I ragazzi di Foggia non sono purtroppo una “novità”

di Monica Lanfranco

 

Commentare un fatto come quello del sedicenne di Foggia che obbligava la ‘sua’ ragazzina di tredici ad avere rapporti con gli amici, filmava tutto con il cellulare e poi inviava ad altri apparecchi di coetanei a scuola è uno strazio.

In primo luogo perché è inutile consolarsi pensando che si tratta di una eccezione, sapendo che non è così. Quanti altri fatti analoghi, più o meno gravi, quanto meno rispetto all’entità del segno comunque indelebile che lascia il subire, e l’agire cose simili, si verificano ogni giorno nel nostro paese, senza che questo si sappia?

Quanto si discute nelle nostre case, nelle scuole, nei bar, nei centri di ritrovo, quando i giornali e le tv rimbalzano cronache di ordinario squallore e violenza tra donne e uomini, di ogni età, geografia e ceto sociale?

Quanto, e quando, abbiamo smesso di pensare, come invita a riflettere la femminista Irshad Manji, nel suo pamphlet sulle ingiustizie? Quanto tempo dedichiamo alle giovani vite delle quali in modi differenti siamo responsabili come madri, padri, docenti, familiari di sangue e non, e quanto di questo tempo dedichiamo a insegnare e trasmettere che le relazioni umane, la cura di esse, sono la cosa più importante, il fondamento della vita, ciò che ci distingue dalla materia inanimata?

I nostri figli e figlie hanno sin da piccolissimi accesso a merci che ormai sono date per scontate ed essenziali: tramontato l’obsoleto orologio e/o catenina d’oro i nonni, nonne, zie e affini regalano sin dalla prima comunione, partendo dagli otto, nove anni, il cellulare.

Le statistiche dicono che oltre il novantasei per cento degli adolescenti, e dei preadolescenti, lo posseggono e lo tengono acceso giorno e notte. Come ogni oggetto anche questo non è responsabile dell’uso che ne fa, e se da mezzo diventa fine bisogna cercare altrove.

Finché si mettono sulle copertine dei rotocalchi corpi di modelle anoressiche, e si invitano le ragazzine a entrare non in abiti di taglia 40, ma addirittura 38, ovvero da scheletri, perché gridare aiuto se le giovani smettono di mangiare?

Il problema, che sembra di costume e non lo è, è stato assunto come politico da un paese mediterraneo, la Spagna, che ha invitato di fronte all’emergenza dei disturbi alimentari l’eliminazione dal grande mercato degli abiti taglia 38.

Certo che non basta, ma intanto significa che un intero paese si comincia a prendere cura dei corpi, e delle menti, delle sue giovani risorse. Noi, qui, alle prese con il calcio corrotto, che sembra l’unica vera emergenza nazionale, ci siamo interrogati abbastanza su cosa significhi, nel momento di massima confusione e di massima apertura al mondo senza sufficienti difese e strumenti di decodifica della realtà, lasciare per ore ragazze e ragazzi davanti alla tv, alla play, all’xbox, e con un telefono al quale ovviamente non si ha accesso, (c’è la privacy, che diamine, e noi siamo democratici, giusto?)?

Se non ce lo siamo domandato abbastanza la risposta arriva comunque, ed è uno manrovescio poderoso sulla faccia degli adulti: i giovani non sono capaci di rapportarsi con compassione e attenzione reciproca, visto che né la famiglia né la scuola glielo ha insegnato come priorità, però sanno bene far funzionare quegli occhi sempre aperti sulla realtà virtuale, e sanno usare bene di conseguenza gli strumenti (la tv, la play, l’xbox, il telefono) ai quali li affidiamo per immagazzinare la vita che non vivono ma riproducono, e renderla nuovamente merce.

Essi non vivono, ma consumano la vita, in fretta e con i tempi sincopati della tv, che brucia tutto e non sedimenta nulla, e siccome la sopraffazione e la ferocia della legge del più forte sono altamente erotizzanti se non si insegna il rispetto, il senso del limite, l’ascolto, la relazione è ovvio che loro la vita, la sessualità, il dolore li filmano e il cerchio si chiude, senza che l’esistenza, quella non virtuale, li scalfisca.

Stiamo producendo una generazione di persone sempre più lontane dalle emozioni e dalla consapevolezza del loro peso e valore. Mostri? No, purtroppo. Non sono mostri. Non lo sono i protagonisti di The experiment, un film durissimo che racconta di un reality in laboratorio dove un team di esperti registra la performance di due gruppi di uomini, reclusi da una parte e guardie dall’altra, e testimonia fin dove si spinga il limite umano se di mezzo c’è il denaro.

Non sono mostri i moderni idoli degli adolescenti nostrani, persone sconosciute che diventano in un lampo famosi solo perché partecipano in tv alle pornografiche serie che dal Grande Fratello in poi hanno preso possesso dei salotti e delle cucine, operando una mutazione antropologica inarrestabile.

Questi naufraghi catodici sono i modelli vincenti per i giovani: aggrottano le sopracciglia se si chiede loro cosa si festeggia il 25 aprile. Sarà una madonna? si è chiesto in diretta un ragazzo arrivato in finale. Il cellulare, attraverso il quale si può avere tutto quello che offre il mercato, non gli ha potuto però far sapere la storia e i motivi per cui donne e uomini si sono sacrificati per la libertà, compresa la sua.  

questo articolo è apparso su Liberazione del 19 aprile 2006