Pisa-Maputo, non siamo così lontane

di Adriana Nannicini


Care tutte,

la presentazione di questo numero di Genesis a Pisa mi emoziona per motivi personali e politici:dal programma che ho ricevuto, vi imagino lì, tutte quelle che conosco e anche no, in quella Casa della donna dove “feci delle cose” 10 anni fa... anche lontana come sono. Ringrazio Sandra di essersi proposta come tramite per permettermi di partecipare ...Ho finalmente potuto avere tra le mani questo volume e cominciare a leggerlo, percependolo più ricco di suggerimenti e di pensieri e più innovativo di ogni mia immaginazione, esempio di “agire nel mondo”. Ringrazio Simonetta Piccone Stella e Anna Maria Bellavitis  per aver accolto la mia collaborazione e inserita in un progetto elaborato e realizzato con libertà.

Vi scrivo da Maputo, Mozambico, esattamente dall’altra parte del pianeta, dove le donne vivono un gap tutto diverso dai nostri. Elevata rappresentanza negli organi elettivi (dal parlamento alle governatrici regionali, è stata una donna il premier per 10anni, signora della Word Bank), appena approvata una Legge sulla Violenza Domestica, che dichiara essere questo un crimine pubblico...e dove è femminile il volto dell’AIDS, quello dell’analfabetismo, ma soprattutto dove la maggioranza delle donne vive nella condizione vincolata della agricoltura familiare di sopravvivenza , vita di fatiche inimmaginabili per noi e tessuta allo stesso tempo di grandi amicizie, solidarietà come di diffidenze e distanze. Vite complicate in un processo accelerato di cambiamento che non sempre porta con sè una modernizzazione come elemento di “emancipazione”,di maggiore possibilità di partecipazione pubblica. Ho incontrato le amministratrici, le funzionarie, le attiviste, le intellettuali, varietà di ruoli e funzioni presenti su scena attraversata prima di tutto dalle contraddizioni città-campagna. Eppure sono molte le invenzioni quotidiane e quelle sulla scena politica formale e istituzionale delle donne di qui, come ho imparato a vedere e capire...mi sembrano spesso dotate di smisurata pazienza e coraggio.

In questi anni osservo le donne mozambicane ( sono qui infatti per gestire un programma di appoggio al Ministero delle Donne), cercando di spogliare lo sguardo da stereotipi di tutti i tipi ( a cominciare da quelli che osannano alle donne africane come madri tutelanti l’agricoltura tradizionale: sì,anche, ma occorre saper vedere a che prezzo per loro e i bambini) e da quegli altri che le vogliono solo povere, solo analfabete..quando parlano tre lingue, alcune hanno viaggiato e studiato e lavorato in giro per ogni dove.
E dove le varie agenzie internazionali, le varie ong e la cooperazioni western countries , vedono una presenza rilevante di donne: varie età, varie expertises ( sminamento compreso), tante, visibili, competenti. E tra le italiane molte sono giovani, competenti e parimenti attratte dal  mondo “altro” quanto cervelli in fuga...anche se la precarietà/ flessibilità insegue le italiane che hanno contratti con la madrepatria fin qui. Dove invece sono assenti le nostre forme di ammortizzatori sociali, eppure le più giovani non chiederanno soldi a casa.
Non siamo così lontane. Come mi appaiono vicine le lavandaie romane del 700, sapienti e beffarde, come le sartine torinesi di un vecchio numero di Memoria.

Anche in Mozambico le ricercatrici universitarie si danno come tema “i confini oltrepassati ta produzione e riproduzione”  il lavoro retribuito e quello non, anche qui le domande sul legame del lavorare, nelle cangianti forme che assume, con civiltà e cittadinanza.


Mi colpisce che quest’anno escano Genesis flessibili/precarie, DWF “diversamente occupate”, un altro Quaderno di via Dogana: non ci sono dubbi sulla passione di conoscenza, di scambio che la nostra relazione con il lavorare suscita. “... nel farsi questione di vita, diventa questione di civiltà. Una questione enorme che non tocca solo la cittadinanza”
Passione che ha prodotto molta conoscenza, molta tela è stata tessuta; ampia e profonda e protetta dal welfare familiare è questa crisi economica, ma credo che il tema oggi si trovarsi insieme, sia quelle che si riconoscono come “flessibili” e quelle che vivono invece come precarie. Differenze di vissuti, di condizioni materiali, di impostazione teorica e politica, come tutto ciò che è stato scritto in questi anni evidenzia. Differenze su cui oggi possiamo esercitare quella capacità di ascolto che ci riconosciamo anche nel lavoro, e offrircela reciprocamente. Voi riunite lì (qui) vi immagino così, quelle che conosco, che vorrei abbracciare, e tutte, curiose ad ascoltare.
Credo che il punto sia come essere insieme, come fare insieme: sia come flessibili che come precarie abbiamo necessità di sponde, di regole, di essere pagate in tempi ragionevoli e certi, abbiamo, dai vari angoli in cui lavoriamo e da cui valutiamo come costruire queste sponde, esigenza di darci condizioni migliori e più sicure.

A mio avviso il tempo delle narrazioni è finito, so di condividere questa “certezza” con Sandra Burchi,  pur entrambe travolte da passioni per i racconti, di amori senza fine per storie e storytellers qua e là, ci diciamo adesso che non si tratta più di raccontare che esiste una “nuova condizione “ del lavoro, è già vecchia di più di 10 anni, si tratta di capire, insieme come voi in questa sala, come sviluppare quel patrimonio di conoscenze che abbiamo prodotto, di capire perchè c’è stato tra conoscere e agire uno iato, una separazione, di capire se e perchè un arresto sia avvenuto, se sono mancati un’alleanza, un dialogo tra noi , tra le nostre letture e proposte, questo il tema che mi sembra sul tavolo nella “nostra” agenda attuale. Perchè una separazione tra sapere e agire c’ è stata; e molte avvertono che oggi il punto è agire ed è ricomporre la separazione, anche tra le varie anime del movimento.
Credo che iniziative come questa di oggi aiutino a fare dei passi avanti.

 

Obrigada por vossa atenção.
Kanimambo. Grazie

Maputo, giugno 2010