Il
voto è segreto
Ritratto ricco di dignità di una donna dell'Islam.
di Sara Sesti
Non tutto
l'Islam è Afghanistan, non tutte le donne musulmane sono sigillate
nella burka, escluse del tutto dalla vita sociale e lavorativa.In
questi giorni di immagini tragiche, di terrorismo, guerra, fame, bambini
disperati e donne impotenti, miserabili, è consolante vedere Il
voto è segreto,il
film di Babak Payami, trentaseienne regista iraniano che vive tra Toronto
e Teheran.
E' un film dalle immagini bellissime, ironico e divertente, che ha per
protagonista una donna, una ragazza musulmana che rispetta i codici dell'abbigliamento
consentito nel suo paese, l'Iran, e che quindi porta una tuta marroncina
che le lascia scoperte solo le dita delle mani, uno scialle nero stretto
attorno alla testa che le nasconde i capelli e la gola, e sopra a tutto
il chador, il manto nero che la ricopre interamente. Questo abbigliamento
che nasconde il suo giovane corpo è quello che le consente di muoversi
liberamente tra gli uomini, in una sorta di tacita ipocrisia per cui la
donna accetta di essere fisicamente inesistente per poter vivere attivamente
come un uomo.
Il bel film ha vinto il premio speciale della giuria all'ultima Mostra
di Venezia e inizia con la visione brulla eppure bellissima di una spiaggia
dell'isola di Kish. Dal cielo viene paracadutata una cassa e dal mare
arriva una ragazza infagottata: è il giorno delle elezioni, la
cassa contiene il seggio mobile, la giovane donna è responsabile
del seggio. Un soldato deve accompagnarla ed è infastidito: come
può un pubblico funzionario con quella responsabilità essere
una donna?
Ma Nassim Abdi (bravissima: ed è una studentessa di giornalismo,
non un'attrice) è tosta, niente la distoglie dal suo lavoro, raccogliere
il maggior numero di voti validi in un luogo che pare rimasto a mille
anni fa. Spiega, chiede, dirige, aiuta, con un'incrollabile sicurezza,
un idealismo ingenuo che non riesce però a far breccia nella diffidenza
degli altri: un gruppo di donne analfabete non può votare e al
loro posto vuole votare un uomo, il che è illegale; un vecchio
vuole votare Dio; altre donne non votano perché non c'è
il marito a dare loro il permesso; gli uomini di religione sunnnita non
hanno diritto al voto; chi ha già coscienza politica non trova
i nomi dei suoi candidati sulla
lista approvata dai religiosi, la più alta autorità politica
del paese. Una giovane vedova sfiduciata non crede che il voto possa cambiare
la sua povera vita e lei, ragazza che viene dalla città, piena
di certezze democratiche, dice: "Passo per passo le cose cambieranno:
non si può realizzare tutto e subito".
Il film potrebbe essere un manifesto ironico di sostegno al presidente
riformista Kathami, ma forse è un disilluso proclama di quanto
sia difficile, in un paese così travagliato, raggiungere una piena,
vera democrazia. Eppure proprio questa ragazza, che si muove agile e sicura
dentro il suo bozzolo di stoffa, con le mani sempre occupate a trattenere
il chador che il vento solleva, con gli occhi imperiosi e la coscienza
dei suo piccolo potere, che mai abbassa lo sguardo conquistando poco a
poco l'ammirazione goffa del soldato, è il segno di quell'islam
che a fatica si muove verso la libertà dal fanatismo.
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