Io sono Malala

Lea Miniutti

 

«Un bambino, un insegnante, un libro e una penna possono cambiare il mondo. L’istruzione è l’unica soluzione»: è l’appello
che ha lanciato Malala Yousafzai durante il suo discorso al Palazzo dell’ONU, davanti ai potenti della terra.

Sembra ormai di conoscere Malala da sempre. Da quel 9 ottobre 2012, quando uno sparo la colpì alla testa mentre tornava a casa da scuola, la storia di questa ragazzina pachistana ha fatto il giro del mondo. Minacciata assieme alla sua famiglia prima, e poi colpita dai talebani che pensavano così di far tacere per sempre quella voce contro.

Quali le colpe di Malala? È andata contro i divieti degli integralisti che le proibivano di frequentare la scuola, non sempre indossava il copricapo, usciva senza farsi accompagnare, portava abiti dai colori sgargianti. Celata sotto lo pseudonimo di Gul Makai inoltre mandava il suo diario al sito urdu della BBC per raccontare la vita e il clima di terrore imposto
dai talebani nel Paese. Ma soprattutto attraverso il web rivendicava, per sé e per tutti/e gli/le adolescenti, il diritto allo studio, alla libertà di pensiero. Un affronto insopportabile per uomini che vogliono imporre con la violenza il proprio potere sul corpo e la mente delle donne.
Malala si è miracolosamente salvata, grazie anche ai lunghi interventi chirurgici, prima per estrarre il proiettile conficcatole in testa, poi per la ricostruzione del viso devastato dagli spari.
Questi sono i fatti eclatanti rimbalzati attraverso i media. Ma tutta la storia, semplice e straordinaria di Malala, la si legge tra le pagine della sua autobiografia, che lei ha dedicato “A tutte le ragazze che hanno affrontato l’ingiustizia e sono state zittite”.

La giornalista Christina Lamb ha dato forma scritta al lungo racconto che l’adolescente le ha fatto. E che ci restituisce il clima in cui è maturata questa tragedia. La storia di questa ragazzina così coraggiosa anche nelle difficoltà, che non si perde mai d’animo racconta di sé, dei suoi sogni, della sua famiglia, dei nonni, delle sue amiche e degli insegnanti. Racconta la storia di una comunità che si intreccia con le vicende dolorose del paese in cui sono nati.
Malala ora vive lontano dal Pakistan, ha nostalgia della valle dello Swat dove è nata, lì sono rimaste le sue radici e i ricordi dell’infanzia – e scrive – “La mia valle, resta per me, il
posto più bello del mondo”. Ma ora deve rimanere nascosta ai suoi nemici, e per lei, cresciuta troppo in fretta, è cominciata una seconda vita.

Oggi Malala è il simbolo universale delle donne che combattono per il diritto allo studio, alla cultura e alla libertà.

Nell’ultima pagina del suo libro ricorda ai lettori che è nato il “Malala Fund” organizzazione non profit per la raccolta di fondi da destinare a progetti di educazione per bambine e bambini che non hanno la possibilità di studiare. www.malalafund.org
Ci piace ricordare che è stata la più giovane candidata al Premio Nobel per la Pace. Il Parlamento Europeo le ha assegnato il Premio Sakharov per la Pace: è la prima adolescente a ricevere un tale riconoscimento. L’Italia le ha conferito un premio e la cittadinanza onoraria.


Malala Yousafzai con Christina Lamb
Io sono Malala
Traduzione di Stefania Cerchi
Garzanti, 2013, pp. 286; euro 12,90

 

 

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