Liviana Gazzetta, Cattoliche durante il fascismo
di Annamaria Imperioso


 


Ricerca molto documentata e ricca di connessioni storiche sul rapporto tra l’associazionismo cattolico femminile e le strutture organizzative fasciste nel  Veneto, dalla prima alla seconda guerra mondiale.

L’attenta ricostruzione della storia delle organizzazioni cattoliche femminili effettuata da Liviana Gazzetta ci aiuta a comprendere il clima culturale in cui hanno vissuto le cattoliche venete, clima di grande mobilitazione ideologica negli anni ’20 e ’30,  quando ai gruppi femminili  veniva affidato il compito di ripristinare l’ordine sociale cattolico dopo gli sconvolgimenti della  grande guerra, una vera “restaurazione cristiana della società”, che divenne il valore primario delle loro battaglie sociali e religiose.

Colpisce nell’indagine storica dell’Autrice la grande articolazione dell’Azione Cattolica femminile nel periodo tra le due guerre, articolazione che rivela la sottile capacità dialettica della gerarchia ecclesiastica nel perseguire l’obiettivo di difendere i suoi spazi tradizionali e, cosa più rilevante, di penetrare anche nel mondo del lavoro senza aderire ad alcuna azione rivendicativa, ma promuovendo piuttosto forme di assistenza morale e religiosa quali la Settimana della giovane, la Pasqua delle operaie, la Settimana paolina e, più tardi, l’apostolato di fabbrica e i “raggi d’ambiente” (formula, quest’ultima, che durerà fino agli anni ’60)  per irradiare Cristo nel mondo del lavoro: manifestazioni che i gruppi femminili cattolici realizzavano compiutamente all’interno di fabbriche e stabilimenti.

Un esempio concreto di tale attivismo, messo in evidenza nel testo, è  la creazione negli anni ’20 della “propagandista”, figura di militante formata per fare opera di apostolato attraverso l’uso pubblico della parola, come efficace strumento di penetrazione del movimento nella società, anche in chiave anticomunista e antibolscevica: una novità rivoluzionaria all’interno del mondo cattolico femminile. I caratteri distintivi richiesti alla propagandista  erano conformi a quelli di un milite:  <<La propagandista deve avere un senso forte e sereno di disciplina, obbedire senza chiedere il perché, senza indagare le cause. Deve obbedire quanto può, come può, più che può….>>

Importante è l’analisi dettagliata che la storica conduce sulla progressiva penetrazione del movimento cattolico femminile nelle diverse istituzioni pubbliche: enti ospedalieri, scuola, istituti di assistenza e beneficenza, ecc. E per definire la stretta collaborazione tra organismi di regime e strutture cattoliche, Liviana Gazzetta usa in modo ricorrente la parola “osmosi”, che si attua soprattutto in ambito socio-assistenziale e in occasione di momenti particolari come le celebrazioni delle Madri e Vedove di guerra e la Giornata della Madre e del Fanciullo. Fino ad arrivare ad una sovrapposizione di ruoli  e di <<doppia militanza  a livello di visitatrici familiari e di assistenti alle colonie>>.

Tenendo ben presente la contraddizione di fondo tra l’ideologia degli organismi cattolici che si opponevano ai movimenti di emancipazione e di mutamento della soggettività femminile, e l’irrompere delle donne cattoliche sulla scena pubblica italiana, l’autrice analizza la natura e le finalità  dell’Azione Cattolica femminile, mettendo in risalto le peculiarità del ruolo e dell’azione sociale delle militanti, che favorirono il <<processo storico con cui il cattolicesimo italiano giunge ad accettare una presenza femminile organizzata oltre la sfera privata e oltre la dimensione dell’iniziativa beneficenziale, con tutte le implicazioni che il fenomeno ha in termini di storia della cittadinanza femminile e, più in generale, di storia dell’identità di genere>>.

Si evidenzia infine  il disorientamento delle cattoliche, sottoposte negli anni ’40  a messaggi contrastanti.  E’ sconcertante l’apparente mancanza di coscienza critica e politica delle cattoliche di fronte alle scelte del regime nei momenti cruciali in cui questi si avvicina al nazismo, alla politica persecutoria contro gli ebrei, alla guerra. Apparentemente sembrano indifferenti, ancora concentrate  sulle crociate contro la modernità, per la difesa della moralità e della “purezza dei costumi”. Tema, questo, che assume centralità assoluta durante la guerra, vista come conseguenza della corruzione dei costumi e che viene riproposto ossessivamente nelle allocuzioni papali e nelle omelie dei vescovi rivolte alle donne: ciò, senza dubbio, come sottolinea la studiosa, risponde ad un clima di mobilitazione e di crisi  religiosa e morale che rendeva necessaria e urgente per i cattolici la rifondazione di un ordine sociale cristiano.

Le cattoliche risentono dell’atteggiamento di riserva nei confronti della Resistenza da parte della Chiesa, incapace di cogliere il significato e la portata di questa e avvezza ad agire con estrema prudenza. Solo nella primavera del 1944, esse assistono ad una decisa inversione di rotta da parte dei vertici ecclesiastici che si schierano fermamente contro la guerra e il nazismo. Il testo cita le lettere collettive di condanna dei vescovi dell’Italia settentrionale e in particolare il documento pastorale della regione triveneta, la cui lettura pubblica, infatti, fu impedita in molte diocesi: <<….in esso si indicava finalmente come compito della Chiesa non più solo insegnare l’obbedienza, ma anche il dovere di giustizia che spetta ai governanti;  la guerra veniva analizzata come fenomeno politico e non più solo come castigo divino, con indicazione delle responsabilità storiche e politiche della guerra e dei comportamenti connessi>>.

Mi sembra di grande interesse la proposta di lettura che fa Gazzetta della militanza nell’Azione Cattolica, in risposta a chi, difendendo la natura prevalentemente religiosa dell’attività cattolica critica le tesi della convergenza dei cattolici con il regime fascista. Ella, infatti, suggerisce <<di non distinguere in una sorta di scala gerarchica la dimensione religiosa da quella politica e sociale, ma di analizzare questi aspetti nella loro interrelazione per riuscire a cogliere il ruolo dell’organizzazione in tutta la sua complessità>>.

Sorge anche qualche interrogativo rispetto alla conduzione dei raggruppamenti cattolici femminili: ad esempio, di quale natura erano gli attriti, le resistenze delle giovani della Gioventù Cattolica al momento di passare nel gruppo delle adulte dell’Unione Femminile Cattolica Italiana? Di fatto Liviana Gazzetta sottolinea la diversa estrazione sociale delle aderenti ai due organismi: quello della Gioventù Femminile con una base popolare più aperta ai problemi sociali e del lavoro e l’Unione Femminile Cattolica Italiana, nata anche come reazione al femminismo del primo novecento, i cui vertici erano occupati da dame dell’aristocrazia e dell’alta borghesia, molto attente a difendere la loro egemonia e a mantenere l’ordine sociale esistente. Differenza questa che potrebbe spiegare in parte la presa di distanza da parte del gruppo giovanile nei confronti del patronage esercitato dall’UFCI, ma che andrebbe ulteriormente indagata anche rispetto alla grande rilevanza assunta nel movimento cattolico dalla questione del lavoro femminile nel primo dopoguerra.


Liviana Gazzetta,
Cattoliche durante il fascismo, Ordine sociale e organizzazioni femminili nelle Venezie
Viella, 2011
, pag.288

 

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