L’isola di Lesbo e gli imbecilli

di Cristina Gramolini

 

Il senatore Saia, detto “l’imbecille” da Fini, ha espresso un bislacco parere: Rosy Bindi non sarebbe adatta a guidare il Ministero della famiglia in quanto lesbica. Si aggiunge così un altro elemento alla lista, stilata dalla chiesa cattolica, delle cose che le lesbiche e i gay non dovrebbero fare: inadatti all’insegnamento, alla vita militare, al ruolo di preparatori sportivi. La dottrina è stata sviluppata in questi mesi dedicati all’opposizione ai Pacs: lesbiche e gay non si possono sposare, né unire civilmente, né avere figli perché intrattengono amori deboli, che non sono aperti alla creazione di nuova vita, le loro relazioni non sono famiglie e “minano la verità della natura umana”. Per i fervidi sostenitori di questa posizione lesbiche e gay dovrebbero nascondere la loro vita affettiva e non disturbare la quiete altrui con le manifestazioni dei pride lgbt (lesbiche, gay, bisessuali, transgender). E così via. Sembra di leggere le esclusioni dettate dalle leggi razziali.

Ma veniamo alla boutade di Saia: non gli può sfuggire che anche il papa e Ruini e tutti i vescovi e sacerdoti non fanno famiglia, ma a loro Saia attribuisce competenza sul tema.

Allora o è davvero un imbecille che non sa costruire un ragionamento coerente, o più probabilmente ha formulato un argomento pretestuoso al solo scopo di far sapere che Rosy Bindi è lesbica: quello che in gergo si chiama *outing*, che è molto diverso dal coming out, che consiste nella volontaria dichiarazione di omosessualità da parte della persona interessata. Outing è dichiarare che altri è omosessuale, allo scopo di danneggiarlo e denigrarlo.

Rosy Bindi è stata colpita da una punizione premeditata per la scarsa acquiescenza ai dettati del Vaticano delle sue opinioni laiche sulle coppie di fatto. E’ importante che Rosy Bindi abbia detto: “Non avrei nessuna difficoltà a dichiararmi omosessuale se lo fossi”, significa che per lei non ci sarebbe di che vergognarsi, né sentirsi diminuita. Sarebbe bello se le lesbiche e i gay del parlamento che non l’hanno ancora fatto, cogliessero questa occasione per venire allo scoperto.

Molti commentatori sono rimasti turbati per la volgarità dell’episodio, suppongo per l’uso del termine “lesbica”, ma è segno di una certa lontananza dai linguaggi della cultura italiana e europea, dove il termine “lesbica” ha da tempo cessato di essere un vocabolo da turpiloquio e indica semplicemente la donna omosessuale, con un riferimento aulico a Saffo, la poeta di Lesbo che nel VII sec. a. C. cantava sublimi amori femminili.

Dunque fa bene Bindi a chiamarsi fuori dal lesbismo se non è il suo stile vita, ma io non mi indignerei per l’uso del termine. Certo nella mente del presunto imbecille, dare della lesbica a una donna è degradarla, ma questo attiene ai suoi riferimenti di valore, che però non sono i nostri. Per i razzisti, i termini che indicano i soggetti minoritari diventano insulti: ebreo, albanese, musulmano, lesbica ecc. Forse loro davvero meriterebbero che il movimento lgbt cominciasse fare outing nei riguardi di personaggi che militano in gruppi omofobici, dai partiti di centro destra alla chiesa, come è avvenuto negli Usa.

Vedo il caso in questione come una delle picconate eversive che il centro destra sta assestando al nuovo governo, non penso che Saia sia un imbecille ma un guastatore, uno dei tanti camerati mobilitati a fomentare il disordine. Le destre hanno perso le elezioni, ma non accettano il risultato e provano a sovvertirlo, seminando dubbi e veleni su brogli inesistenti, denunciando difetti inventati nelle procedure istituzionali, creando il caos con i cori in parlamento e alimentando nel loro elettorato la speranza di un impossibile rovesciamento rapido del voto.

A queste tecniche si aggiunge ora l’intrusione nella sessualità dei ministri, a cui secondo me si dovrebbe rispondere smontando l’impianto dei disvalori della destra, concretamente esplicitando che le lesbiche (come gay, trans, ebrei, musulmani…) sono perfettamente in grado di occuparsi di qualunque settore della vita associata, come già fanno, vivendo nella nostra società dove offrono le loro competenze. Solo così l’imboscata sarà resa nulla e verrà mandato al paese un messaggio civile e non regressivo.

Sergio Lo Giudice ha ricordato che “essere omosessuale e ricoprire cariche politiche di primissimo piano è ormai una realtà consolidata in Europa, come dimostrano i casi del sindaco di Parigi Bertrand Delanoe, di quello di Berlino Klaus Wowereit, del presidente della Regione Puglia Nichi Vendola e di numerosi ministri apertamente gay del governo inglese”. A un Saia che dice “lesbica”, basterebbe rispondere semplicemente: “nazionalalleato!”.

 

questo articolo è apparso su Liberazione del 26 maggio 2006