper leggere i loro percorsi nel lavoro anche come resistenza attiva a quello che a loro non corrisponde rispetto a ciò che la società e il sistema di valori impongono come desiderabile.
L'ottica della rivendicazione e della parità ci porta a misurare le donne con i modelli maschili, con il simbolico maschile. La libertà femminile nasce dalle relazioni significative fra donne, che non solo ci permettono di non sentirci inadeguate, ma ci aiutano a portare là dove siamo i nostri desideri. Mentre le rivendicazioni di uguaglianza richiamano alla mente un destino di sottomissione e dipendenza facendo riferimento principalmente alla situazione economica e giuridica delle donne.

E' importante riconoscere da parte delle donne stesse , nei diversi contesti, del passato e del presente, gesti di autentica libertà femminile e figure storiche di riferimento, e avere la capacità di dare credito e fare attenzione alla parola di altre donne. Madame Curie, Evelyn Fox Keller, Barbara Mc Clinton, Margherita Hack rappresentano una ricchezza di capacità e desideri anche dove la società maschile celebra i suoi trionfi. E questa ricchezza ci conferma che e' possibile attingere forza femminile anche in contesti sfavorevoli. Ritengo quindi importante che si moltiplichino le opere come quelle di Sara Sesti e delle sue collaboratrici che mettono in luce la storia di tante scienziate e la passione che queste donne hanno messo nella ricerca scientifica.
E' vero che la scienza occidentale è stata pensata e costruita dagli uomini ma non credo che sia a livello giuridico che la situazione debba cambiare. Dubito che la politica di tutela come ad esempio l'imposizione di quote ai vertici decisionali possa modificare la situazione del lavoro femminile nella ricerca, mentre ritengo fondamentale il far leva sulle relazioni fra le donne e sulla presa di coscienza di donne e uomini.

In Autorità scientifica, autorità femminile (Editori Riuniti, 1992) la comunità scientifica femminile di Ipazia ha mostrato che una mediazione femminile è necessaria per permettere alle scienziate di praticare liberamente la loro ricerca di conoscenza. Il problema e' trovare mediazioni femminili e non ricercare l'autorizzazione maschile. Molte donne hanno difficoltà ad esercitare autorità in nome proprio, sia a riconoscere autorità ad un'altra donna e l'ostacolo principale alla libertà femminile e' dato proprio dal difetto di autorità femminile, di autorizzazione simbolica, e non dall'oppressione.

La politica del simbolico è la politica che credo ci possa dare gli strumenti per modificare il reale, perché va nella direzione della modificazione del modo di pensare. Quella pratica di trasformazione di sé e della realtà, che si basa sul partire da sé, sulla narrazione dell'esperienza e sulla presa di coscienza dei desideri e delle contraddizioni. Questo consente di modificare la rappresentazione della realtà (l'ordine simbolico) aprendo lo spazio per nuove parole e nuove modalità di azione. Il passaggio dal paradigma dell'oppressione, della discriminazione, della tutela a quello della libertà femminile e dell'interrogazione del desiderio è maturato mettendo in parole l'esperienza di donne che non si riconoscevano più nell'immagine del sesso oppresso. Tramite la pratica dell'autocoscienza è stato possibile individuare altre parole, altre interpretazioni che consentissero di aprire uno spazio, uno spostamento, un nuovo senso alla realtà. La pratica politica delle donne insegna a fare delle relazioni che ognuna intrattiene il centro di verifica di sé e di modificazione del mondo.

Oramai tutte le statistiche rivelano una maggiore e radicata presenza in diversi ambiti scientifici di giovani donne, pero' sembra che non desiderino essere ovunque. Vogliono essere nell'impresa scientifica con tutte se stesse, alla ricerca di un senso del lavoro in cui le relazioni hanno un ruolo privilegiato. Non si consegnano completamente alla carriera perché sembra non diano importanza ai riconoscimenti simbolici maschili di potere. Bisognerebbe indagare con molta attenzione questa divisione sessuata del lavoro, la scelta di sottrazione delle donne e le contraddizioni che emergono quando si interroga il disagio femminile in determinate posizioni. Perché forse sono le donne a non voler entrare nei luoghi di potere se questi luoghi rimangono uguali a se stessi, e cioè costruiti sui modelli maschili, ma se intuissero la possibilità di modificare questi luoghi sarebbero disposte ad aprire conflitti senza sottrarsi. L'autorità femminile credo possa essere una direzione verso cui andare, per non rinunciare a se' stesse e ai propri desideri e permettere alla scienza di essere meno lontana dal mondo dell'esperienza quotidiana.