di Nicoletta Buonapace
E’ evidente: c’è un sistema di potere costruito sul diritto del più forte, che ha forgiato culture e saperi funzionali alla sua conservazione. Un sistema gestito dallo sguardo, dal desiderio e dal bisogno maschili. Ha un nome e si chiama patriarcato, anche se una certa teoria ha trionfalmente concluso che il patriarcato è morto e il femminismo è l’unica battaglia di pensiero che è stata vinta. Ma noi sappiamo che non è così e lo sappiamo dal mondo che ci circonda, se lo ascoltiamo e lo osserviamo invece di allucinarlo. Torniamo a noi. Ricordo la tristezza di un’amica quando raccontava: “lui non capisce quando dico: il mare è di piombo”. Io sapevo cosa intendeva con quella espressione e lei sapeva che la capivo. Non da un discorso credo, ma da un altro tipo di linguaggio: un certo sguardo, movimenti del volto o del corpo, una carezza forse, non so. So cosa significa intendersi, capirsi, anche se non so dirlo. Un po’ come Pino Ferraro (Liberazione 20 novembre 2005) che dice: “so perché gli uomini uccidono le donne, ma non so dirlo.”
Vedo la sicurezza di molti miei colleghi
quando dicono sorridendo: “è inutile sforzarsi di capirle”, ed è chiaro
che quel che rimane loro è quella certa accondiscendenza che rende un po’
infantili le donne, o la violenza che impone loro un punto di vista, una
scelta. E’ anche altrettanto chiaro che tra loro s’intendono bene. Dicono
anche: “non capisco, ma mi adeguo.”
E’ lo stesso sistema che dice cosa sia una
“mascolinità matura” o una “femminilità matura”, definendone codici,
linguaggi, desideri, fondati sulla complementarità, sul sogno d’una
fusione che diviene cancellazione dell’una a favore dell’altro, sulle
opposizioni che ben conosciamo di natura/cultura, corpo/spirito,
alto/basso, terra/cielo, buono/cattivo ecc.
Un tempo alla base del pensiero c’era l’idea
che fosse il Sole a girare intorno alla Terra. Non m’intendo di fisica, di biologia, né di matematica, ma so che la natura ci mostra in realtà un certo dimorfismo sessuale, e una varietà di specie infinita e molte altre cose meravigliose e strane e molti modi di riprodursi e credo che alla base della vita non ci sia un’unica differenza, quella tra il maschio e la femmina, ma infinite diversità che chiedono tutte di essere viste, pensate, nominate.
Il potere e la cultura che esso si è dato,
creando quel che chiamiamo “senso comune”, ha ridotto a zero le
contraddizioni e semplificato al massimo, per i suoi scopi, la realtà che
ha una complessità e un’articolazione più grandi del nostro pensiero.
Mia nonna, quando m’insegnava musica, mi
parlava con un linguaggio che mi suonava stranissimo. Ricordo certe
espressioni tipo “pianissimo”,”andante con brio”, “allegretto” e molte
altre che leggevamo sugli spartiti e che mi sembravano misteriose, ma che
tuttavia capivo come un’altra lingua parlata dalle dita sui tasti del
piano quando, ad esempio, mentre suonava una composizione di Chopin,
diceva: “questo è il mormorare dell’acqua” o “questo pezzo Beethoven l’ha
scritto per raccontare a una ragazza cieca il chiaro di luna”.
A scuola invece il senso comune operava
secondo linguaggi che non lasciavano scampo. A proposito dell’essere
declinate: l’insegnante di ginnastica che, con aria vagamente spaventata,
in seconda media, mi dice: “ ma che bacino piccolo hai! Avrai difficoltà a
fare figli!”. Senza sapere come, avevo d’un tratto l’idea di avere un
corpo sbagliato. Non c’è una violenza invisibile in questo? Se penso a
tutte le energie che ho dovuto sprecare per convincermi di non essere
sbagliata provo una rabbia furibonda. Questa declinazione di genere segna pesantemente la vita quotidiana, materiale, delle donne. Anche degli uomini, certo. La differenza tuttavia è che in ogni caso è sempre a vantaggio degli uni sulle altre.
Allora il mio “no” è un no contro questo
invisibile modo di opprimerci che agisce nella vita di tutti i
giorni,attraverso il “senso comune”.
Un’istituzione, quella della famiglia e
dell’eterosessualità, violenta, che nega in realtà la differenza,
riducendola a pura biologia. Infatti il comportamento omosessuale non è
detto che sfugga all’istituzione eterosessuale – significati e
significanti, all’interno dell’immaginario che fonda la relazione, possono
rimanere assolutamente immutati. Come sempre, il problema si annida nel
pensiero, nell’essere, nella possibilità o meno di modificarsi.
Alcun* segnalano questo vuoto così, con un
asterisco.
Posso dunque esprimere concettualmente il
mio “no” in un asterisco che è una finzione, tanto quella della barra M/F.
Tuttavia queste finzioni grammaticali hanno un senso. Sono segni nuovi.
Dirmi che c’è un indicibile che spezza il senso d’identità e continuità tra il sesso e il genere, così come potrebbe essere tra l’appartenenza alla Terra come pianeta e un paese, tra la spiritualità e una religione istituzionalizzata, mi pone a margine di questo oceano nel quale nuotiamo…incapaci di concepire una qualche terra emersa. L’asterisco potrebbe essere il primo accenno di sistema respiratorio per affrontare una nuova tappa evolutiva del pensiero. Un pensiero difficile ma in grado forse di darci una libertà sconosciuta. Hanno voluto farci credere che la separazione che dà di fatto origine al linguaggio, è quella relativa al sesso, che individui sono coloro che s’identificano come maschi e femmine, identità rigorosamente codificate e definite e, che l’amore è ed è soltanto tra l’Uomo e la Donna e che questo è ciò che garantisce l’accoglienza della differenza e della diversità. Mai menzogna fu più grande. Se fosse vero gli uomini non ucciderebbero e non stuprerebbero, né si farebbero guerre o si perseguiterebbero persone di altro colore, cultura, orientamento affettivo.
La separazione, questo è ciò che sempre ho
oscuramente sentito, è data dalla separazione dal corpo della madre, è il
taglio del cordone ombelicale, è il pianto dopo la nascita, di un corpo
nudo gettato nel mondo, condannato all’altalena tra dolore e piacere ed
infine gettato nella solitudine e nella morte. Ma dire che, nella fantasia, nella cultura, nell’immaginario sia radicata l’idea d’un amore impossibile portatore di violenza e oppressione di un genere sull’altro, non significa che l’amore non esista, o che nei bambini non vi sia innocenza o che non ci sia speranza di trasformazione per l’umanità. Significa solo, di nuovo, che è necessario fare uno sforzo grande d’intelligenza e immaginazione.
26 dicembre 2005 |