Compagne, perché non siamo riuscite
ad incidere davvero dentro Rifondazione?


di Cristina Ibba



È tempo di bilanci. Proverò anch'io a farne uno. Ma non parto dall'essere stata iscritta a Rifondazione comunista (che peraltro ho sempre abitato in maniera "imbarazzata"), ma dall'essere stata parte attiva del Forum delle donne Prc e della Rete femminista della Sinistra europea.

Ho pochi assiomi nella vita, uno di questi è appunto il fatto che senza la soggettività politica e critica delle donne, senza il punto di vista femminista la riflessione sulla crisi della politica e della sinistra in particolare non può che essere più povera. Ho sempre inteso il femminismo come ricerca in atto, non come ricetta salvifica, ma soprattutto come costruzione di sé; non come preoccupazione identitaria, ma come pratica politica, come assunzione di responsabilità.

Noi non dobbiamo colmare un vuoto lasciato dalla cultura o dall'analisi maschile, noi non dobbiamo aggiungere, sommare o essere complementari, ma creare una nuova cultura, che la metta in discussione nel suo impianto globale.

Abbiamo percorso in questi anni, dentro e fuori il partito, un cammino di ricerca, di analisi.
Abbiamo smontato, sviscerato la cultura patriarcale di destra e di sinistra. Abbiamo elaborato una critica profonda e forte allo stalinismo e al socialismo reale, al comunismo come potere statuale.
Abbiamo interrogato continuamente tutte quelle categorie che costituiscono l'architrave dei poteri patriarcali e capitalisti.
Abbiamo sondato e messo a nudo il luogo che per eccellenza ripropone e consolida i tradizionali ruoli femminili e maschili e fa della violenza sulle donne una "normalità " della vita quotidiana: la famiglia eterosessuale.

Ci siamo intrecciate col movimento Lgbtq in un rapporto di reciproca interrogazione, non di accettazione delle reciproche differenze, con un'autonarrazione capace di alludere all'idea del cambiamento più generale.

Sì, è tempo di bilanci. Che cosa siamo riuscite ad ottenere? O meglio cosa siamo riuscite a lasciare della nostra pratica, della nostra elaborazione teorica, della nostra cultura dentro questo partito o dentro la sinistra più ampia?
In questi ambienti (fatti di uomini ma anche di tante donne) quando va bene si riesce a trasferire sul terreno di lotta il problema dei diritti, la conquista dei diritti (insomma un po’ di emancipazionismo in salsa radicale) punto e basta.

Penso per esempio al dibattito sulla prostituzione o sulla violenza maschile sulle donne.
Quanto siamo riuscite a interrogare la sessualità maschile? Perché si è fermata troppo presto la nostra richiesta sulla loro presa di parola?
Perché tutto questo vuoto? Solo perché la sinistra è operaista, sessista e bacchettona?
Quanto anche noi, troppe volte, ci siamo discostate da quelle domande che venivano dal nostro vissuto e ci siamo posizionate su un piano troppo astratto e ben poco convincente molto simile a certi dibattiti oziosi tipici della cultura maschile?
Quanto siamo state fondative di una politica autonoma e non accessoria di una politica maschile?
Quanto la nostra autorevolezza dipende dalla posizione che ci viene concessa nello spazio pubblico maschile?
Quanto siamo dipendenti dal riconoscimento maschile delle nostre potenzialità o capacità?
Quanto abbiamo bisogno della loro continua approvazione?
Quanto c'è di paura, insicurezza, connivenza, complicità tutte quelle volte che, insediate nello "spazio pubblico", facciamo nostra la lingua, la cultura, le pratiche del potere maschile?Quanta violenza strisciante, sotterranea, ma anche manifesta subiamo nei luoghi di lavoro, nei partiti, nelle istituzioni, senza avere la forza necessaria a disobbedire, a contrastare, a denunciare?
Perché non siamo riuscite a portare avanti le nostre pratiche, il conflitto, con la radicalità necessaria a quel processo di liberazione che è la nostra bussola da decenni?

Penso che per dare risposta a tutte queste domande sia necessario compiere un lavoro di scavo, di analisi su noi stesse, sia necessario andare a fondo nelle nostre vite, nelle nostre relazioni, nei nostri posizionamenti. Penso insomma che dobbiamo interrogarci maggiormente come corpi pensanti o pensieri sessuati, ripartire proprio da quella costruzione di sé che è stata una delle più rivoluzionarie pratiche politiche: modificare se stesse per modificare il mondo.

 

pubblicato da Liberazione del 24 dicembre 2008

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