Gruppo Donne e Scrittura

 

Il Gruppo Scrittura ha preparato la pubblicazione degli scritti degli ultimi due anni nel testo Pensare la cura, curare il pensiero. Confronto di esperienze.Per esemplificare il nostro percorso qui ne proponiamo un estratto.

Siamo partite dalla attribuzione alle donne dei lavori di cura, in casa o negli spazi sociali (ospedali, scuole ecc.) e ci siamo interrogate sul fondamento di questo che appare un destino in qualche modo “naturale”, ma che è fonte, nel vissuto reale, di conflitti e ambivalenze.


LA CURA : NECESSITÀ O SCELTA ?

Bisogno di cura

Tutte le volte che mi sono trovata a rispondere al bisogno di cura che mi veniva richiesto, ho sempre pensato che forse un giorno quell’attenzione mi sarebbe stata restituita oppure mi piaceva pensarlo. Do ut des? Solo un pensiero egoistico? A me pare una legge della vita: un tempo i vecchi venivano accuditi dai figli o dai parenti, gli stessi per i quali si erano prodigati nel bene e nel male. E ora? Sembra quasi impossibile l’idea di chiedere a un figlio o a quello che resta della famiglia mononucleare un sacrificio così grande. Perché? (Sisa)

Cos’è la cura

Per il vocabolario la cura è “pensiero attento e costante”, ma è anche “occupazione, attività” ed ancora “preoccupazione, affanno”. …Quando ci dedichiamo agli altri il nostro essere ‘con e ‘per’ una persona significa non solo donarle tempo, energia, risorse, ma soprattutto affetto ed empatia, ovvero il sé attenua o abbatte le proprie difese, i propri confini per comprendere ed avvolgere l’altro,... in una sorta di fusione, (…) uno svuotamento e arricchimento continuo ed estenuante, l’infinita dialettica del dare ricevendo, in cui è facile smarrirsi (…).

Prendersi cura di qualcuno dovrebbe essere il più possibile una scelta, ma quando invece viene travolta dall’obbligo e necessità (…) le tre componenti (...) della cura, scelta- necessità-potere, sono in forte squilibrio. Ne consegue che, se non c’è una rete di persone solidali disposte a ripartirsi l’incombenza, la donna, su cui questa, di solito, ricade completamente, fatica a mantenere il proprio spazio vitale, il tempo e l’energia da dedicare a se stessa. (Grazia)

Accudimento e cura

E allora eccomi qui, davanti a un nodo: accudimento e cura. Accudimento e cura si intrecciano, si sovrappongono…ma io ho deciso di snodarli. L’accudimento è seguire l’assistito fornendogli ciò di cui ha bisogno . Un professionista può erogare accudimento con tutta la serietà delle sue competenze: infermieri, assistenti socio-sanitari, assistenti per l’infanzia, assistenti per anziani…

La cura raramente è una professione, anche se un buon professionista ne mette sempre un pizzico. Attiene più alla sfera personale e, soprattutto, è una scelta. E’ affetto, fatica, ripetitività, gioia, relazione, sofferenza, dono. Può anche essere accudimento, se lo si sceglie; la cura può contenerlo, ma ancora una volta la scelta fa la differenza. Dunque, la cura, depurata da un accudimento non voluto o arricchita dalla scelta di farlo, perde parecchio delle sue pesantezze (Angela)


La scelta della cura e la delega dell’accudimento

La cura quanto è scelta, quanto è necessità? E se è una scelta è davvero una scelta d’amore o è dettata da motivi economici, sensi di colpa, ineluttabilità del destino della donna madre, infermiera, consolatrice, sempre disponibile? (...) Perché sia vera cura, bisogna avere una relazione affettiva con l’altro o molto si può risolvere con un aiuto pratico ma efficiente? Io credo che se noi potessimo scegliere davvero, ci occuperemmo di anziani, malati e bambini con molta più gioia, se ci fosse qualcuno che si occupa di loro nelle cose più sgradevoli e lasciasse a noi la parte più bella e gratificante, un po’ come i padri che arrivano dal lavoro e fanno giocare i bambini (…) lasciando la parte più faticosa della relazione alle madri. (Lia)

Padri che curano

Ho visto nella trasmissione ‘Presa diretta’ i volti contenti e convinti dei papà norvegesi alle prese con passeggini e pappe. La mentalità può essere rovesciata. Quegli uomini erano in casa a svolgere mansioni “femminili” e soprattutto a curare i propri figli senza imbarazzi né rimpianti per le loro attività momentaneamente accantonate. Anzi sembravano provare grande piacere e soddisfazione nel poter stare con i loro bimbi piccoli, di poter cogliere una grande occasione e vivere questa esperienza (…) La società norvegese con le sue leggi rinforza il piacere della cura, supportando i genitori con strutture che vengono incontro alle esigenze familiari e lavorative. La cura in quel paese è un valore, un lavoro che merita rispetto e vale quanto l’attività professionale. (Grazia)

Gratuità e invisibilità

La prima e la più duratura delle pregiudiziali che hanno impedito finora di vedere la cura come necessità, responsabilità collettiva e scelta, è il fatto che nella storia che conosciamo…la cura è diventata il destino ‘naturale’ della donna, considerata come genere e non come individuo. (…) Confinata nel privato e lasciata alla responsabilità della donna, la cura ha finito per fare tutt’uno col lavoro domestico… Di qui la gratuità e l’invisibilità, che hanno impedito di vederla come risposta necessaria ai bisogni essenziali dell’umano… (Lea Melandri)

L’ineluttabilità del destino

La cura come opportunità per le donne di dare un senso alla loro vita, di colmare un vuoto esistenziale. Il vecchio ruolo domestico loro affidato dalla divisione del lavoro programmata dagli uomini, bussa sempre alla porta. L’abbiamo denunciato come una ingiustizia insopportabile, ma non riusciamo a mollarlo. Anche molte donne consapevoli della necessità e urgenza, pure politica ed economica, della condivisione del lavoro di cura con gli uomini, non lo mollano con facilità, essendo anche l’unico potere ‘sicuro’ che hanno avuto per millenni. (Ornella)


E’ importante sottolineare la posizione di “confine” dalla quale parliamo e c’interroghiamo. Uno sguardo tra il “dentro”, i vissuti personali, e il “fuori”, la storia, i saperi, il mondo costruiti da uno sguardo che non ci corrisponde.

Stiamo necessariamente, per certi versi, in uno spazio “ambiguo”, in ascolto dei segnali di disagio che premono dal nostro interno e creano i presupposti di una maggiore autonomia e di una trasformazione delle relazioni, che può riguardare il mondo. A partire da quel pezzetto di mondo che è proprio il nostro gruppo.


IL GRUPPO COME CURA

Sin dall'inizio dell’anno la ricchezza e il numero degli interventi hanno testimoniato di un percorso che ha toccato in profondità tutte noi del gruppo “cura di sé”. (Nicoletta)

Questo gruppo, che lavora su un progetto e si è dato modalità tutte sue, rappresenta, secondo me, uno spazio privilegiato, protetto, in cui, ponendoci domande e cercando risposte, si lavora a una ricerca comune sui rapporti umani e, allo stesso tempo, si approfondisce la conoscenza del proprio io (e anche questa è cura). E' cura degli altri, che non pretende certi attributi che di solito la connotano, ma anzi è paritaria, reciproca e stimola a ricercare un modo diverso di vivere, di rapportarsi con gli altri e superare i conflitti che le nostre diversità portano a galla.

Un luogo... in cui la cura di sé e quella degli altri coincidono, senza che l'una tolga niente all'altra, ma anzi si potenziano vicendevolmente. Lo spazio così si amplia e noi vi troviamo respiro, rifugio dalle ristrettezze quotidiane. (Grazia)

Cura di sé significa tenermi aperti gli spazi del pensiero (...) il pensiero sorge nel gruppo, nel rapporto con le altre, nel collettivo che è fonte di riflessione, prima e dopo gli incontri. (Liliana)

E' l'unico luogo in cui non mi sento straniera, dove posso esprimere i miei pensieri senza sentirmi giudicata, dove...subentra con piacere la necessità di integrarli, modificandoli, con quelli delle altre che mi suggeriscono cose a cui non avevo mai pensato. In un crescendo creativo e davvero polifonico. (Ornella)

Il gruppo è terapeutico o politico o entrambe le cose? (...) E’ quel luogo dove sto bene, dove grazie a voi posso ri-percorrere, ri-considerare periodi della mia vita, scelte, guardandoli da una visuale diversa, espansa. (Sonia)

Il gruppo è già una dimensione pubblica, lo è ancor più la LUD, che non è un gruppo di amiche ma un luogo pubblico... un laboratorio molto interessante di uscita dal privato. ... Ci stiamo allenando ad esercitare delle virtù insolite, come il rispetto, che esige l’essere simpatetici ma a una certa distanza: se si è troppo vicini non ci si vede bene e per rispettarsi (respicere, in latino è guardare) bisogna guardarsi. (Liliana)

Più che un confine tra il pubblico e il privato, questo gruppo è come un “trait d'union” tra i due: ha già una dimensione pubblica, ma il privato vi è ben accolto ed è ben distinto dal chiacchierio amicale. (Grazia)

Il “noi” del gruppo è qualche cosa di inedito (...) Una società che abbia come valore condiviso quello della cura è necessariamente composta da gruppi accoglienti e non respingenti né aggressivi. Un gruppo può essere accogliente senza essere chiuso, attento alle relazioni senza attivare dinamiche familistiche, riconoscere le differenze al proprio interno senza farne motivo di contrapposizione e di schieramento... insomma può declinare diversamente il versante privato/pubblico, politica/amicizia, terapia/dedizione, cura di sé/cura di altri. (Liliana)

Se penso alla “cura di me”, penso alla possibilità di una ricchezza che non è “terapia”, ... ma qualcosa “in più”; la possibilità di una felicità non solo mia per esempio, una libertà che non sia solo privilegio di alcuni/e, la possibilità della condivisione e della trasformazione, la consapevolezza di essere in un tessuto sociale che è più grande di me, perché la speranza di cambiare il mondo è puro sentimento di onnipotenza se non si progetta collettivamente. (Nicoletta)


LE MADRI

Madri sempre e comunque

Il bisogno di cura, la dipendenza dagli altri in particolari fasi della vita, come l’infanzia, la vecchiaia, la malattia sono elementi costitutivi dell’esperienza umana, eppure non hanno mai avuto la centralità che meritano, sia per l’etica pubblica sia per la teoria politica. Su una svalutazione altrimenti inspiegabile, ha certamente avuto un peso non indifferente il dominio di un sesso che ha riservato a sé la sfera pubblica, lasciando alla donna la funzione di continuatrice della specie, identificata come tale col corpo e le sue traversie, madre sempre e comunque anche se non ha generato. Lea Melandri)

Mai come lei e proprio come lei

Cura di me stessa. Non del mio aspetto, della superficie, di ciò che gli altri colgono più facilmente.
Accidenti, con questo rifiuto torno a rassomigliare a mia madre. E non volevo finire come lei!
In realtà non potrei trascurare totalmente “il mio involucro”. Anche per non fare proprio come lei: ero ancora una bambina quando un giorno, davanti a scuola, mi accorsi che lei appariva molto più vecchia delle altre mamme. Cominciai a vergognarmi. Giurai di non diventare come lei. E ora, come lei rifiuto di modificarmi nell’aspetto per piacere a chicchessia. Non voglio dare all’altro questo potere su di me. Però, che confusione!

Voglio una cura di me stessa che sia espansione, respirare meglio, camminare dritta a testa alta, questo vorrei. Ed è ancora una meta. Come Sonia, sento che, comunque, mia madre c’entra tanto.
Sempre pronta a pre-occuparti di tutti i parenti, a sacrificarti per loro; che rabbia mi faceva vederti così dedita, così protesa verso tutti… Nella mia tarda adolescenza ti osservavo con occhio deluso, accusandoti di non ribellarti ai vecchi cliché borghesi, di essere complice della tua prigionia in famiglia, di evitare la vita vera.
Ho costruito me stessa in opposizione a te, giurando che mai e poi mai avrei accettato di identificarmi coi ruoli di madre, moglie, governante, mai avrei rinunciato a cercare a tutti i costi la mia realizzazione personale. Me ne sono andata presto da casa per fuggirti. E ancora t’ho criticata per anni, lottando contro il tuo modello, la tua immagine sacrificale, onnipresente… (Giulia)

E se le donne

Non ho avuto figli e non mi sono sposata, ma non mi sono mai sentita “menomata” e quando sui quarant’anni ho avuto qualche desiderio di maternità (amavo molto un uomo) non c’erano proprio le condizioni e non ho mai avuto rimpianti. A me risulta abbastanza incomprensibile questa volontà di fare un figlio a qualsiasi condizione. E se le donne si curassero più di sé e del mondo, curerebbero secondo me in modo migliore anche la casa, il compagno e i figli. In modo meno ricattatorio e possessivo, in cui tutti e tutte possano sentirsi più liberi/e. (Gabriella)

Una mamma libera

Mia mamma compirà 100 anni l’11 marzo 2011. Mia mamma, non mia nonna !!! Come è possibile che mia mamma compia 100 anni ? (...) oggi ho passato gran parte del pomeriggio in automobile in coda, pensando a cosa posso regalare a mia mamma per il suo compleanno. (...) Le piace la bigiotteria, e le novità, le cose moderne. Le piace mischiarsi ai giovani, in coda alla cassa del cinema, per l’ultimo film di Madonna, o andare al Mc’ Donald, a mangiare hamburger e patatine fritte. (...) Vorrei regalarle qualcosa che le disegnasse sul viso quell’espressione divertita, dolce, mai cinica o sprezzante, anche se talora arrabbiata, che è il suo forte : l’espressione del paradosso esistenziale, della libertà COMUNQUE sempre ritrovata e difesa, e soprattutto insegnata a noi tre figlie. (...) Bene, finalmente ho trovato il regalo… Auguri, mamma, ti costruirò un cuscino grande come il tuo cuore e ci ricamerò col filo d’oro Thank you, mamma Leila. In inglese, che è più moderno, e glielo metterò sotto la testa, sollevandogliela delicatamente e sfiorandole i capelli, mentre lei sorridendo godrà del contatto, con il cuscino e con le mie mani. (Manuela M.)



14-10-2011

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