Maschi, perché uccidete le donne?
      
Frida Khalo
«Non è vero e non ci credo». «La nostra epoca ridà legittimità alla
guerra, nella famiglia fioriscono violenza e sopraffazione». «La nostra
cultura è patriarcale». Non è immediatamente facile
trovare spiegazioni al dato reso noto una settimana fa dal Consiglio
d'Europa: la prima causa di morte delle donne tra i 16 e i 44 anni, nel
mondo, ma anche in Europa, è l'aggressione violenta da parte dei loro
compagni di vita. Lo afferma una ricerca del neonato "Osservatorio
criminologico e multidisciplinare sulla violenza di genere".
Qualcosa di
profondo e diverso, che è solo maschile
Claudio Jampaglia
Si alzano le mani per comodità, per non capire, ammettere, per non
guardare, per dolore e ignoranza di sé, per bullismo, machismo,
diseducazione, odio e travisato amore. Sempre su un* altr*, che sia
diverso, nemico o consanguineo. Ma quando l'altr* è una donna si alzano
pugni e calci, per qualcosa di più e profondo e diverso, che è solo
maschile e sta nella sfera della gigantesca confusione del "mi appartiene"
(perché maschio mi appartiene la violenza, la mia donna, il mio piacere…).
Mia nonna me l'ha ripetuto incessantemente: "Una donna non si picchia
nemmeno con un fiore". Unico ragazzo in una famiglia maternale a
maggioranza femminile, ho conosciuto uomini miti e ho un padre per cui ho
provato timore per la sua autorevolezza ma che non ha mai alzato una mano
su di me, mai (e mi ha abbracciato molto). Io odio la violenza fisica, i
branchi e l'ira. Ne sono quasi terrorizzato. Così più che darle le ho
prese, ai giardinetti, in piazza e anche un paio di schiaffi di ritorsione
femminile a qualche mia prepotenza.
Sono diverso? No. Sono solo stato
protetto, accompagnato. Perché maschio rimango e benché non alzi le mani,
rimane intatto quel mix complesso di forza, potere, conquista, certezza
sull'altra che accompagna molta parte dell'amore maschile, almeno nei suoi
inizi, nel modo di intenderlo "comunemente".
La famiglia, la coppia, "l'altra un po' tua" sono la discarica di un
copione già scritto: aspettativa delusa, frustrazione e rifiuto sono la
molla della forza, del ripiegamento, della negazione. Tutta la vita
maschile è una battaglia per essere accolti, compresi, così come ne
sentiamo il bisogno. Nell'amore ho trovato il mio egoismo, il mio modo
unico di volere l'affetto, per me. Nella sessualità ho sempre vissuto la
necessità di passare dal mio fuori a un dentro che non mi apparteneva e
che volevo.
È invidia, possesso, di un sesso tutto esterno da sbandierare e stappare,
che si deve far vedere gaudente? Una lotta inutile per non morire così
come si è stati, unici solo a se stessi? L'altra scatena nell'uomo
un'interrogazione costante, continua di quello che è. E l'uomo "mena" la
sua immagine più vera. Lo specchio.
Come battere questo orrendo malinteso
di genere? C'è tanta felicità e gioia per un funerale laico da celebrare
in piazza e a letto, il funerale al possesso di sé che passa sul dominio
dell'altr*, il corteo funebre del coito mal riuscito che ti ha inciso
l'autostima, la veglia cantata dell'io, io, io, senza l'altr*. "Ciascuno
di noi, da solo, non vale niente".
questo articolo
è apparso su
Liberazione del 6 novembre 2005
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