La L
La grande bellezza       

aaaPatrizia Gioia      

 

Un antico detto cinese diceva che se una o due persone sono d’accordo con te, o sei tu o sono loro ad avere ragione, ma se tu hai un pensiero e tutti gli altri sono contrari, allora sei tu ad avere ragione perché non si è mai vista la verità condivisa da tutte le persone.

Mi pare questo detto c’entri con l’ultimo film di Sorrentino, “la grande bellezza”, uno straordinario affresco sulla fine della fine della nostra dolce vita, se proprio vogliamo affiancarlo a quella di felliniana e flaiana memoria, anche se, a parer mio, non ce n’è proprio di bisogno, tanto bene si regge da solo il nostro Jippino, pur se di memoria ne abbiamo oggi più che mai necessità.

S’hanno da reggere i primi dieci minuti. Prima cosa non capisci se stai vedendo una pubblicità o uno di quegli inutili documentari che precedono il film; secondo incominci a muoverti sulla sedia, a guardarti in giro e a chiedere ma è il film giusto o ho sbagliato sala?; terzo ti confondi dentro quel carrozzone di baccano, vieni azzannato dalla ferocia di quelle facce, fagocitato da una realtà che è la tua ma che non vuoi vedere e alla fine cedi e ti concedi pensando che se dovessi immaginare l’ingresso all’inferno, mica male questo qui. Tanto l’inferno ti dici- è sempre perduto-, dannandoti ancora una volta per il gran peccato di ignoranza.

Roma o Pechino, Berlino, Vienna, Benares, tutte porte per l’inferno e noi dentro come tonni nelle tonnare, che abbiamo devastato e violato per una gran paura di divenire noi i tonni. E si sa che quel che si sacrifica torna con un prezzo più alto ( tonno in scatola compreso).

Ma nessuno di voi lo sente ogni giorno il “nostro” Modugno che urla: piglialo, piglialo! attaccalo ! fiocina, fiocina !

Ma no, niente, quel che conta è dribblare, ma anche a pallone siamo alla fine della bella vita.

C’è un a solo di Servillo che vale tutto il film. Inutile dire della sua bravura, questa volta, non solo il volto, ma tutta la sua figura è un erotica milonga, ballata in solitaria con giacca a colori di piume d’uccello... in salotti marron .

Un a solo che sbavaglia lentamente e accortamente ogni nostra menzogna - quelle che ci raccontiamo allo specchio tra crema da barba e rossetto - per dirci che siamo brave persone, fedeli mariti e fedeli mogli e premurosi padri e madri dei nostri figli, che ci diamo da fare nel sociale, volonterosi solidali empatici, siamo scrittori buoni perché pubblicati da buone firme ( dimenticando che la firma non è il nome e dimenticando di ricordarcelo di chi eravamo amanti e del perché di quel libro andato anche in tv, uh, uh, uh).

Insomma arriva una sera – o solo lo si spera? - che finalmente qualcuno stanco di sentire frottole ci svela quello che si è dovuto prima dire da solo, del resto è arrivato anche lui così ... nel salotto marron; ma sui sessanta è cosa buona e giusta iniziare a sedersi davanti al mare, anche perché a questa età una donna solo bella non basta più ( parola di Jip)..

E se c’è un viso e un cuore giovane, uno che trema e che ancora sa arrossire davanti al femminile, uno che si fa domande e che non gli rimane che Proust come modello che lo chiama alla profondità della Vita dove noi siamo il senso, che fine pensate possa fare, confuso tra individui confusi, che, a differenza di lui, non sanno più sognare?

E che bello una sera stare insieme nel letto sfatto a furia di volersi bene senza fare sesso, persino il soffitto ha smesso di essere viola, ha sapore di sale dato che è diventato mare.

E’ un film reale sulla nostra realtà tragicomica.

Personaggi da circo, ci siamo proprio tutti, nani, saltimbanchi e ballerini, qualche nobile e prelato decaduti che svendono l’anima credendola antica armatura e dolore d’artrite, campionari di ogni ben di Dio finiti male.

Un film così non poteva certo furoreggiare a Cannes ( ecco il perché del detto cinese), oggi è giorno di sposalizi gay, oggi c’è nuovo prodotto da buttare sul mercato, tanto, come scriveva l’amato Flaiano, siamo tutti turisti e, come tali, non veniamo feriti non solo da quel che vediamo, ma nemmeno da quel che facciamo e siamo.

Oggi viviamo senza conoscenza e coscienza, dimoriamo e moriamo in nessun luogo aspirando all’eutanasia come forma ultima di sanità e santità, e siamo contenti, saltiamo e balliamo come polli, pronti per lo spennamento; avanziamo come uno stuolo di soldatini allineati, una volta ci avevano insegnato il passo d’oca e la mano alzata, oggi non ci resta che “famolo strano” e contemporaneamente speriamo che s’ingrossi anche il PIL.

La bellezza ci salverà, diceva uno non facile a dire trombonate, ma per vedere, non solo la grande, ma la più piccola bellezza che ci chiama, occorre un nuovo tessuto, oltre che per il salotto soprattutto per l’umano, possibilmente non più marron, chè se lo vede la ministra c’è possibilità di nuove inutili proposte parlamentari, tra sempre più poveri umani.

 

 

30-5-2013