In un mondo migliore

di Sara Sesti

 

Christian ha dodici anni, non ride mai e non perdona. Ha visto sua mamma morire per un male incurabile e suo padre impotente di fronte alla tragedia. Rimasto orfano si trasferisce con il papà da Londra in Danimarca, a casa della nonna. Nella nuova scuola incontra Elias, coetaneo timido, deriso e pestato da bulli violenti che lo chiamano "Il topo" per via dei dentoni. Christian si fa paladino del compagno più debole, i due diventano amici e cominciano insieme un cammino verso il male, sotto gli occhi impotenti dei pur coscienziosi genitori.

Il padre di Elias è un medico da campo che va e viene dall'Africa. Di carattere calmo e forte è capace di controllarsi e porgere l'altra guancia sia nel disarmare i violenti che per educare i figli. Cambierà atteggiamento quando dovrà curare uno squartatore di ragazze incinte? E quando l'adolescenza del figlio arriverà a una svolta "esplosiva" (i ragazzini costruiranno e faranno esplodere un bomba micidiale)?

Se agli occidentali piace immaginarsi come un modello di civilizzazione da esportare, come un mondo migliore a cui aspirare, la regista Susanne Bier (“Non desiderare la donna d'altri”, “Dopo il matrimonio” e “Noi due sconosciuti”) invece si prende la briga di insinuare il dubbio, di chiedere conto delle contraddizioni che la nostra società produce e che la nostra natura contempla, azzardando l’accostamento tra un conflitto tribale africano e un episodio di bullismo in Danimarca.

Candidato per la corsa agli Oscar 2011, il film si alterna tra l'Africa dei medici senza frontiere e la Danimarca opulenta dei borghesi. Per Susan Bier “C'è del marcio in Danimarca e ovunque. Non esiste primo o terzo mondo: la violenza nasce in qualsiasi luogo e condizione sociale, non c'è contesto o spiegazione socioculturale che tenga. La civiltà e il progresso sociale sono bei vestiti da indossare ma si rovinano quando c'è lutto, morte, sofferenza. L’educazione ha un ruolo importantissimo, ma parziale se gli stimoli che arrivano da tutte le parti viaggiano in direzione contraria (i ragazzini protagonisti del film imparano da Internet le tecniche di guerra e come costruire le bombe). Non possiamo davvero illuderci di essere immuni a questo caos, come se sul mondo si potesse esercitare qualche forma di dominio; non possiamo credere di escludere noi e i nostri figli dalle imprudenze o dal contatto con un universo che, anche dietro la placida eleganza di una ricca cittadina nordica, sa spalancare abissi di inquietante brutalità. E non dobbiamo tuttavia mai smettere di provarci"

La storia ha una forza etica incisiva, benefica e a tratti commovente. Il film è stato premiato al festival di Roma da giuria e pubblico

 

15-12-2010