L'ombra
dell'intruso
di Donatella Bassanesi

Nell'ultimo
romanzo di Carla Cerati "L'intruso",
il divenire si fa attraverso incontri e separazioni, passaggi attraverso
i quali piani diversi si annullano o si corrispondono.
C'è
un'idea di fatalità come momento decisivo e come caos. La fatalità,
perciò morte incombente, di cui si intuisce la forza, l'ineluttabilità.
Ha le caratteristiche della trappola. Dove le idee chiare sono morte,
liquidate.
Bisogna attraversare i momenti della contraddizione, del contrasto (Adriana
è in contrasto con il padre Fosco, con l'amica Delia, con se stessa).
Momenti che si agiscono in uno spazio ristretto. In uno spazio che si
è chiuso prima che se ne sia avuta vera percezione (si sa di essere
caduti in trappola quando è oramai scattata).
Nella trappola si è da prima, da molto prima.
È uno spazio stretto nel quale il corpo dell'uno e dell'altro (prima
di tutto sé-altro, è la scoperta di essere diversamente
da ciò che si pensava di essere) si trovano a confronto in una
condizione di cattività, perciò caotica, a cui non si sfugge
realmente, all'interno della quale non si possono trovare vere strategie,
ma tentativi di aprire dei varchi tra quella massa caotica che inesorabile
procede.
Pende sulle
due amiche - Adriana e Delia, che per lo più a distanza con lettere,
telefonandosi, intrecciano i fili della vicenda, la esplicitano, la rendono
presente, la fanno avvenire - il senso del pericolo.
È l'imprevisto che sta nelle pieghe della normalità, e non
sta semplicemente nelle cose.
Nel procedere degli avvenimenti c'è come una corrente sotterranea
di impressioni, di corrispondenze, di analogie, sono le sensazioni che
le parole non sanno esprimere e che passano attraverso i suoni, i toni
delle voci (urlate, sommesse
), e anche i suoni che potremmo chiamare
latenti, quelli più lontani dai dialoghi, stanno nei passaggi,
nei momenti di sospensione, quando la scrittura cambia tono e c'è
quell'attimo di silenzio privo di tempo e di spazio (quello prima che
la scena si apra).
La morte
annunciata - il padre centenario di Adriana che vuole in un certo senso
assoggettare la propria figlia sospendendola alla propria morte, alla
forza devastante della morte, alla sua imprevedibilità, alla sua
profondità - mette in difficoltà ma anche rende più
intensa, rivelatrice, la relazione tra le due amiche che è lavoro
di scavo: "scavavamo (
) cercando di arrivare al fondo"
(p. 10).
Sospesa sull'intero racconto sta dunque la morte.
Ma la morte, pur detta, mostrata nella sua realtà, resa evidente,
scorre tuttavia sotterranea, è la vita quotidiana osservata attentamente
e resa minutamente ad occultarla e a rivelarla.
Per accenni,
senza volontà precisa di sottolineare la cosa, si viene messi a
conoscenza che Delia, lungo il tempo in cui si svolge il racconto, porta
a termine una serie di biografie.
Ma poiché quella che leggiamo è precisamente una biografia
ci potremmo chiedere se Delia è insieme personaggio della storia
e testimone (della vicenda dell'amica Adriana). Ma anche per quanto riguarda
Adriana potremmo domandarci quanto è personaggio della storia e
quanto è testimone (degli ultimi anni, e in fine della morte del
padre). Ambedue testimoni si direbbe che si stacchino dal contingente
per interrogare nel suo complesso il presente.
Lo scavo
che compiono attraversa il momento, indaga l'intenzione per far emergere
un percorso che potremmo dire di rivelazione di ciò che sta dietro
al pensato, di ciò che non si è visto, non si è capito.
È come la scrittura, potremmo dire anche che è la scrittura:
insieme ombra e intruso.
Adriana e
Delia indagano le loro esistenze, si mettono in gioco riconoscendosi diverse,
non condividendo "le ragioni e le scelte l'una dell'altra" (p.
9). Il lavoro sulle ambiguità del vissuto e della memoria, il suo
ri-presentare (rendere al presente) l'errore, l'equivoco, induce in loro
un "bisogno di analizzare ogni gesto, ogni frase" (p. 9).
È Adriana che, pur temendo quel fondo, lo affronta più radicalmente:
"non sono ancora arrivata al fondo ma sto andandogli rapidamente
incontro (
) disperatamente rassegnata" (p. 12).
Delia, che forse nel nome porta inscritto il sole, la sua luce bruciante,
interroga insistentemente l'amica Adriana, mostra i passaggi contraddittori
nelle affermazioni dell'altra, la porta a riconoscere di aver mal interpretato,
forse di non aver voluto capire.
La rivelazione
rende contemporaneamente il silenzio. Rivelazione che è scarto
che deriva nella materia della vita nel tempo, è il silenzio nel
quale nulla apparentemente avviene. Rivelazione impotente, vana, lontana
(è ciò che non si è saputo, non si è voluto
sapere), e che si raddoppia come assenza, che sta tuttavia nel presente
e pone lo scavo in un non-luogo del presente. Così i ricordi che,
proprio per loro natura, non possono appartenere a un sistema, collocandosi
frammentariamente e differentemente, si riconoscono in un non-tempo e
in un non-luogo.
I suoni,
dai toni alti o bassi - sono le parole riportate, i dialoghi, le frasi
delle lettere che si scambiano le due amiche - riconducono alla vita.
Vita da cui tuttavia la scrittura si allontana. A cui si avvicina ma come
un intruso, pervasivo, esigente, tormentoso che entra, attraversa, come
elemento inquietante.
Così l'intruso - che è generalmente la scrittura per il
suo appartenere-non-appartenere alla vita - si mostra come ascolto del
silenzio che si altera allontanandosi dalla condizione di quiete e si
spezza nel punto in cui un suono originandosi dal silenzio stesso si stacca
dal silenzio; ed è inseguire segni-tracce. L'intruso ricorda, ascolta
il suono delle corde, i rapporti di intensità, di timbro, e impalpabili
silenzi (assenze). Nel ri-presentarsi rende al presente gli incontri e
le separazioni.
Nel romanzo
di Carla Cerati l'ombra (o la maschera) dell'intruso credo possiamo ricercarla
nella figura del padre Fosco (che già nel nome ha qualcosa dei
misteri, dell'evanescente pesantezza dell'ombra) perché l'ombra
è l'intruso che penetra nell'ordine (la prevedibilità) delle
vite, disordinando. Ombra come pericolo incombente, se ne avvertono i
sintomi, ma rimane imprevedibile, non lo si sente realmente avvicinarsi,
rimane nascosto.
Fosco è l'intruso che pretende di entrare nella vita della figlia
Adriana - che si considera vittima e che contemporaneamente stila la sua
propria autodifesa. L'incipit del romanzo è la presentazione dell'intruso
e l' autodifesa di Adriana: "Mio padre è un uomo odioso: autoritario,
insolente, egocentrico, prevaricatore, pieno di sé, incurante dei
diritti altrui, attento solo alle proprie necessità; un despota,
un padrone. (
) ha quasi cent'anni e gode ottima salute, mentre io
devo già fare i conti con diversi acciacchi" (p.9).
Lui vive in una solitudine insieme grama e altezzosa, ha speranze di vita
necessariamente basse e tuttavia lo possiamo considerare una specie di
miracolo (è centenario), non ama e disprezza i viventi, si intromette
nella vita della figlia Adriana alterandola (le fa cambiare abitudini,
e in un certo senso anche i pensieri).
Lascia in eredità alla figlia il tempo della vita che lei ha perduto
dedicandoglisi.
Urla. O tace. I suoi tempi non sono quasi mai quelli degli altri. E' molto
spesso impegnato in questioni viscerali. È sporco, e tutto intorno
a lui è sporco. Si dice che è egoista e avaro.
Dice "io voglio comandare" (p. 157). Dice (pensa?) di poter
stare e di voler stare da solo. E, per apparente contraddizione, "è
un essere viscido, mio padre, prima ti maltratta e poi ti bacia le mani;
e siccome è vecchio non sai come comportarti, non capisci se è
proprio cattivo o se è la vecchiaia, se poverino è perché
è solo" (p. 157).
La sua entrata 'in scena' si ha con una sua lettera, dopo vent'anni di
silenzio, alla figlia: "Ti scrivo perché è morto il
mio cane. Non puoi immaginare che cosa significhi perdere una bestia che
ti è stata accanto per anni: è molto più doloroso
che perdere un figlio" (p. 10)
Immerso nelle miserie della materia, dotato di quella lucidità
capace di individuare e catturare la vittima che insieme disprezza e forse
in fondo ama (così alla fine dichiara), alla quale deve certamente
la sua insicura vita ma a cui non è riconoscente e di cui tuttavia
non si fida, si direbbe proprio maschera della scrittura.
Carla
Cerati
L'intruso
Marsilio, Venezia, 2004
pag.176,
euro 13
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