La donna che canta
(Incendies)


di Simona Santoni

 

 

“L’infanzia è un coltello piantato in gola che non si tira via facilmente”. Lo lascia scritto nel suo testamento Nawal Marwan, interpretata da una magnifica Lubna Azabal. Nawal ha cambiato vita, è in Canada, lontana dal Paese che l’ha segnata, ma il passato non si cancella e si trasforma in un silenzio di dolore e rimorsi che la accompagna alla morte. E il passato e le sue tracce di orrore tornano fuori poderosi nelle vite dei suoi figli, i fratelli gemelli Jeanne (Mélissa Désormeaux-Poulin) e Simon (Maxim Gaudette), quando vengono incaricati di cercare un padre che pensavano morto e un fratello di cui ignoravano l’esistenza.

Inizia così la cavalcata irruenta negli anni della giovinezza di Nawal e in una terra del Medio Oriente mai nominata ma che si intuisce sia il Libano degli odi religiosi, dei massacri nei campi di rifugiati palestinesi da parte delle milizie cristiane, della dura rappresaglia musulmana sui civili cristiani, della ripugnante stupidità umana che fa sparare a sangue freddo alla schiena di una bambina, perché islamica, e salva un’altra donna solo perché le muove avanti un ciondolo con un crocifisso biascicando “sono cristiana”. Daresh, Deressa, il carcere di Kfar Ryat sono i luoghi del film che evocano con tinte sporche sbiadite posti di conflitti e stragi, dai campi di Sabra e Shatila a Beirut alla Falange cristiana…

Struggente, potente, evocativo, intenso, il film del giovane canadese Denis Villeneuve racchiude in sé tanti aggettivi, positivi. Tanto che il film è entrato giustamente nella lista dei nove candidati a Oscar 2011 come miglior film straniero. E nonostante le atrocità, la guerra e le spietate torture che narra, ha con sé anche un messaggio di amore, nonostante tutto. “Niente è più bello dell’essere insieme” dice Nawal. Per tutto questo alla pellicola si perdona senza pensarci troppo la poco realistica ridondanza di coincidenze. “1 + 1 può far 1?”, si chiede sgomento Simon, il figlio di Nawal? In fondo anche l’aritmetica perde il suo rigore nell’odio. E forse anche nell’amore.

La donna che canta è tratto dalla pièce teatrale di Wajdi Mouawad, scrittore e regista canadese di origini libanesi. Era stato presentato alla Mostra di Venezia 2010, alle Giornate degli autori, e ha vinto il premio del pubblico al Festival di Toronto.

 

da blog.panorama.it