Il
secolo del gene |
In riferimento al tuo ultimo libro "The century of the Gene", ci è giunta eco di alcune critiche, ad esempio da parte di J. M. Smith, biologo riduzionista , alle obiezioni che hai sollevato nei confronti del determinismo genetico. Puoi riassumere per noi alcuni punti di questo dibattito? Sono giunta alla conclusione che John Maynard Smith ha collocato il disaccordo tra noi sul piano della strategia, più specificamente come un disaccordo sul valore delle strategie riduzioniste e oliste nella biologia contemporanea. Davvero penso che ci sia qualcosa di travisato per due aspetti. Da un lato, il significato di riduzionista qui è del tutto specifico, si riferisce al riduzionismo genetico e, analogamente, l'olismo si riferisce semplicemente alle complesse interazioni tra le molte componenti del sistema. Ma anche messe così le cose, io ho dimostrato che il riduzionismo genetico è stato una strategia di immensa utilità per la ricerca scientifica, e spesso lo è ancora. E tuttavia la mia argomentazione sostiene che è stato talmente produttivo che ora probabilmente ha raggiunto i limiti della sua efficacia. Ancor più specificamente, la mia tesi è che questo discorso sui geni abbia raggiunto il limite della sua produttività/efficacia; cosa che non solo genera confusione (specialmente tra i lettori non specialisti), ma che ha anche iniziato a limitare l'immaginazione dei ricercatori biologi. In Italia si sta svolgendo un acceso dibattito sul possibile utilizzo delle cellule staminali, che si suppone possano avere applicazioni terapeutiche nella cura di malattie o di degenerazioni senili. Le posizioni divergenti di liberali e cattolici stanno portando a un compromesso insoddisfacente. Qual è la tua opinione sulla clonazione a fini terapeutici? Credo che la ricerca sulle cellule staminali per scopi terapeutici sia estremamente positiva e non ho nessuna obiezione morale al riguardo. Ma ciò è del tutto differente da quello che si suole chiamare clonazione - cioè il condurre a maturazione completa un uovo in cui sia stato trapiantato un nucleo. Ricerche di questo tipo sarebbero atroci se condotte sugli esseri umani, anche solo per gli enormi rischi che comportano. C'è un bell'articolo di R. Jaenisch in un recente numero di Science che a mio parere riassume egregiamente la questione. Le ricerche di Barbara Mc Clintock sono divenute al giorno d'oggi fondamentali nel campo dell'ingegneria genetica. Ma la nuova tecnoscienza sembra assolutamente lontana dalla sua visione scientifica, dalla sua sintonia con l'organismo. Che cosa ne pensi? Sì, questo era già chiaro quando Mc Clintock vinse il Premio Nobel. E naturalmente ciò è molto preoccupante. Ma è vero in ogni impresa che noi non possiamo controllare gli usi che verranno fatti del nostro lavoro. Questo è ovviamente vero anche per i libri, come ho appreso io stessa. Questa vicenda può essere considerata emblematica del difficile rapporto tra donne e scienza, o dello scarso controllo che le ricercatrici hanno sui risultati del loro lavoro - come suggeriscono le biografie di altre scienziate come Rosalind Franklin. O questo è un problema per tutti i ricercatori? Come ho detto prima, credo che si tratti di un problema per tutti i ricercatori. Anzi per tutti i lavoratori in ogni campo. Oggi la scienza influisce sulle nostre vite come non è mai accaduto prima. L'informazione dei mass-media e gli interventi dei politici sono spesso sentiti dalla gente comune come generatori di ulteriore confusione e contraddittori. Sembra che la ricerca sia impazzita e non siamo più capaci di opporre un punto di vista razionale. A tuo parere, a chi compete la responsabilità e il compito di spiegare con chiarezza le opportunità e le scelte, e attraverso quali strumenti lo si può fare? Sì, sono d'accordo - e questo è uno dei motivi principali per cui ho scritto "The century of the Gene". Non conosco un'altra via per tentare di spiegare, che essere ragionevole. Ma concordo sul fatto che la razionalità non sembra vincente in molte situazioni, oggi. Per molti anni hai offerto ai tuoi lettori la preziosa mediazione della tua conoscenza specialistica, scrivendo opere in cui hai esposto con chiarezza ma senza banalizzare i complessi aspetti della genetica. Pensi che il fatto di saper comunicare la scienza in modo chiaro e accessibile possa essere considerata un'abilità specificamente femminile? No, non penso. È quello che ho sempre cercato di fare, ma non credo che questo abbia a che fare con il fatto di essere una donna, e probabilmente nemmeno con quel tipo di esperienze che sono caratteristiche delle donne (come allevare bambini). Probabilmente ha a che vedere piuttosto con le specificità della mia biografia, ma non saprei in che modo ciò possa avere una relazione particolare con il fatto di essere donna. |
Riportiamo qui di seguito il testo originale dell'intervista
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