STORIA DI LAURA
 
di Tiziana Tobaldi

 

 

Laura è figlia unica. Abita in una grande città del Nord, si sposa a ventun’anni e si  trasferisce con il giovane marito in una cittadina siciliana della quale lui è originario. Da questa sua prima scelta, si rivela evidente la volontà  di allontanarsi da una famiglia piuttosto chiusa ed opprimente, che limita le sue possibilità di autorealizzazione e la soffoca in una dimensione priva di orizzonti.

Laura quindi non prende neanche in considerazione eventuali opportunità di affermazione individuale, forse non è stata dotata nemmeno degli strumenti necessari per riconoscerla, e segue il marito che intende aprire una piccola officina meccanica.

Tre anni dopo muore suo padre e sua madre si trasferisce da sola in una nuova casa dove inizia ad avere problemi di salute che si evolveranno in misura sempre maggiore. Laura non se la sente di lasciarla sola: il legame che aveva tentato di recidere la avviluppa inestricabilmente al di là della sua consapevolezza.  Prende con sé il suo bambino di due anni e ritorna al Nord per assistere la madre.

La nuova famiglia si divide, ma il giovane marito più spesso che può attraversa l’Italia per andare a trovare il figlio e la moglie, che, naturalmente, è ritornata a convivere stabilmente con la madre. Dentro di sé Laura già percepisce che si tratta di un ritorno pressoché definitivo, tanto che iscrive se stessa ed il suo bambino nel nucleo familiare dell’abitazione materna.

Quando Laura ha trent’anni nasce una figlia, ma già un anno dopo le condizioni della madre si aggravano a tal punto che Laura prende una decisione che possiamo immaginare quanto sia stata sofferta: preferisce allontanare da sé i figli, che vanno a vivere al Sud con il padre e la nonna paterna, piuttosto che allontanarsi dalla malata.

Quanto pesi questo legame, quanto abbia interiorizzato l’immensa ed annichilente figura materna, quanto sia impossibile per lei considerarsi un individuo pensante, possiamo solo percepirlo da ciò che compie: tra rinnegare la maternità, che è la sua unica esperienza vissuta nella completa separazione, e sciogliere -o quantomeno allentare- la relazione con la propria madre, sceglie di considerare se stessa una genitrice insensibile ed inadatta piuttosto che una figlia  indifferente  e disinteressata. 

Il solco fra le due dimensioni di Laura diventa sempre più profondo quando, per poter iscrivere a scuola il figlio, che è sempre vissuto in Sicilia e lì ha le sue relazioni primarie, le viene richiesta dalla burocrazia la formale unione del nucleo familiare e, quindi, deve riprendere la residenza al sud.

Passano ancora tre anni e la madre, le cui condizioni si sono aggravate, formula una nuova richiesta alla figlia: desidera essere riportata nella città del sud Italia nella quale è nata e nella quale ancora risiedono alcuni suoi parenti, con la speranza irragionevole che lì, dove si trovano le sue radici, possa esistere la cura miracolosa che le consentirà di guarire. Laura compie quindi questo viaggio non sappiamo se prefigurandosi di accompagnare la malata verso il suo termine ultimo, illudendosi anch’essa con l’inganno della madre, vestendo i panni di una prefica senza cadavere o forse di un prigioniero la cui pena potrà avere conclusione.

I medici dell’ospedale della città della madre, nel confermare ogni aspetto della prognosi, si dichiarano nell’impossibilità di ricoverarla perché privi delle attrezzature necessarie per curarla. Ora Laura è sola, in una città a lei estranea e sa che ogni decisione futura peserà inesorabilmente sulla sua vita. Poiché i medici le hanno prospettato che, per la madre, il viaggio di ritorno al nord potrebbe essere fatale, si rivolge a chi in quel momento è geograficamente più vicino e rappresenta comunque un debole baluardo alle imperiose ed egoiste richieste cui continua a dover far fronte. Sarà il marito ad accogliere Laura e la madre di lei nella casa dove ha abitato sin da bambino e sarà la suocera a condividere con lei la cura dell’inferma, che morirà dopo pochi mesi.

Laura si trova in quell’istante, dopo tanti anni di tirannia mascherata da legame affettuoso, di dedizione incondizionata al cappio della relazione materna, a poter decidere per se stessa, a disporre della sua vita. Ritorna con la bambina più piccola al Nord, in quella casa dove ha vissuto oppressa dalla lunga malattia della madre. Il rapporto con il marito, però, ha resistito quasi inspiegabilmente in tutto questo tempo, forse amorevolmente alimentato nella parte più segreta e nascosta di Laura proprio perché spiraglio verso un sé integro: lui decide quindi di raggiungere la moglie con il figlio maggiore, per ricostruire una vita familiare troppo presto spezzata.

La vera nascita di Laura è cominciata con la morte della madre. Non le è servito crearsi un nuovo legame sposandosi, né frapporre una distanza fisica: il fantasma della relazione primigenia è stato sempre presente per il breve periodo in cui è vissuta lontana e l’ha risucchiata inesorabilmente per un tempo che le sarà sembrato infinito fino a quando è stato dissolto solo dal dolore lacerante della perdita.

Molte di noi vivono questo rapporto in maniera meno drammatica ma altrettanto incombente: quando cerchiamo di volare con le nostre ali le sentiamo appesantite dal carico della presenza materna che pretende di limitarci, di trattenerci, di plasmarci a propria immagine. Dopo anni di autocoscienza, di lotte per cambiare la società e la politica, di liberazione sfiorata e mai acquisita, l’altare sul quale molte di noi  immolano la propria maturità è l’assidua presenza materna alla quale non riescono a sottrarsi.

Non esiste, secondo me soluzione individuale. Laura era in condizioni economiche tali da non poter affidare ad altri nemmeno per pochi momenti la cura della madre, ma anche quelle di noi che possono avvalersi della collaborazione esterna di altre (quasi sempre donne, guarda caso) si sentono sole di fronte alla responsabilità ed alla gestione dell’impegno. Lo stato taglia le pensioni, la società vede gli anziani come un nuovo target di mercato e noi potremo mai dire di aver tagliato il cordone ombelicale?