Alle giornaliste

di Marina Cosi

Alla Cpo/Fnsi, Roma

Milano, 25 novembre 2005

Carissime tutte, presidente coordinatrice e colleghe.
Per la giornata internazionale contro la violenza sulle donne (oggi 25 novembre), la Ifj ha preparato una Raccomandazione sulle modalità di fare informazione sul tema, a cui ho collaborato nella versione italiana. L'embargo era sino al 24 incluso. A presidente e segretario Fnsi, preavvisati ieri al termine dell'embargo, ho mandato i testi con la preghiera di metterli sul sito federale.
Si tratta di una premessa e di un decalogo che s'è deciso di scindere in due testi differenti. A voi tutte la preghiera di darne la massima divulgazione, soprattutto presso le redazioni, beninteso anche voi se siete d'accordo. Ma son certa lo siate...
Tenete conto che la stesura finale è stata il frutto di una mediazione fra le diverse "anime" entro il Gender Council (mediterranea e nordica per intenderci): ne è un esempio l'insistenza sull'utilizzazione del termine "sopravvissuta" in luogo di "vittima".

 

Come fare informazione sulla violenza alle donne

INTRODUZIONE

 

In che consiste la violenza esercitata contro le donne?

Secondo la Dichiarazione delle Nazioni Unite del 1993 sull’eliminazione della violenza contro le donne, le parole “violenza nei riguardi delle donne” designano tutti gli atti di violenza diretti contro il sesso femminile, e che causano o possono causare alle donne un pregiudizio o delle sofferenze fisiche, sessuali o psicologiche, inclusa la minaccia di tali atti, l’imposizione o la privazione arbitraria della libertà, sia essa nella vita pubblica o in quella privata. Ciò comprende: la violenza domestica, sessuale e psicologica, la prostituzione forzata, il traffico umano a fini di lavoro coatto o di prostituzione, lo sfruttamento sessuale, la persecuzione sessuale, gli atti sanguinosi o mutilanti tradizionali (inclusi delitti d’onore ed infanticidi) e ogni altra pratica discriminatoria nei confronti delle donne.

L’Organizzazione mondiale della salute (OMS) ha inoltre compilato una casistica che illustra per esempi le violenze fatte alle donne:

  • stupro da parte del partner (entro o fuori il matrimonio) o da parte di sconosciuti;
  • stupro sistematico durante i conflitti armati (inclusi i rapimenti di ragazzine per fecondarle);
  • approcci sessuali non voluti, inclusa la richiesta di sesso in cambio di favori;
  • nozze o convivenza forzate, incluso il matrimonio di bambini;
  • negazione del diritto alla contraccezione o del diritto ad adottare misure per proteggersi dalle malattie sessualmente trasmissibili;
  • gesti violenti che ledono l’integrità sessuale o fisica delle donne, incluse le mutilazioni genitali, i controlli obbligatori della verginità e l’aborto forzato;

     prostituzione coatta e traffico umano internazionale a fini sessuali.

Human Rights Watch registra che: secondo l’OMS quasi una donna su quattro ha nel mondo subito violenze sessuali nel corso della propria vita. Circa un terzo delle donne ha subito aggressioni fisiche da parte di un uomo con cui aveva una relazione intima. Le vite segnate dalla violenza spesso minimizzano tali violenze per la pressione sociale esercitata dalla comunità d’appartenenza, temono per la propria incolumità e non hanno il sostegno delle istituzioni deputate, in teoria, a proteggerle.

Amnesty International segnala che:

  • in Europa, la violenza domestica è una delle prime cause di morte e invalidità delle donne fra i 16 ed i 44 anni;
  • negli Stati Uniti, una donna è violentata ogni 6 minuti; una donna è picchiata ogni 15 secondi;
  • lo stupro delle donne è normale consuetudine durante i conflitti armati come in Colombia o nel Darfur;
  • il traffico di donne è diventato un fenomeno mondiale le cui vittime sono sfruttate sessualmente, adibite a lavori forzati e vittime d’abusi. Gli assassinii di donne in Guatemala, Russia, India e in altri Paesi non vengono indagati e restano impuniti.

In molti Paesi la violenza domestica  non è neppure sanzionata dalla legge e le norme giuslavoristiche riguardanti i soprusi sul lavoro e le sistematiche vessazioni sono deboli o inesistenti.

Cosa possono fare i media?

Oltre alla necessità di dar conto di questo problema diffusamente e con la dovuta sensibilità, i media dovranno adottare una propria cultura del rispetto, che elimini ogni forma di vessazione e sopruso o qualsivoglia discriminazione basata sull’appartenenza di genere.

I media devono nello stesso modo procedere a verifiche su se stessi, accertandosi di aver fornito, anche nei casi di violenza contro le donne, la relativa notizia in maniera corretta, precisa ed appropriata.

Le notizie di violenza nei confronti delle donne e delle adolescenti hanno in generale una scarsa o imprecisa copertura mediatica. E’ il caso degli stupri sistematici esercitati durante i conflitti armati, spesso da parte di entrambi i belligeranti. Infatti il Progetto mondiale di monitoraggio dei media (GMMP) evidenzia come la violenza domestica e quella sessuale siano i temi meno trattati nel novero di quelli in cui le donne sono presentate come vittime.

I media debbono impegnarsi innanzitutto a fornire al proprio pubblico un resoconto realistico, completo e preciso del terribile eccesso di violenza contro le donne su scala mondiale.

Tuttavia un reportage su un argomento così delicato non lo si può improvvisare. Occorre professionismo, umanità e rispetto. Ignorare queste importantissime esigenze quando ci si trova di fronte alle persone aggredite, ad esempio intervistandole in modi rozzi o aggressivi, può aggravare il loro trauma e la loro sofferenza, nonché il protrarsi nel tempo degli effetti deleteri dell’ingiuria subita.

FNSI – Roma, 24 novembre 2008

 

Raccomandazioni della Federazione internazionale dei giornalisti – Ifj -

per l’informazione sulla violenza contro le donne

 

  1. Identificare la violenza inflitta alle donne in maniera esatta attraverso la definizione internazionale inclusa nella Dichiarazione delle Nazioni Unite del 1993 circa l’eliminazione della violenza nei confronti delle donne.

  2. Utilizzare un linguaggio esatto e libero da pregiudi. Ad esempio, uno stupro o un tentato stupro non possono venire assimilati ad una normale relazione sessuale; inoltre il traffico di donne non va confuso con la prostituzione. I giornalisti dovranno riflettere sul grado di dettagli che desiderano rivelare. L’eccesso di dettagli rischia di far precipitare il reportage nel sensazionalismo. Così come l’assenza di dettagli rischia di ridurre o banalizzare la gravità della situazione. Evitare di colpevolizzare in qualche modo la persona sopravvissuta alla violenza (“se l’è cercata”) o di far intendere che è responsabile degli attacchi o degli atti di violenza subiti.
  3. Le persone  colpite da questo genere di trauma non sempre desiderano venir definite “vittime”, a meno che non utilizzino esse stesse questa parola. Venir etichettati può infatti far molto male. Un termine più appropriato potrebbe essere “sopravvissuta”.

  4. Un reportage responsabile implica l’assunzione dei bisogni della sopravvissuta anche al di là dell’intervista. E’ opportuno che l’intervistatrice sia una donna. Il luogo dell’intervista dev’essere sicuro e riservato, nella consapevolezza che può innescare un dramma sociale. Sta ai media evitare di esporre la persona intervistata ad ulteriori abusi: certi comportamenti ne possono mettere a rischio la qualità della vita e la posizione in seno alla comunità d’appartenenza.

  5. Trattare la sopravvissuta con rispetto. Informandola cioè, in maniera completa e dettagliata, circa i soggetti citati nel corso dell’intervista e le modalità d’utilizzazione dell’intervista stessa. Le sopravvissute hanno il diritto di rifiutarsi sia di rispondere alle domande sia di divulgare informazioni ulteriori rispetto a quelle che desiderano rivelare. Il giornalista deve lasciare alla persona intervistata le proprie coordinate, per permetterle di ritornare in contatto se lo desidera o ne ha necessità.

  6. L’uso di statistiche e informazioni sull’ambito sociale permette di collocare la violenza nel proprio contesto, entro una comunità o un conflitto. I lettori e gli spettatori hanno bisogno di un’informazione su larga scala. Utilizzare l’opinione di esperti, come quelli dei DART (Centri post-traumatici),  amplifica la comprensione del pubblico e fornisce informazioni precise ed utili, contribuendo a sconfiggere l’idea che la violenza contro le donne sia una tragedia inesplicabile e irrisolvibile.

  7. Raccontare la vicenda per intero: spesso i media isolano degli incidenti specifici e si concentrano sul loro aspetto tragico. Sarebbe invece conveniente mostrare anche  come la violenza s’iscriva in un problema sociale ricorrente, proprio d’una guerra o della storia d’una comunità.

  8. Difendere la riservatezza: fra i doveri etici dei giornalisti  c’è la responsabilità di non citare i nomi o identificare i luoghi la cui identificazione potrebbe mettere a rischio la sicurezza e l serenità dei sopravvissuti e dei loro testimoni. Una posta particolarmente importante allorché i responsabili della violenza sono forze dell’ordine, forze armate impegnate in un conflitto, funzionari di uno stato o d’un governo o infine membri di organizzazioni potenti.

  9. Utilizzare le fonti locali: i media che assumono informazioni da esperti, organizzazioni di donne o territoriali su quali possano essere le migliori tecniche d’intervista, le domande opportune e le regole del posto otterranno buoni risultati ed eviteranno situazioni imbarazzanti o ostili; come ad esempio che un cameraman o un giornalista s’introducano in spazi appartati. Da qui l’utilità d’informarsi precedentemente su costumi e contesti culturali locali.

  10. Fornire informazioni utili: un reportage che citi recapiti e coordinate degli intermediari, delle organizzazioni e dei servizi d’assistenza svolge una funzione utile e spesso vitale nei confronti dei sopravvissuti, di testimoni e loro familiari, ma anche di tutte le altre persone che potranno venire colpite da un’analoga violenza.


Contatto Ifj (Gender Council) +32.2.2352200;
Contatto Fnsi nel Gender Council (Marina Cosi) +39.06.680081

 

25-11-2008

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