Carol Gilligan La nascita del piacere
Manuela Pennasilico
Di fronte alle storie di mariti che chiudono le mogli in casa o le ammazzano di botte, di fidanzati che uccidono per gelosia le proprie ragazze, di uomini che aggrediscono o stuprano donne in un parco o in un garage, gli uomini cominciano a interrogarsi sull’immaginario che ha generato quella violenza, quell’oppressione, quella miseria delle relazioni e delle emozioni.
La violenza dei partner è la prima causa di morte e invalidità delle donne tra i venticinque e i quarantaquattro anni, ricordiamo che più del 90% delle violenze avviene nelle nostre famiglie e non per opera di maniaci per strada.
Stefano Ciccone è fondatore di “Maschile Plurale”, una rete di uomini attivi da vent’anni nel contrasto alla violenza di genere. In frequenti interviste sul significato della violenza sulle donne dice “Tutto questo mi riguarda, ci riguarda. Sono un uomo e vedo la violenza maschile intorno a me. Vedo anche, però, il desiderio di cambiamento di molti uomini. Scelgo di guardare in faccia quella violenza e di ascoltare quel desiderio di cambiamento. So che quel desiderio è una risorsa per sradicare quella violenza. Molto precocemente ai bambini maschi s’istilla, per paura dell’omosessualità, un codice di comportamenti che vanno a formare la gabbia della virilità -Non piangere come una femminuccia -Sei un maschio non devi avere paura, cc.”.
La domanda è quando intervenire? Come i padri affrontano il loro ruolo di trasmissione di regole dell’amore? Troviamo molte risposte in un bel saggio di Carol Gilligan “La nascita del piacere”.
Carol Gilligan è tra le più importanti autrici e studiose statunitensi nel campo della psicologia. E’ titolare della prima cattedra di Gender Studies a Harward e nel 2001 ha fondato il Center for Gender and Education.
Gilligan intreccia più piani di ricerca per individuare l’età della dissociazione, quando il sé, in seguito ad una traumatizzazione dell’amore, induce la psiche a dissociarsi dal corpo che diventa così il ricettacolo di esperienze che non possono essere conosciute né nominate.
Le interviste qualitative a coppie di genitori dei bambini nella scuola materna, le esperienze di genitori in terapia di coppia, le ricerche sulle ragazze in età evolutiva sono il materiale sia per un inventario dei modi della perdita di una parte sensibile e delicata di se stessi, sia per una geografia del piacere, perché Gilligan scopre anche che la dissociazione è un modo per conservare la sopravvivenza di un’anima amante del piacere, vitale, curiosa, fragile.
Per i maschi l’esito sorprendente è che l’assunzione degli attributi di genere della virilità, che ha come risvolto l’occultamento della fragilità e della tenerezza per gli amichetti e i genitori, perché emozioni non previste, avviene molto presto, in età prescolare. Nei giochi i ragazzi cattivi danno ordini con la voce dei padri, e impongono gerarchie per giocare il conflitto con i ragazzi buoni. Il copione con il ruolo dei bravi ragazzi e cattivi ragazzi è la base del patriarcato. La lotta si scatena intorno al ragazzo che è al vertice, sia bravo o cattivo non importa. Qualsiasi gerarchia crea tensione, competizioni e scissioni che impediscono ai soggetti di sentirsi liberi di amare.
La femminilità prende il campo nell’adolescenza: le ragazze, più strutturate emotivamente, fanno resistenza alla perdita della relazionalità. Il piacere della schiettezza e dell’apertura verso gli altri s’incrina quando le madri, più o meno consapevoli sentinelle del patriarcato, impongono l’adeguamento agli attributi di genere. La perdita della relazionalità in vista di relazioni strutturate dal patriarcato produce la perdita del piacere di stare semplicemente insieme e sicure accanto alla madre che fino ad un certo punto ha risposto con altrettanta sincerità e amore alla relazione.
Gilligan prestando ascolto alle voci delle ragazze in fase preadolescenziale, al loro l’impulso ad affermare la verità dei loro pensieri e delle loro emozioni e pertanto a mantenere l’associazione con se stesse e gli altri, individua a quest’età il momento della dissociazione. Le adolescenti assumono la voce della donna buona o della donna cattiva, voce che suscita una maggiore risonanza culturale e quindi una maggiore autorità, in un processo simile al trauma che riduce al silenzio la capacità di raccontarsi.
In verità i racconti ci sono e sono stati scritti da uomini. Gilligan analizza alcune figure femminili della letteratura, o meglio come i loro autori hanno cercato di rintracciare nelle tragiche storie d’amore la scintilla del piacere e dell’amore libero da regole imposte, e come il modello del rapporto tra i sessi preveda che l’amore porti alla perdizione e il piacere sia associato alla morte. E’ la filigrana del patriarcato che s’insinua nell’anima diventando una scelta predefinita. Le narrazioni di traumi reali e letterari costituiscono un’indagine appassionata delle relazioni tra uomini e donne, così spesso vissute e rappresentate in termini di perdita.
Il saggio è poi attraversato da una bella interpretazione della favola di Amore e Psiche che per Gilligan rappresenta la resistenza alla storia d’amore tragica. Nel mito l’ostilità di Venere nata dall’invidia verso Psiche, considerata per la sua bellezza la nuova Venere, occupa il centro della scena. Nella composizione del conflitto tra madre e amante del figlio Cupido, che s’innamora della ragazza, il triangolo edipico è sconvolto. Al posto di un mondo che ruota intorno ai padri si vede una costellazione costituita da due donne e un giovane uomo, dove i contorni dell’amore e dell’autorità sono sfumati. Psiche idolatrata per la sua bellezza sa che nessuno la chiede in moglie perché nessuno la vede come una donna ed è considerata una dea. Cupido, mandato dalla madre a punirla, s’innamora di lei e di notte ne è l’amante tenero e appassionato, senza che lei lo possa vedere. Psiche rifiuta un amore consumato nell’oscurità e un piacere del quale non può parlare.
A differenza di Giocasta che per proteggere il marito abbandona e storpia il figlio Edipo, Psiche sceglie di difendere se stessa e il figlio appena concepito dall’amore, preparandosi a uccidere il supposto mostro notturno. E quando con la lampada accesa vede Cupido, rimane incantata e casualmente giocando con le sue frecce, si ferisce e se ne innamora. O meglio scopre ciò che sa, che la tenerezza e la vulnerabilità del suo amante, corrispondono alla verità, scopre che è la scelta stessa di non riconoscere la sua esperienza, a fondarsi su false premesse. Il fatto è che Cupido non è un mostro, né alla fine lo abbandonerà.
La lettura del mito di Amore e Psiche ci dice che per ritrovare il piacere bisogna affrontare il dolore della perdita inevitabile della relazionalità, fare i conti con la paura dell’amore nell’esporsi all’altro. Come Psiche sceglie di amare nella luce e non nel silenzio, rifiutando l’invidia tra donne, la sua storia invita ad avere curiosità, passione, sincerità, sapere che ciò comporta dolore, perché solo attraverso dure prove si riuscirà ad amare ed essere amate e generare come Psiche una figlia di nome Piacere.
Scegliere di generare il piacere sembra facile. Non è così. Nella norma, improvvisamente si profilano il dovere, il lavoro, gli obblighi, la legge, il senso di colpa, le paure; o in stato di grazia il Piacere è trattenuto o sublimato. E’ la farfalla che nel gruppo scultoreo “Amore e Psiche” di Canova rappresenta la tenerezza e la dolcezza, farfalla appena trattenuta per le ali da Psiche e deposta sulla mano protesa di Eros.
Carol Gilligan
La nascita del piacere,
Einaudi, 2003, pp. 234, €14
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