IL
LAVORO DELLE DONNE
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E' stata realizzata a Milano una ricerca promossa dall'Osservatorio sulla Condizione Femminile della Regione Lombardia, dal titolo Nuove forme di lavoro, sistemi di conciliazione dei tempi, strategie per la carriera (IRER, ottobre 2000). Si tratta di tre monografie, rispettivamente Donne e nuove forme di lavoro in Lombardia, a cura di Manuela Samek Ludovici e Renata Semenza; I sistemi di conciliazione tra i tempi del lavoro familiare, i tempi del lavoro professionale e i tempi dei servizi, di Marina Piazza; Ricerca sulla presenza femminile nei luoghi decisionali, di Francesca Zajczyk. Risultano
interessanti sia l'analisi dei vincoli oggettivi, dovuti ad un certo modello
di organizzazione del lavoro, che mantengono le donne in situazioni di
segregazione occupazionale sia orizzontale che verticale; sia la segnalazione
di cambiamenti della soggettività femminile, specie nelle donne
più giovani, nei confronti del lavoro e del suo rapporto con la
vita personale e familiare. Se in Lombardia in particolare, ma anche nel resto d'Italia, in modo meno accentuato, un numero crescente di donne è entrato nel mercato del lavoro in misura maggiore che gli uomini ( in linea con le tendenze dell'Unione Europea, in cui 2/3 dei nuovi posti di lavoro creati negli anni 1994-1998 hanno riguardato le donne), tuttavia ad un più alto tasso di scolarizzazione femminile e a percorsi di istruzione più rapidi rispetto agli uomini corrispondono poi minori possibilità di carriera per le donne e persistenti disuguaglianze salariali. I
nuovi lavori sono quasi tutti, anche se dagli ultimissimi dati la tendenza
sembra attenuarsi, regolati da forme di contratti flessibili (part-time
e tempo determinato) o atipici (lavoro interinale e contratti di collaborazione
continuativa e non continuativa); le maggiori opportunità di lavoro
per le donne sembrano essere i part-time, per l'80% appannaggio femminili,
che però le intrappolano più degli uomini in un "circolo
vizioso di lavori precari e marginali, con un minore livello di protezione
sociale". Si
comincia a parlare nella letteratura sociologica dell'invisibile dilemma
del daddy stress, un conflitto non riconosciuto tra i doppi doveri della
famiglia e del lavoro che i padri stessi sentono che non possono nominare.
Questa difficoltà al riconoscimento è imputabile non solo
agli ostacoli economici , alla forza dei pregiudizi di ostilità,
alla mancanza di politiche pubbliche a favore della paternità,
ma anche a sentimenti di inadeguatezza rispetto a un lavoro fino a ieri
sconosciuto e a volte persino a percezioni di ostilità da parte
delle donne, che vedono con apprensione l'intrusione degli uomini in un
campo dove finora hanno esercitato autorità e potere, esattamente
e specularmente come gli uomini vedono con apprensione e ostilità
l'avventurarsi delle donne nel campo fino a ieri a loro riservato, quello
del lavoro per il mercato"(Piazza) Entrano
qui in gioco anche gli aspetti di natura culturale, i vincoli interiori,
che spesso inducono nelle donne atteggiamenti, aspettative, comportamenti
contraddittori rispetto alla sfera familiare : quante ci stanno fino in
fondo ad abbandonare quell' onnipotenza dei sentimeniti, che è
stata fino a ieri la più grande compensazione dell'insignificanza
e mancanza di potere nell'area pubblica del sociale e del politico. L'impressione
è che se non si affronta questa condizione psichica e non vi si
riflette collettivamente tra donne, qualunque modificazione di contesto
esterno ( attenuazione dei vincoli all'accesso al lavoro, maggiori possibilità
di soddisfazioni professionali ....) sia destinata a fallire, perché
permarrà sempre questo atteggiamento viziato in molte anche se
sono cambiate le condizioni materiali. Un'ultima
considerazione, tra le tante possibili, ce la offre la monografia della
Zajczyk sulla presenza femminile nei luoghi decisionali; di fronte ad
un panorama lombardo, e a maggior ragione italiano, di sottorappresentazione
delle donne nel campo della dirigenza sia nel pubblico che nel privato,
tra le numerose cause della permanenza di segregazione verticale vengono
segnalate due: la maggiore difficoltà per le donne, rispetto agli
uomini, di utilizzare il capitale sociale (reti di relazioni e conoscenze
che possono aiutare nella carriera) di cui si dispone per appartenenza
familiare o di costruirsene uno; la presenza di stereotipi penalizzanti
per le donne in molte dirigenti e manager donne. Osserva infatti la Zajczyk:
" Un elemento abbastanza certo, rispetto al perdurare della condizione
di ascesa bloccata, sembra essere la maggiore difficoltà per le
donne di mettersi in luce con le persone giuste, di intessere con esse
relazioni stabili. Non è un caso, d'altra parte, che le possibilità
di carriera femminili subiscono un forte incremento quando i criteri di
avanzamento sono puramente meritocratici Il
capitale sociale, insieme a quello educativo, costituisce una delle principali
risorse delle quali può godere un individuo. Le donne sembrano
però avere particolari problemi ad utilizzare questo tipo di risorsa
molte intervistate in prima battuta confondono l'utilizzo del proprio
capitale sociale con pratiche illecite o moralmente discutibili, come
la raccomandazione, la bustarella, l'uso del proprio corpo
Di fatto,
esse ripropongono l'immagine comune -dalle stesse intervistate denunciata-
della donna che ricopre una posizione importante non perché se
lo merita, ma perché si è data sessualmente ad un uomo di
potere". Come
non pensare, a questo proposito, a certe fantasie che perdurano nelle
mentalità di donne e uomini anche quando le condizioni materiali
non esistono più, e fra tutte al fantasma della prostituzione,
che mantiene un forte potenziale di inerzia, secondo il quale si può
sempre verificare uno scambio sessualità/denaro/potere tra donne
e uomini?
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