Chi si ricorda più dello scambio sesso e potere?
di Lea Melandri



L’ultimo numero della rivista “Leggendaria” (n.80, marzo 2010) ha il merito di portare in copertina un titolo che oggi quasi ci sorprende. Chi si ricorda più dell’infervorato dibattito  su “sesso, denaro e potere”, il “virus” che sembrava aver contagiato irrimediabilmente le massime istituzioni della vita pubblica? Attraverso un nucleo consistente di articoli e interviste, tornano in primo piano sia i protagonisti  della “telenovelas sessual-politica” che ci ha accompagnato lo scorso anno, sia alcuni dei commentatori, uomini e donne, che se ne sono occupati con più passione e continuità. La ripresa, a riflettori spenti, induce a chiedersi come mai  uno “svelamento” che avrebbe dovuto mutare il volto stesso della politica, si sia poi inabissato di nuovo con tanta rapidità.
Forse il carattere occasionale, transitorio, di un fenomeno che ha radici lontane nel tempo, era già inscritto nel modo con cui è venuto allo scoperto. E’ vero che la vicenda ha visto un insolito e imprevisto protagonismo delle donne – Sofia Ventura, Noemi,Veronica Lario, Patrizia D’Addario, Cinzia Cracchi-, ma si è venuta a collocare fin dall’inizio all’interno di uno scontro tra gruppi di potere, rispetto al quale il grande pubblico non poteva che porsi nella posizione dello spettatore.
“La guerra in corso  -scrive Bia Sarasini-  rischia di apparire un conflitto di singoli (o gruppi di) interessi contrapposti, compresa e forse in prima linea la grande azienda della criminalità. Difficile capire che riguarda la propria vita”.

Lo scambio sessuo-economico, come si legge nel libro di Paola Tabet La grande beffa (Rubbettino Editore 2004 ), “è un aspetto centrale dei rapporti di potere tra uomini e donne”, la linea di continuità  tra relazioni che siamo abituati a contrapporre, come il matrimonio e la prostituzione. Finora era appartenuto salvo poche eccezioni alla sfera personale. Oggi, il venir meno dei confini tra privato e pubblico e il trionfo dell’antipolitica hanno aperto la breccia che gli ha reso possibile fare irruzione dentro le massime cariche dello Stato. Questa collocazione inaspettata, se ha permesso di portare allo scoperto verità rimaste per secoli nell’ombra e di imporle al dibattito politico, ha impedito per un altro verso che se ne vedessero le implicazioni generali riguardanti il rapporto tra i sessi e non solo i costumi sessuali dei potenti. Usato come arma di scontro all’interno di lotte di potere, lo scambio tra sesso, denaro, carriere, ha stentato ad assumere una politicità propria, trattato ora con curiosità voyeuristica ora con sdegno moralistico. A darne una lettura  prevalentemente “antiberlusconiana” hanno contribuito i giornali e le trasmissioni televisive in prima linea nella battaglia contro gli assetti di potere dominanti: Repubblica, Il Fatto, L’Unità, Il Manifesto, Anno zero, L’Infedele.

Considerazioni analoghe si possono fare per la “mercificazione del corpo femminile”, altra evidenza rimasta a lungo invisibile. Perché se ne parla solo ora? Ma, soprattutto, il modo con cui se ne parla ci aiuta effettivamente a portare fuori dal silenzio in cui è stata confinata la “naturalizzazione” del dominio maschile sulla vita intera della donna? La sua messa a tema dipende sicuramente da quanto detto sopra –doti estetiche, prestazioni sessuali compensate con denaro o cariche istituzionali-, ma anche dal fatto che, per quanto volutamente ignorata, esiste una cultura femminista che ne ha scritto e parlato a lungo. A ciò va aggiunto un cambiamento che riguarda invece la generalità delle donne e che può essere letto sotto il profilo di una, sia pur discutibile e contraddittoria, “emancipazione”: attributi tradizionali del femminile, come la seduzione e il materno, che escono dagli ambiti ristretti della casa e dei legami intimi per proporsi nello spazio pubblico nelle modalità richieste oggi dal mercato capitalistico. Le donne si fanno “soggetto”, prendono parola per denunciare le logiche di potere dentro le quali si sono collocate, ma non si sottraggono a nuove forme di “oggettivazione”. L’assunzione di un ruolo attivo nel decidere della propria vita impedisce di considerarle delle “vittime”, ma d’altro canto non può essere considerata “libertà” la scelta di vendere il proprio corpo o di mettere a profitto erotismo, sentimenti, affetti.

Il femminismo ragiona da anni sul rapporto sessualità e politica, su pratiche di liberazione e processi emancipatori legati agli sviluppi dell’economia e delle leggi, su autonomia e subalternità nella visione del mondo, ma inspiegabilmente è stato ignorato proprio quando avrebbe potuto dare un contributo essenziale di analisi. E la messa sotto silenzio purtroppo è stata anche l’effetto dell’eccessiva rilevanza che in alcuni casi le femministe stesse hanno dato alle “nuove figure femminili”, elogiate come espressione di “autorevolezza e libertà” per aver messo a nudo l’arroganza del potere. E’ come se tra il discorso dei media sulle donne, “sequestrato dall’immaginario berlusconiano” (Ida Dominijanni) e le donne reali “che non sono né veline né escort” non ci fosse che un vuoto, l’assenza di una storia che è venuta da decenni modificando la coscienza che le donne hanno di sé, spostando rapporti di potere e ripensando l’idea stessa di libertà, come ricerca di autonomia da modelli interiorizzati. E’da questo patrimonio di idee e di cambiamenti profondi del sapere di sé e del mondo che poteva venire un gesto di ribellione meno complice delle stesse logiche di sfruttamento che denuncia, una parola capace di riconoscere l’ambiguità di figure femminili tentate dall’illusione di capovolgere la schiavitù in dominio, la mancanza in risorsa. Solo la cultura prodotta dal movimento delle donne, in un paese dove il rapporto tra i sessi non è mai entrato tra le questioni essenziali della politica, poteva svincolare lo scambio sesso e denaro dall’eccezionalità di un potere personalizzato, assillato da un sogno di onnipotenza e da una patologica ossessione dell’ “eterno femminino”.

La denuncia che le donne fanno dell’uso che il potere fa dei loro corpi, dice Gad Lerner intervistato da “Leggendaria”, ha “effetti destabilizzanti”. Ma di quale potere stiamo parlando? Di quello che gode oggi in Italia del maggiore consenso politico, o di quello diffuso, trasversale a tutte le classi sociali, che considera il corpo femminile una proprietà “naturale”? Non sta forse in questo tratto comune del “potere virile” tradizionalmente inteso una delle ragioni che, al di là degli interessi e dei bisogni di singoli e classi, ha permesso finora al governo di Berlusconi di passare indenne da un terremoto all’altro?


da Gli Altri del 25.06.10

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