Un' "iperpotenza inerme", col volto "singolare
e plurale" delle moltitudini che hanno invaso pacificamente le
città del pianeta il 14 febbraio 2003, è sembrata ergersi
all'improvviso contro l' "ordine" armato che l'attuale governo
degli Stati Uniti d'America ha deciso di estendere a ogni angolo della
Terra, a difesa dell'Occidente, delle sue libertà e dei suoi privilegi.
Se non è il "fosco medioevo cristiano-islamico",
o l'Apocalissi delle forze opposte e speculari del Bene e del Male, di
cui parla Asor Rosa nel suo libro La guerra (Einaudi 2002), è comunque
innegabile che Chiese, leader religiosi e proclami di fede hanno occupato
un posto di primo piano in quello che appare come un passaggio d'epoca,
una mutazione profonda delle coscienze. Il nome di Dio è stato
associato agli eserciti, agli attacchi terroristici, all'ira e alla vendetta,
ma anche all'arcobaleno biblico teso a riconciliare cielo e terra dopo
il diluvio, e divenuto oggi bandiera di un movimento globale per la pace.
Celebrata come "nascita della società civile",
di un'opinione pubblica "acculturata e riflessiva", di
un nuovo modo di far politica, senza intermediari, la manifestazione del
14 febbraio rischia di inscriversi, contraddittoriamente, sull'orizzonte
delle grandi rivelazioni, dei segni e dei valori che trascendono la storia.
Per uno di quei "grovigli" che tengono insieme spinte opposte,
di libertà e di affidamento, la nuova "cittadinanza"
che si va profilando dietro la "barbarie" di un sistema sorretto
dalla guerra e dal terrore, scopre il piacere di sottrarsi alla passività
e di condannare pubblicamente le logiche del dominio nel momento stesso
in cui la sopravvivenza è minacciata da un pericolo esteso e capillare,
invisibile perché confuso con le normali abitudini quotidiane.
Il coraggio di "manifestare" e "disobbedire" si accompagna
perciò a un sentimento di "insicurezza" , che ha ragioni
fondate nell'eccezionale potenza distruttiva delle armi e nella cresciuta
inimicizia tra popoli, culture e gruppi sociali. L'assunzione di responsabilità,
da parte di masse che si credevano indifferenti e appagate da un discreto
benessere, coincide con la crisi delle forme tradizionali della politica
e muove in alcuni casi dal disaccordo con i rispettivi governi. Forse
è proprio questo spazio, aperto al rischio e alla creatività,
che spinge alla ricerca di riferimenti solidi, autorevoli e sovranazionali,
quali possono essere la Chiesa cattolica e il Papa, divenuti oggi una
specie di "faro" per genti diverse, anche in virtù del
ritrovato equilibrio interno tra gerarchie ecclesiastiche e comunità
di base, tra intensa attività diplomatica e messaggio evangelico.
L' "autocoscienza dell'Occidente" muove i suoi primi passi in
una felice contaminazione, portando nelle piazze uomini e donne, giovani
e adulti, laici e credenti, ma restano nell'ombra nodi da sciogliere,
conflitti da far emergere, differenze da ripensare e mettere in relazione
in un modo meno violento di quello che abbiamo conosciuto finora.
Articolo pubblicato sulla rivista Carnet -aprile 2003
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