Susanna la doppia novità


di Lea Melandri



«Susanna niente panna». Così comincia l’articolo di Stefano Livadiotti uscito su L’Espresso del 23 settembre 2010, dedicato a Susanna Camusso, la prima donna nella storia ad assumere la guida di un grande sindacato come la Cgil. A delinearne il ritratto sono chiamati venti testimoni eccellenti – politici, imprenditori, sindacalisti – che l’avevano incrociata nel corso della sua lunga carriera. Nessun accenno al fatto che Camusso è stata, nel 2006-2007, una delle promotrici e protagoniste di “Usciamo dal silenzio”, l’assemblea milanese che il 14 gennaio 2006 ha portato a manifestare per le vie della città duecentocinquantamila donne di ogni parte di Italia. All’elenco delle “doti femminili” che potrebbero giovarle in un ruolo che è stato tradizionalmente rivestito da uomini – sensibile, capace di mediazioni, tenace e sobria, determinata e duttile -, fa da coronamento il commento lapidario di Ottaviano del Turco: «È stata capace di far crescere nel sindacato una classe dirigente femminile evitando il peggio della cultura femminista».
Che cosa sia il “peggio” del femminismo per Del Turco non è dato sapere, ma lo si può intuire dal giudizio che dice di aver conservato di lei, al suo ingresso in Cgil: «Una bellissima ragazza di origini borghesi che subiva il fascino delle posizioni più radicali della classe operaia milanese dell’epoca».

Ho conosciuto Camusso in uno di quei brevi ma significativi risvegli del movimento delle donne in Italia che è stato Usciamo dal silenzio, e mi è difficile separare l’esperienza che abbiamo condiviso dalla gravosa ma appassionante responsabilità che l’aspetta come segretaria generale della Cgil.
So poco della sua lunga carriera nel sindacato, ma abbastanza per essere certa che terrà fede alle convinzioni espresse in una intervista su Panorama Economy. All’intervistatore che le chiede: «Cadrà un tabù, solo i maschi al comando, anche per la Cgil?», Camusso risponde: «La Cgil è già un’oasi in un paese profondamente maschilista e in una stagione nella quale la considerazione per le donne in generale, ma anche per quante ricoprono un ruolo di responsabilità, è davvero ai minimi. Noi abbiamo una regola statutaria: in tutti gli organismi dirigenti, al centro e in periferia, la  rappresentanza maschile e femminile non può essere inferiore al 40 per cento. E’ una regola  applicata? E’ un processo in corso, anche se resta un certo fastidio di alcuni maschi per la carriera delle donne. Però stiamo andando avanti sulla strada di un autentica parità, altrimenti io non sarei mai diventata segretaria della Cgil Lombardia. E non avremmo visto una donna al vertice della Cgil in Sicilia e in Calabria, a Torino e a Messina, solo per fare degli esempi».

Il significato simbolico che ha la presenza di una donna alla testa di uno dei più grandi sindacati operai è fuori discussione. In un paese come il nostro, dove la condizione femminile registra una marginalità senza confronto a livello europeo, e non solo, anche l’eccezione va salutata con favore. Ed eccezionale è sicuramente il fatto che nei luoghi chiave dell’impresa e del lavoro ci siano oggi in Italia due donne: Emma Marcegaglia e Susanna Camusso.

Ma nel caso di Camusso non ci si può fermare al semplice compiacimento per un passo verso l’emancipazione che riguarda le donne in quanto tali. Da quello che si legge nei giornali, è facile capire che il pregiudizio, diffuso a destra come a sinistra, per cui a una donna non si riconosce intelligenza e genialità ma solo il grande sforzo per impadronirsi di strumenti “naturalmente” riservati al maschio, non è mai morto: «Una secchiona arriva alla Cgil». La cultura maschile, erede della “ragione” classica, platonica, aristotelica, cristiana, non si smentisce e non risente del passare del tempo. All’alba del 1900, scriveva Otto Weininger: «Si può ben pretendere l’equiparazione giuridica dell’uomo e della donna, senza perciò credere nella loro eguaglianza morale e intellettuale. Da un punto di vista morale non si può che dare il benvenuto a queste donne che sono sempre più maschi delle altre, si dovrebbe salutare in loro un progresso, un superamento di se stesse».
L’elmetto che Maurizio Landini, leader della Fiom, ha messo sul capo di Susanna sabato 16 gennaio 2010, giorno della grande manifestazione a Roma, non allude forse a un “benvenuta tra noi”, maschi, operai?

Il rapporto tra il movimento operaio e il movimento delle donne, dall’emancipazionismo alle pratiche di liberazione degli anni ’70, è sempre stato conflittuale. Alle donne si rimproverava di minare la grande unità di classe, come sanno bene quelle che si sono trovate in quegli anni impegnate in una doppia militanza. Ma lo sanno anche le donne che oggi, molto più numerose che in passato nei partiti e nei sindacati provano con fatica a portare al centro dell’attenzione il rapporto di potere tra i sessi, nei suoi risvolti privati e pubblici.
Eppure non c’è dubbio che oggi le astratte “differenze” su cui si sono costruite la complementarità e la gerarchia tra uomini e donne sono saltate, indipendentemente purtroppo anche dalle battaglie culturali e politiche del femminismo.
Nel dilagare di modelli consumistici, nel trionfo del populismo, nella personalizzazione della politica, nei mutamenti del sistema produttivo, sempre più immateriale, nell’eclissarsi delle identità e delle appartenenze, è difficile non leggere anche la crisi della secolare cultura maschile che ha diviso privato e pubblico, famiglia e società, biologia e storia.

Il “femminile” si trova oggi paradossalmente al centro della sfera pubblica, esaltato come “risorsa”, motore dello sviluppo, moneta di scambio per denaro e carriere. Ma è un’inclusione che lascia inalterata la subalternità delle donne reali, una condizione storica di manodopera di riserva e di valore aggiunto, il peso del doppio carico di lavoro, fuori e dentro casa. Per questo è bene diffidare di chi elogia la comparsa di una figura femminile alla guida della Cgil solo sulla base delle doti che gli uomini si sono sempre aspettati dalle donne – tenacia e malleabilità -, e non vede che il tratto inedito, in Susanna Camusso, non è solo l’approdo a un ruolo storicamente maschile, ma il fatto di aver attraversato quella grande rivoluzione che è stata la comparsa di una coscienza femminile autonoma dai modelli imposti.

 

Pubblicato da Gli altri il 29 ottobre 2010