Carol Gilligan: «Viviamo in un mondo senza
relazioni»
Parla la
teorica femminista. "Con voci diverse", il suo ultimo studio,
analizza la personalità scissa creata dal patriarcato
di Elenora Cirant

Debora Hirsch
Da più di trent'anni
Carol Gilligan
ascolta la voce delle donne, parole chiare sulla filigrana di silenzi e
censure. Giovane ricercatrice di psicologia, si accorse che gli studi
sullo sviluppo del soggetto morale erano condotti solo su soggetti
maschili. Scombinò i parametri, ascoltando le voci di donne che avevano
abortito. Seguì la traccia, indagò più a fondo, esplorò infanzia e
adolescenza nel momento di passaggio dell'"iniziazione al genere", quando
cioè i maschi imparano a fare "i maschi" e le femmine "le femmine",
interiorizzando i modelli di comportamento del patriarcato. «Poiché pone
alcuni uomini sopra ad altri uomini e subordina le donne, il patriarcato è
un ordine di dominio. Ma dividendo alcuni uomini da altri, e tutti gli
uomini dalle donne, dividendo i padri dalle madri e le figlie dai figli,
il patriarcato crea una spaccatura nella psiche, dividendo ciascuno da una
parte di se stesso», scrive Gilligan in un volume che contiene, tra gli
altri interventi, una sorta di autobiografia politica (Con
voci diverse, cura di Bianca Beccalli e Chiara Martucci, La Tartaruga,
2005).
Se ci guardiamo intorno il paesaggio è desolante. Da un lato, l'insistenza
della Chiesa affinché le donne si identifichino nel ruolo "naturale" di
madre/moglie dedita alla cura. Dall'altro, i messaggi delle fiction
che raggiungono l'immaginario di più donne che qualsiasi documento
politico, come le sensuali protagoniste di Sex and the city,
rigorosamente single, metodiche nel separare il sesso dall'amore.

Carol Gilligan
Pare che noi donne ci troviamo schiacciate in una
falsa alternativa tra modelli di femminilità dicotomici. Cosa ne pensa?
In entrambi questi modelli non c'è nessun
cambiamento rispetto al paradigma dominante. Dividere l'individuo dalla
famiglia, il sesso dall'amore fa parte del vecchio schema che produce
individui scissi. Negli Stati Uniti c'è la stessa pressione per il ritorno
ai valori della famiglia tradizionale. I conservatori dimenticano che
proprio in famiglia le donne subiscono maggiore violenza. L'incidenza
dell'incesto tra le mura domestiche è molto alta. Di fronte a due modelli
dicotomici, alcune donne scelgono di fare quello che gli uomini
generalmente fanno, pochi uomini scelgono quel che fanno ora le donne. Non
c'è libertà in questo, perché i modelli rimangono inalterati. Le donne
sono "libere" di dividere il sesso dall'amore, ma, ancora oggi, il
problema è parlare d'amore. Le mie studentesse riescono a parlare di sesso
ma non di amore perché hanno difficoltà a pensare alla possibilità di
avere un relazione, specialmente con un uomo, se non rinunciando ad essere
se stesse. La liberazione vera consiste nell'affermazione di un nuovo
paradigma sia per le donne che per gli uomini. Abbiamo realizzato tanti
cambiamenti rispetto al modello della famiglia e al ruolo della donna ed
ora la reazione è molto forte. Si tende a tornare ai modelli tradizionali
proprio perché sono sfidati.
E nel rapporto d'amore tra donne?
La cosa è più complicata, ma interessante da analizzare. Il fatto è che
anche i rapporti tra donne sono all'interno della società e del paradigma
patriarcale. E' tabù parlare della violenza all'interno delle coppie
lesbiche. E' una realtà taciuta, come se fra donne non potesse esserci
violenza.
Le donne che fanno politica nei partiti, anche
quelli di sinistra, denunciano le relazioni gerarchiche. Ma la necessità
di fare sentire la propria voce e di incidere nelle scelte politiche è
logorante e induce molte donne a tenersi fuori dai partiti. Qual è
l'alternativa? Cosa ne pensa di un partito delle donne?
Nei partiti, nelle università, nel mondo del lavoro… logorante è la parola
esatta. Chi non si identifica nel vecchio paradigma lo trova stupido e si
chiede: perché devo adeguarmi? La questione del partito delle donne è
cruciale. Negli Stati Uniti se ne parla molto. Più di cinquecento donne da
tutto il mondo si sono riunite in un recente convegno ponendosi la
domanda: è arrivato il momento di porci il problema del potere. Come? Le
donne presenti, consapevoli di tutte le diversità (etniche, sessuali,
ecc.) partivano dal presupposto che il vecchio paradigma è stupido e
inefficace. Si è parlato della possibilità di fondare un partito delle
donne, aperto a donne e uomini che rifiutano il vecchio paradigma. Il
punto è come avere legittimità, data la persistenza di vecchi pregiudizi:
le donne non sono capaci, sono emotive, non fanno le cose seriamente… Dal
punto di vista psicologico, il problema è autorizzarsi a pensare che si
può esercitare il potere in un modo diverso da come è sempre stato fatto.
E' difficile il passaggio politico ad un partito delle donne senza un
numero sufficiente di individui che attuano dentro di sé questo
cambiamento. Le alternative sono ridicolizzate e private di legittimità.
Quali sono i canali per favorire questo passaggio?
La trasformazione deve partire dall'interno, non può essere qualcosa che
viene dall'esterno. Studi psicologici e neurologici hanno dimostrato
l'esistenza della capacità umana di comprensione, ascolto e
interconnessione. Bambini e bambine sentono chiaramente cosa stia
accadendo intorno a loro, se c'è amore o violenza. L'educazione ha un
ruolo fondamentale perché interviene dicendo: questa non è violenza, è
amore; la guerra non è violenza ma è utile… eccetera. Così si impara a
soffocare la propria capacità di ascolto e comprensione, e si è educati a
mentire. Spesso le donne guardano alla fiction come strumento per avere la
verità, in realtà cercano un canale per confermare che quello che provano
è reale. Educazione e cultura popolare sono canali importanti e andrebbero
utilizzati per favorire ciò che è già dentro di noi, donne e uomini,
quanto a capacità di relazionarci.
Lei ha scritto che le donne sono portatrici di
un'etica della cura. In che modo questo approccio ci è utile nel parlare
delle tecnologie riproduttive? Le donne che le utilizzano sono spesso
accusate di egoismo.
La relazione non può essere oblativa, cioè non può escluderti, tu stessa
ne sei compresa. Essere senza se stesse significa non poter essere in
relazione. Io critico quando l'etica della cura viene ricondotta a modelli
di femminilità oblativa. Nella femminilità e nella mascolinità
patriarcali, l'uomo è concentrato su di sé e perde di vista la relazione
con gli altri, la donna viceversa è concentrata sugli altri e perde di
vista se stessa. In entrambi i casi, l'uno e l'altra perdono la capacità
di essere in relazione. Le tecnologie riproduttive permettono alla donne
azioni prima impossibili per motivi economici o biologici, come avere
figli dopo i 40 anni oppure utilizzando lo sperma senza avere relazione
con un uomo. Gli uomini hanno sempre fatto queste cose. Ora che anche le
donne hanno questa possibilità, le accusano di essere egoiste.
questo articolo è apparso su
Liberazione
del 27 settembre 2005
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