Le nevi del Kilimangiaro

Maria Pia Fusco intervista il regista Robert Guédiguian

 

 




"Ogni cinque, sei anni ho bisogno di tornare a Marsiglia nel quartiere dove sono nato, ritrovare il clima della classe operaia, le mie radici. È l'unico modo per confrontarmi con me stesso come cineasta, a che punto sono nei contenuti e nello stile. È il modo migliore per rispondere a una domanda dei protagonisti del film: che cosa avremmo pensato trent'anni fa di noi, di quello che siamo diventati oggi? Siamo diventati borghesi. Ma non troppo, come dice Claire nel film", dice Robert Guédiguian il regista.

Marie-Claire (Ariane Ascaride) e Michel (Jean-Pierre Darroussin) sono una coppia che vive serenamente nell'affetto dei figli, dei nipoti, degli amici, anche se lui, dopo trent'anni di fabbrica e di sindacato, ha perso il lavoro. Tutto cambia una sera, quando vengono aggrediti in casa e rapinati dei loro risparmi e dei biglietti per il sognato viaggio in Africa. Michel non trova pace soprattutto quando scopre che uno dei rapinatori è un giovanissimo operaio, uno con cui ha lavorato e con il quale ha perso il lavoro. Ma la delusione e la rabbia di Michel sfumano per arrivare ad un finale di generosità e di speranza.

C'è una novità forte rispetto al suo cinema "politico" precedente. "Il tema era sempre la solidarietà e l'unione tra la povera gente, in questo film si parla della divisione, è questo il grande cambiamento nella società", dice Guédiguian, che deve il film al poema di Victor Hugo "La povera gente".

"Quando ho scritto un appello pubblicato da "Le Monde" per convincere gli elettori a votare contro la costituzione europea, il termine classe operaia mi sembrava limitativo, più giusto dire "la povera gente". Ho riletto il poema e quel finale con i due pescatori poveri che prendono in casa i due bambini della vicina morta, avendo già cinque figli, mi è sembrato un gesto magnifico, perfetto per il finale di un film. Mi bastava trovare la storia per arrivarci".

Secondo Ariane Ascaride, moglie del regista, c'è un'altra novità: "Nei film di Robert finora lo spazio era soprattutto per la parola, c'era attenzione per la forma, ma prevaleva il contenuto politico. Oggi le sue convinzioni ci sono tutte, ma riesce a far passare anche il cuore e le emozioni. Lui ha una immensa sensibilità, anche un po' ingenua, finora si è trattenuto, finalmente si lascia andare. Forse è l'età, si avvicina ai sessanta".

Nei confronti dell'Europa le idee del regista sono chiare: "Non esiste un'identità dell'Europa e come potrei aderire ad un'istituzione che non so cosa sia? È cristiana? È un mercato? Non mi interessa. Se si tratta di scambi culturali, ci sono sempre stati, tutti conoscono Shakespearte, Hugo, Dante, non serve un'istituzione per questo. L'idea di partenza era evitare la guerra tra Francia e Germania e questo va bene, poi si è sviluppata come un'impresa liberale, per contrapporci prima agli Usa, poi all'Urss, oggi alla Cina, domani forse all'India. Non mi interessa, non ho paura dei cinesi o degli indiani. E non ho nulla in comune con gli europei se gli europei sono gli ungheresi che cancellano la libertà di stampa, gli italiani che avevano eletto Berlusconi o i francesi di Sarkozy. Ma il Parlamento europeo mi ha dato un premio per questo film: ho pensato che forse si sta spostando a sinistra".

Tra le battute più divertenti del film c'è quella di Marcel che rifiuta di imparare l'inglese "perché è la lingua del capitalisti". "Ma quella è una lotta che dobbiamo smettere di combattere", scherza Guédiguian. "La battaglia è perduta per sempre, ormai anche i cinesi parlano inglese".

 


Les neiges du Kilimanjaro, cantata da Pascal Danel, è la canzone che dà il titolo al film

 

4-11-2011