In una scienza, almeno, le ricercatrici hanno modificato i parametri di
ricerca e in qualche modo anche i presupposti teorici, si tratta della
primatologia, lo studio delle scimmie antropomorfe: gorilla, oranghi,
scimpanzé...
Negli ultimi cinquant'anni vi si è dedicato un numero crescente di donne,
sulla scia di alcune pioniere divenute famose: Jane Goodall, Dian Fossey,
Biruté
Galdikas. Carole Jahme (La bella e le bestie. La donna, le scimmie
e l'evoluzione) racconta come in un romanzo
le loro vite e le loro ricerche, insieme a quelle di molte altre che si
sono dedicate e si dedicano alla conoscenza dei primati, una famiglia
di cui facciamo parte anche noi.
Il film Gorilla nella nebbia ha fatto conoscere al vasto pubblico
la tragica vicenda di Dian Fossey, ma non altrettanto si può dire
per le altre ricercatrici, accomunate tutte da una passione travolgente
che le ha condotte a cambiare la propria vita, a sottoporsi a notevoli
privazioni per cercare l'oggetto dei loro studi in luoghi inospitali come
le foreste pluviali del Borneo o le impervie montagne ruandesi. Prima
di loro le scimmie venivano studiate molto più comodamente negli zoo o
nei laboratori dei paesi occidentali.
Questo è il primo fondamentale contributo delle primatologhe: la focalizzazione
sul contesto, l'aver compreso che il ruolo dell'ambiente è cruciale per
determinare i comportamenti di un gruppo animale e che lo sviluppo di
ogni individuo dipende dal gruppo di cui fa parte.
Intelligenza e istinti
- qualunque cosa si intenda con questi termini - non possono essere studiati
in laboratorio né portandosi un gorilla a casa (è stato fatto e Carole
Jahme ci racconta come è andata).
Probabilmente solo delle donne potevano
avere la disponibilità e l'attenzione per giungere a questa metodologia
di ricerca, di fatto sono state delle donne a iniziarla e oggi nessun
primatologo può esimersi dal trascorrere del tempo nella foresta.
Altro aspetto notevole che emerge dalla biografia delle signore
delle scimmie è il fatto che hanno saputo entrare in sintonia con gli animali selvaggi per leggerne azioni e sentimenti. Se è lecito
usare questo termine per dei non-umani.
L'umanizzazione è un pericolo
sempre in agguato in questo campo, così come la sovrapposizione di parametri
umani al comportamento animale e viceversa. In effetti la distinzione
tra umani e scimmie è esplicitamente dichiarata ma sovente non seguita
nel testo e i rispecchiamenti sono continui, con delle forzature a volte.
Una forte motivazione alla ricerca delle primatologhe è stato il desiderio
di comprendere i passaggi evolutivi che hanno portato alla specie Homo e non per caso ispiratore e sostenitore entusiasta sia di Jane Goodall
che di Dian Fossey
fu
il famoso paleoantropologo Louis Leakey, che ha provato definitivamente
l'origine africana della nostra specie. Anche qui, come per molte altre
scienziate, l'incoraggiamento di un uomo è stato determinante all'inizio.
Lascia perplesse il modello di comportamento espresso da molte delle donne
presentate nel volume: la dedizione totale ai 'loro' animali, la cui sopravvivenza
è messa in forse da pericoli di ogni genere: bracconieri, guerre, malattie
portate dagli uomini
Una dedizione giunta fino al consapevole sacrificio
della vita in Dian Fossey, uccisa da un cacciatore di gorilla, ma non
meno profonda per altre che hanno lasciato fidanzati, mariti o carriera
accademica per non abbandonare orango o scimpanzé: per alcune si è trattato
di scelte liberatorie, e si capisce che la linda provincia americana sia
stata abbandonata con sollievo.
Rimane tuttavia il sospetto di una volontà
sacrificale e di una assunzione di responsabilità cosmica. Caratteristiche
sovente attribuite al femminile che non ci sentiremmo proprio di proporre
come modello.
Esemplare, invece, il rigore e la passione con cui il saggio informa sullo
stato complessivo di questa nuova scienza e sulla vita di molte donne
coraggiose.
Carole Jahme, La bella e le bestie. La donna, le
scimmie e l'evoluzione,
La Tartaruga edizioni, 2000, pag. 488, £
34.000
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