IL LAVORO DELLE DONNE
di Adriana Perrotta Rabissi

 

 

E' stata realizzata a Milano una ricerca promossa dall'Osservatorio sulla Condizione Femminile della Regione Lombardia, dal titolo Nuove forme di lavoro, sistemi di conciliazione dei tempi, strategie per la carriera (IRER, ottobre 2000). Si tratta di tre monografie, rispettivamente Donne e nuove forme di lavoro in Lombardia, a cura di Manuela Samek Ludovici e Renata Semenza; I sistemi di conciliazione tra i tempi del lavoro familiare, i tempi del lavoro professionale e i tempi dei servizi, di Marina Piazza; Ricerca sulla presenza femminile nei luoghi decisionali, di Francesca Zajczyk.

Risultano interessanti sia l'analisi dei vincoli oggettivi, dovuti ad un certo modello di organizzazione del lavoro, che mantengono le donne in situazioni di segregazione occupazionale sia orizzontale che verticale; sia la segnalazione di cambiamenti della soggettività femminile, specie nelle donne più giovani, nei confronti del lavoro e del suo rapporto con la vita personale e familiare.

Se in Lombardia in particolare, ma anche nel resto d'Italia, in modo meno accentuato, un numero crescente di donne è entrato nel mercato del lavoro in misura maggiore che gli uomini ( in linea con le tendenze dell'Unione Europea, in cui 2/3 dei nuovi posti di lavoro creati negli anni 1994-1998 hanno riguardato le donne), tuttavia ad un più alto tasso di scolarizzazione femminile e a percorsi di istruzione più rapidi rispetto agli uomini corrispondono poi minori possibilità di carriera per le donne e persistenti disuguaglianze salariali.

I nuovi lavori sono quasi tutti, anche se dagli ultimissimi dati la tendenza sembra attenuarsi, regolati da forme di contratti flessibili (part-time e tempo determinato) o atipici (lavoro interinale e contratti di collaborazione continuativa e non continuativa); le maggiori opportunità di lavoro per le donne sembrano essere i part-time, per l'80% appannaggio femminili, che però le intrappolano più degli uomini in un "circolo vizioso di lavori precari e marginali, con un minore livello di protezione sociale".
Il fenomeno chiama in causa gli aspetti connessi con il lavoro di cura, che, se rimane per la maggior parte responsabilità delle donne, fa registrare, soprattutto nelle generazioni tra i 30 e i 40 anni, un nuovo fenomeno: "Gli uomini, … fanno rilevare alcune crepe in quell'identità lavorativa totalizzante che è stata la loro realtà fino all'altroieri, ma che può cominciare a diventare uno stereotipo.

Si comincia a parlare nella letteratura sociologica dell'invisibile dilemma del daddy stress, un conflitto non riconosciuto tra i doppi doveri della famiglia e del lavoro che i padri stessi sentono che non possono nominare. Questa difficoltà al riconoscimento è imputabile non solo agli ostacoli economici , alla forza dei pregiudizi di ostilità, alla mancanza di politiche pubbliche a favore della paternità, ma anche a sentimenti di inadeguatezza rispetto a un lavoro fino a ieri sconosciuto e a volte persino a percezioni di ostilità da parte delle donne, che vedono con apprensione l'intrusione degli uomini in un campo dove finora hanno esercitato autorità e potere, esattamente e specularmente come gli uomini vedono con apprensione e ostilità l'avventurarsi delle donne nel campo fino a ieri a loro riservato, quello del lavoro per il mercato"(Piazza)

Entrano qui in gioco anche gli aspetti di natura culturale, i vincoli interiori, che spesso inducono nelle donne atteggiamenti, aspettative, comportamenti contraddittori rispetto alla sfera familiare : quante ci stanno fino in fondo ad abbandonare quell' onnipotenza dei sentimeniti, che è stata fino a ieri la più grande compensazione dell'insignificanza e mancanza di potere nell'area pubblica del sociale e del politico. L'impressione è che se non si affronta questa condizione psichica e non vi si riflette collettivamente tra donne, qualunque modificazione di contesto esterno ( attenuazione dei vincoli all'accesso al lavoro, maggiori possibilità di soddisfazioni professionali ....) sia destinata a fallire, perché permarrà sempre questo atteggiamento viziato in molte anche se sono cambiate le condizioni materiali.

Un'ultima considerazione, tra le tante possibili, ce la offre la monografia della Zajczyk sulla presenza femminile nei luoghi decisionali; di fronte ad un panorama lombardo, e a maggior ragione italiano, di sottorappresentazione delle donne nel campo della dirigenza sia nel pubblico che nel privato, tra le numerose cause della permanenza di segregazione verticale vengono segnalate due: la maggiore difficoltà per le donne, rispetto agli uomini, di utilizzare il capitale sociale (reti di relazioni e conoscenze che possono aiutare nella carriera) di cui si dispone per appartenenza familiare o di costruirsene uno; la presenza di stereotipi penalizzanti per le donne in molte dirigenti e manager donne. Osserva infatti la Zajczyk: " Un elemento abbastanza certo, rispetto al perdurare della condizione di ascesa bloccata, sembra essere la maggiore difficoltà per le donne di mettersi in luce con le persone giuste, di intessere con esse relazioni stabili. Non è un caso, d'altra parte, che le possibilità di carriera femminili subiscono un forte incremento quando i criteri di avanzamento sono puramente meritocratici

Il capitale sociale, insieme a quello educativo, costituisce una delle principali risorse delle quali può godere un individuo. Le donne sembrano però avere particolari problemi ad utilizzare questo tipo di risorsa … molte intervistate in prima battuta confondono l'utilizzo del proprio capitale sociale con pratiche illecite o moralmente discutibili, come la raccomandazione, la bustarella, l'uso del proprio corpo … Di fatto, esse ripropongono l'immagine comune -dalle stesse intervistate denunciata- della donna che ricopre una posizione importante non perché se lo merita, ma perché si è data sessualmente ad un uomo di potere".

Come non pensare, a questo proposito, a certe fantasie che perdurano nelle mentalità di donne e uomini anche quando le condizioni materiali non esistono più, e fra tutte al fantasma della prostituzione, che mantiene un forte potenziale di inerzia, secondo il quale si può sempre verificare uno scambio sessualità/denaro/potere tra donne e uomini?
Così si verifica anche per i pregiudizi a sfavore delle altre donne: " Nella stragrande maggioranza … le intervistate hanno interiorizzato quei pregiudizi e stereotipi 'maschili' che segregano la donna in ruoli professionali subalterni. Per esempio, alcune affermano di tener conto, nella scelta dei collaboratori, del fatto che le donne sono più adatte a certi ruoli, di fatto subalterni, e, viceversa, che la condizione femminile possa costituire un problema, laddove si debba andare a ricoprire ruoli di responsabilità".
Niente di nuovo, dirà qualcuno; ma non ci eravamo occupate di tutte queste nostre interiorizzazioni e complicità con l'ordine esistente? Producendo riflessioni, elaborazioni, documenti... forse è il caso di riparlarne insieme.