Priorità del dialogo
di Marta Ghezzi


 

 

Lunedì 20 settembre 2004 si è tenuta a Pavia una fiaccolata interreligiosa nell’ambito delle iniziative promosse da Ponti di pace, con la partecipazione di credenti di varie religioni, laici ed agnostici.

Perché questo tema è così importante, non marginale, per gli aspiranti alla pace, credenti e non credenti?

Anzitutto perché l’unico antidoto alla spirale di odio,violenza e anche indifferenza che si registra a tutti i livelli è la pratica del dialogo, della diplomazia, della negoziazione, della mediazione, della politica alta che è l’arte della convivenza del superamento dei conflitti attraverso la parola.

Tra i vari dialoghi urgenti da coltivare c’è anche quello tra le religioni, tutte le religioni, non solo quelle monoteistiche ma anche quelle orientali, induiste e buddiste. E questo non solo perchè le religioni sono state spesso alibi e strumenti di guerra ma perché molte voci di religiosi e profeti, a volte considerate eretiche, sono stimoli importanti, essenziali per la pace, il perdono, l’amore non solo dei propri simili ma anche dei presunti nemici.

Le tradizioni religiose sono state nella storia e sono tuttora manipolate e strumentalizzate per giustificare violenze di ogni tipo, compreso il razzismo e la xenofobia, che rinnegano l’umanità e l’integrità di coloro che si trovano fuori dai confini di un dato gruppo, gli altri, gli stranieri, i miscredenti. Sappiamo quale ruolo abbia avuto il fervore religioso nell’alimentare i conflitti ma sarebbe troppo facile attribuire al puro spirito religioso una intrinseca tendenza alla divisione. Anche se è innegabile che i guerrafondai hanno attinto a piene mani dai simboli e testi religiosi, il germe della nostra sopravvivenza come genere umano trae nutrimento proprio dalle tradizioni religiose.

Il problema principale della nostra epoca è il rifiorire dei fondamentalismi, sia cristiani che musulmani che induisti, e di tutte le ideologie che ritengono di avere il monopolio della verità e il diritto di imporla agli altri con ogni mezzo compresa la guerra e la coercizione.

Il fanatismo è una componente onnipresente della natura umana. La gente che fa saltare in America le cliniche dove si pratica l’aborto, la gente che brucia moschee e sinagoghe è diversa da Bin Laden solo nella misura, non nella natura dei suoi crimini. I conflitti in corso non riguardano le religioni ma l’eterno conflitto tra fanatismo e pragmatismo, tra fanatismo e pluralismo, tra fanatismo e tolleranza. Anche tra i laici.

E allora è dalle forme alte di religiosità, non dal pensiero unico ma dal pensiero pluralistico che può venire il sostegno per praticare gesti di pace e di non violenza. La banalità del male, come ha dimostrato la grande pensatrice Hanna Arendt nasce dall’obbedienza cieca.

Sarebbe sciocco affermare genericamente che “tutti credono nella pace”. E’ evidente che qualcuno non ci crede, non tanto comunque da bloccare la vendita di armi, da chiudere le fabbriche di materiale bellico, da eliminare gli ordigni e dichiarare che la guerra deve diventare tabù.  

Occorre quindi sfidare le tradizioni nelle quali ci muoviamo e coloro che  vorrebbero negare la possibilità stessa che la non violenza incarna uno dei più nobili valori e dei più sacri principi della religione. La pace comporta una sfida a trovare un’alternativa. La non violenza non è un concetto importato da ambiti esterni alle nostre tradizioni  ma un invito a riscoprire quelle verità che lungi dall’allontanarci dalle sacre scritture ci spingono ad un incontro con gli inestimabili tesori della nostra tradizione.

Illuminante a riguardo è stato l’ultimo incontro interreligioso tenutosi a Milano recentemente dove esponenti di tutte le religioni hanno sottoscritto un comune appello per la pace pur rivendicando la propria specifica identità.

Non violenza e spiritualità sono ancora le due risorse su cui poggiare per  ritrovare il bandolo, comunque per dare un senso al quotidiano della nostra umanità. Come ha scritto il teologo Ramon Panikkar è ipocrita rivendicare le radici cristiane dell’Europa dal momento che abbiamo creato una civiltà in cui non solo il potere ma il prestigio sta nella ricchezza e chi non la possiede o non ha saputo acquisirla viene emarginato, e se la nostra educazione consiste solo nel fornire mezzi per guadagnare. Gente buona e cattiva ce n’è dappertutto e in tutte le religioni. Per definirsi cristiani,occorre essere divinamente umani, seguendo l’esempio di chi chiamò sé stesso Figlio dell’Uomo, pienamente umano alla pari che divino e che predicò che la salvezza non si limitava al popolo eletto. I suoi segni sono la Giustizia e soprattutto l’amore, che non sono patrimonio esclusivo del cristianesimo. Certo, dobbiamo parlare di cittadinanza, di diritto internazionale, di lavoro e di distribuzione equa delle risorse ma non permettere che le religioni e qualsiasi forma di pensiero diventi settario ed esclusivo e che si possa dialogare tra diversi senza uccidersi diventa davvero prioritario.

Ed è per questo che ogni percorso di pace deve partire da qui

 

Marta Ghezzi 
Marcia delle donne  

Pavia,  settembre 2004