cara Lea

ho letto il tuo articolo, mi fa piacere che il libro di cui parli, anche se necessariamente per sommi capi, confermi quanto sto osservando a proposito della paternità di Emanuele e Francesco.

Per Francesco è ancora in prospettiva (Alice nascerà entro il 4 ottobre, ma ho visto il suo comportamento "di corpo" nei confronti dei suoi nipoti), ma Emanuele è già alla seconda paternità. Inoltre sono andata alle riunioni iniziali del nido di via Salasco, nido frequentato da Naima e Milo (che ha 5 mesi, riunioni che si tenevano un giorno alle 2 e un giorno alle 3 del pomeriggio) c'erano tanti padri (tutti tra i 30 e i 40, ma più sui 30) quante madri, e l'atteggiamento nei confronti dei figli, anche dei lattanti di 4-5-6 mesi, non si sarebbe distinto da quello materno.

Ora io penso che Emanuele e Francesco non siano per niente delle eccezioni, ho verificato il comportamento di giovani padri -compagni-mariti- di figlie di mie amiche, sempre tra i 30 e i 40, ma di professioni diverse tra loro, sia impiegati che professionisti; tutti comportamenti improntati a una grande tenerezza corporea, impegno nella gestione dei bimbi anche molto piccoli (cambio pannolini, preparazione pappe, alzate notturne a ripetizione, anche se la mamma è ancora in maternità..); semmai ho notato una tendenza delle giovani donne a "stancarsi prima di quanto facevamo noi" e quindi a richiedere come naturali, senza sensi di colpa (che a volte provavo io, come inadeguatezza al ruolo) condivisione (ai compagni, alle madri, alle suocere) che noi non chiedevamo in tale misura,e, per esempio nel caso mio ma non solo, non potevamo (io madre morta quando avevo vent'anni e suocera non disponibile).
La mia fortuna è stata che Paolo, per esperienza (ha vissuto da solo molto presto, da quando era piccolo) e desiderio esplicito suo, era completamente intercambiabile con me nel lavoro di cura, di "manutenzione" della nostra casa, nella cucina..., e allora non era così diffuso come oggi.
Ho notato, nel caso specifico dei miei figli, che anche prima della loro paternità amavano cucinare, più delle loro compagne, che mangerebbero cose pronte (precotti o salumi) o comunque insalate o cose molto sbrigative, piuttosto che occuparsi di fornelli.
Così il far da mangiare in casa ricade per lo più sulle spalle di Emanuele e Francesco, che però lo fanno volentieri e mi richiedono da anni in verità ricette e consigli culinari; non so come vada nelle case delle altre giovani coppie.

Tutto questo mi viene in qualche misura confermato dal tuo articolo, allora però mi chiedo che trasformazioni sociali questo stia provocando dal momento che forse si tratta di comportamenti usciti da una dimensione di nicchia (come era per Paolo e pochi altri), oppure no? E che rilevanza politica assumerà nelle relazioni uomo donna.
Non so bene come leggere in una prospettiva più ampia del mio stretto quotidiano.
Un abbraccio
Adriana

cara Adriana,

grazie della bella lettera. Per quel poco che ho conosciuto dei tuoi figli, non avevo dubbi che avrebbero affrontato la vita di coppia e la paternità con l'impegno e la tenerezza che tu descrivi. Se la società al confronto cambia così poco, penso si debba attribuire al fatto che, oltre a essere ancora il comportamento di una ristretta minoranza, sembra restare dentro la sfera privata, come soluzione personale, con poca spinta a farne un problema generale del rapporto uomo-donna, e a mettere in discussione una sfera pubblica che conserva, nelle sue istituzioni, i suoi poteri e linguaggi, la forte impronta e predominanza maschile.
Sarebbe importante che gli uomini stessi si facessero carico di creare un movimento di idee che ponga interrogativi sui modelli che abbiamo ereditato, e su cui si fonda ancora la politica e l'organizzazione del lavoro. E' vero che c'è già da tempo l'Associazione maschile plurale, ma quanti giovani uomini la conoscono? Quanti hanno letto il libro di Stefano Ciccone, Essere maschi? Non credi che la soluzione 'privata' sia sorretta e conservata come tale anche dalla generosa dedizione di nonne e nonni?
Un abbraccio e un saluto affettuoso a Emanuele e Francesco
Lea

cara Lea,

sulla questione che tu chiami con delicatezza generosità di nonne e nonni si apre una "voragine " di discussione e contraddizione.
Paolo e io , richiesti -non so ancora se per scherzo, come a suo tempo è stato sostenuto, o davvero- di una disponibilità, nei confronti del lavoro di cura ai nipoti, superiore a quella che ci sentivamo di prestare, abbiamo detto di no, provocando una reazione di scontento forte.
Le cose poi sono state superate, ma è spesso in agguato l'incomprensione, l'accusa più o meno esplicità di non aiutare quanto ci si aspetta da noi.

La cosa colpisce nel profondo più me, madre, che Paolo, padre per una mia (ma solo mia?) tendenza a colpevolizzarmi maggiormente su questi temi.
E qui c'è una questione di cultura di lunga durata! Comunque finora abbiamo sempre mantenuto la nostra misura, anche a a prezzo di qualche amarezza.

Ma c'è anche l'aspetto del piacere, affettivo-ludico: stare con i nipoti è molto stancante, ma molto piacevole, divertente, quasi antidepressivo...
Non ci rinuncerei, anche se ai miei tempi. Esiste qui il "piacere del dono", che funziona anche come forma di difesa nei confronti della ferocia istituzionale e sociale. E ti assicuro che questo "dono" riceve una "ricompensa affettiva" molto grande dai bambini, alla quale è difficile rinunciare.

Un abbraccio
Adriana

28-09-2011

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