GIORNATA INTERNAZIONALE DELLE RAGAZZE E DELLE DONNE NELLA SCIENZA - 11 FEBBRAIO 2024 Intervista di Raffaela Mercurio, giornalista della testata La Ragione, a Monica Zoppè, biologa, Istituto di Biofisica del CNR
- Qual è stato il momento in cui ha capito che la scienza era la sua passione e missione? Ho sempre amato la natura, fin da quando i miei ci portavano, bambine, a camminare in montagna, ma il colpo di fulmine è stato quando, a 20 anni, ho avuto occasione di vedere la foresta amazzonica. Lì la natura è talmente imponente ed affascinante, da farmi decidere che l’avrei studiata. Così è iniziato il mio viaggio: il mio primo interesse era nelle piante e nel mondo vegetale. Quando mi sono laureata erano tempi della manipolazione genetica, non tanto per la produzione di OGM, quanto per rispondere a domande tipo: se tolgo (elimino, o inattivo) un gene in una cellula, cosa succede? E se invece aggiungo un altro gene? In pratica, le differenze tra animali, vegetali e altre forme di organismi, sono a livello cellulare piccolissime, soprattutto per le funzioni fondamentali. Pian piano mi sono specializzata nella biologia cellulare: poche persone (a parte quelle che hanno studiato biologia) hanno idea di come una cellula sia paragonabile ad una città: ci sono migliaia di proteine/persone) e altre molecole/animali, di dimensioni varie, ma poi ci sono strutture, linee di trasporto, sistemi di depurazione e centrali energetiche, senza contare il ‘palazzo della dirigenza’ (il nucleo) con all’interno il DNA. Così come ogni città ha le proprie caratteristiche, anche le cellule sono diverse una dall’altra (una cellula di fegato non è certo uguale ad una di un’alga verde, per esempio), ma tutte hanno (almeno) un municipio, un teatro, un sistema di strade, di linee elettriche e di fognature... Non so se si possa definire una ‘missione’, ma vorrei contribuire a rendere questi ambienti, cioè le cellule, comprensibili anche per chi non ha accesso a tutti gli strumenti, magari passando per la loro bellezza: il gioco sta a riuscire a (far) vedere tutto! - Lei è stata inserita dall’ENWE (European Network for Women Excellence) nella newsletter Ask Woman con l’intento di cambiare la narrativa vigente su alcuni temi grazie al contributo delle donne scienziate. Qual è stato il contributo che ritiene più significativo? Oggi si coltiva ancora la visione dello scienziato come genio solitario, che grazie alla sua intelligenza superiore, riesce a scoprire o inventare qualcosa di nuovo ed eclatante. La scienza, però, funziona soprattutto a piccoli passi: moltissime persone portano contributi piccoli, che solo nell’insieme offrono una visione generale, e ci permettono di comprendere il mondo che ci circonda. Il mito dello scienziato geniale è molto comodo, ed è particolarmente attraente per chi pone la propria gloria (con relativa fama, potere e denaro) al centro. Credo che tra le donne questo mito sia molto meno diffuso che tra gli uomini, e infatti sono frequenti ancora oggi i casi in cui alcune scoperte vengono attribuite a chi se ne approria, non sempre in modo corretto. Per esempio: l’attribuzione del ‘primo nome’ tra gli autori delle pubblicazioni è frequente causa di discussione (eufemismo), e in molti casi le donne preferiscono ‘lasciar perdere’ per evitare litigi, piuttosto che insistere. Questo però ha conseguenze: nei concorsi, per esempio, o negli inviti alle conferenze. E’ anche così che si stabiliscono e si alimentano le differenze. Un altro aspetto è la scelta delle parole: molte volte ho dovuto far cancellare termini altisonanti e privi di significato che gli autori (di solito maschi) inseriscono negli articoli per far sembrare il loro contributo più importante (loro direbbero ‘determinante’, ‘cruciale’, ‘essenziale’!). E poi c’è la questione delle metafore: il fatto che le malattie vengano presentate come un ‘attacco’ da parte di virus e batteri, e che il sistema immunitario ci ‘difenda’ dagli attacchi propone una visione bellicista del tutto immotivata. Virus e batteri fanno la loro vita: se trovano un luogo in cui possono insediarsi e riprodursi lo fanno, senza intenzioni aggressive nei confronti dell’organismo. Alla fine tutta la vita sul nostro pianeta non è che un equilibrio molto dinamico, sempre in movimento, di cui noi facciamo parte tanto quanto tutti gli altri esseri viventi; a volte si generano conflitti, che solitamente vengono risolti in termini evolutivi, magari difficili da vedere e comprendere a livello di singoli individui, o anche di specie. Anche in ecologia abbiamo dovuto abbandonare il modello ‘preda-predatore’, per riuscire a vedere il sistema reticolare di interazioni tra ambiente e organismi che lo abitano, e che rendono l’ambiente stesso parte della vita nel suo insieme. - Da ricercatrice, non posso non chiederle a che punto siamo in Italia sul tema al netto delle sue esperienze all’Università di Birmingham (UK) e il Salk Institute di La Jolla (USA). La narrazione della fuga dei cervelli è ancora valida o le cose sono finalmente cambiate? Per quanto riguarda la mia esperienza al Salk, può fare riferimento all’articolo di Science che le allego, e che dimostra come il sistema maschile e maschilista sia diffuso ovunque. Oggi le cose sono sicuramente cambiate, anche se c’è ancora molta strada da fare, nella scienza e nella società, per arrivare ad un modello di normale rispetto (e di conseguenza inclusione) per tutte le persone, indipendentemente dal loro genere, colore, origine, orientamento sessuale ecc. La fuga dei cervelli è un falso problema, secondo me: la scienza è un’impresa dell’umanità, e non dovrebbe essere vista come una gara tra nazioni (E basta con queste gare, competizioni e premi, che classificano le persone come ‘vincitori’ e perdenti’: staremmo tutte e tutti meglio se decidessimo di collaborare e che ogni contributo è importante per il contributo stesso, non per chi l’ha portato). Detto questo, non possiamo certo ignorare che le culture, gli ambienti sociali e le condizioni al contorno sono diverse, e che ci sono posti in cui si lavora meglio o peggio che in altri. Un’esperienza di lavoro significativa in ambienti diversi non può che arricchire le persone, e le persone di scienza in particolare. Quindi, ben venga la possibilità di fare eseperienze altrove, e tato meglio se queste esperienze sono poi ridistribuite quando si torna, cosa che negli ultimi anni sta avvenendo. A mio parere quel che più ci manca è lo scambio regolare: se è normale per noi passare qualche anno in laboratori all’estero, dovrebbe essere altrettanto normale accogliere nei nostri laboratori persone da tutto il mondo, cosa che purtroppo ancora non succede. Un finanziamento adeguato anche a questo scopo aiuterebbe senz’altro. - Infine: c’è davvero spazio alle donne nella scienza? Che consiglio darebbe alle giovani che sognano di fare il suo mestiere? Lo spazio nella scienza c’è: il problema è che se lo prendono gli uomini! Battue a parte, i laboratori sono pieni di donne: laureande, dottorande, assegniste, post-doc.. Poi però gli uffici dirigenziali sono pieni di uomini. Da una parte, molte donne sono indotte a lasciare il lavoro per motivi di genere (dalla maternità alle molestie, alla difficoltà di essere considerate per il proprio lavoro), dall’altra, la sete di potere è più maschile che femminile, ed è questo che spesso porta gli uomini a candidarsi per posizioni ad alto livello. Negli anni, qualcosa inzia a muoversi, anche se molto lentamente. Non tutte, tra le poche donne che sono ai vertici, hanno una visione femminista: spesso scienziate molto brave, preferiscono attribuire alle loro capacità e sacrifici l’aver raggiunto alti livelli, magari senza rendersi conto del fatto che al loro stesso livello i colleghi uomini ci sono arrivati con molta meno competenze e fatica. Consiglio per le giovani? Non lasciatevi scoraggiare: potete fare tutto quello che volete, e sappiate che sono per fortuna moltissime le donne più grandi che possono aiutarvi a superare le difficoltà che un mondo ancora fortemente patriarcale vi mette davanti. Chiamateci e ci troverete al vostro fianco. Consigli di lettura: Varie pubblicazioni dell’Asociazione Donne&Scienza, qui.
10 febbraio 2024
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