|   Il 
        giustiziere di 
        Lea Melandri 
 
  
   L'omicidio di un rapinatore e il ferimento di un altro da parte di un 
        tabaccaio milanese, il 17 maggio in piazzale Baracca, nonostante sia venuto 
        dopo una sequenza di episodi analoghi in altre città d'Italia, 
        si è imposto all'opinione pubblica con un rilievo particolare. 
        Sono comparsi gli stereotipi più immediati di un immaginario collettivo 
        cresciuto nel mito americano - l'eroe con la pistola, la giustizia "fai 
        da te"-, ma si sono dovuti confrontare subito con segnali provenienti 
        da anonimi cittadini, o da inchieste ufficiali che parlavano una lingua 
        diversa e che chiedevano spiegazioni meno semplificate. Stando alle statistiche 
        che danno in calo la richiesta di porto d'armi e gli omicidi, la "legge 
        del Far West" sembra destinata a restare ancora a lungo il sogno 
        e l'incubo di un'Europa agitata dall'invasione di migranti e da una crescente 
        microcriminalità.
 
 A contrastare l'immagine fin troppo prevedibile del "giustiziere" 
        da una parte, del "bandito-aggressore" dall'altra, hanno contribuito 
        sicuramente i tratti comuni, così poco "eroici", dei 
        protagonisti, scarni profili di vita in cui molti hanno potuto riconoscersi: 
        né troppo ricchi né troppo poveri, addestrati alla fatica 
        delle buone e delle cattive abitudini, proprietari di un'arma che non 
        avrebbero mai voluto usare, "persone che desiderano soltanto a sera 
        tornare a casa dopo aver messo al sicuro l'incasso della giornata", 
        e che uomini più giovani, dell'età dei loro figli, inquieti 
        e decisi a "vivere alla grande", hanno costretto a diventare 
        "omicidi controvoglia". Una 'normale', quotidiana insicurezza, 
        amplificata dai pericoli che tengono ormai da tempo col fiato sospeso 
        il modo intero, sembra aver minato senza rimedio le attese che ogni individuo 
        è chiamato a riporre nelle istituzioni pubbliche e nei rapporti 
        comunitari. Il senso di giustizia, prima di diventare tale, è paura, 
        risentimento, desiderio di vendetta, risposta "privata" all'azione, 
        simile e opposta, di chi antepone il vantaggio personale al bene comune. 
        Resta da chiedersi perché una società avviata a trasformarsi 
        in uno Stato di polizia, disposta a lasciarsi mettere il " guinzaglio" 
        dei dispositivi elettronici che la sorvegliano notte e giorno, si ritrovi 
        paradossalmente scoperta nelle sue radici, nelle passioni e nei gesti 
        primi a cui è affidata la sua continuità. Mentre si ingigantisce 
        il corpo virtuale di una massa di cittadini schedati, fotografati, digitati, 
        le vite dei singoli sembrano svincolarsi sempre più e prendere 
        una consistenza propria. Lasciato sempre più solo, nel vuoto di 
        legami comunitari e di forti presenze istituzionali, l'individuo riscopre 
        pulsioni sopite, dove la seduzione dell'uccidere non è poi così 
        lontana dal sogno di una vita quieta, dove la voglia dell'uno a dare soddisfazione 
        immediata a un'offesa può accompagnarsi al sentimento di pietà 
        che muove l'altro a lasciare un fiore sul luogo che ha visto un aggressore 
        trasformarsi in vittima.
 
     Articolo 
        pubblicato su Carnet- agosto 2003     |