Contro noi donne è tornata l' intimidazione maschile

Intervista di Anna Cirillo a Lea Melandri

 

- Lea Melandri, che riflessioni le suscitano gli ultimi episodi di violenza a Milano e a Brescia?

«Non mi sembrano novità. Stupro e omicidio, lo dicono le statistiche, sono all' ordine del giorno».

- Come mai questo accanirsi sulle donne?

«Stupri e omicidi dicevo, ma anche una più generale intimidazione che costringe le donne a limitare la propria libertà fuori dalle mura di casa, fanno parte di una violenza trasversale, che risale alle origini della storia dell' uomo e stenta, dopo millenni, ad emergere alla coscienza. Se ne fa, invece, un problema di culture più o meno arretrate».

- E non lo è?

«Il dominio maschile non appartiene ad una cultura o ad un' altra ma le attraversa tutte».

- Molte donne si sentono meno libere, la città viene percepita come luogo insicuro, soprattutto la sera. è così?

«Sì, si esce con una certa cautela, con la paura e la diffidenza rispetto a chi si incontra, soprattutto di sera e soprattutto d' estate, quando Milano diventa deserta. E c' è anche il timore dell' indifferenza degli altri, della mancanza di aiuto e soccorso se succede qualche cosa. Ma quello che più preoccupa è che stupri e violenze passino ormai come normali fatti di cronaca nera».

- Come mai c' è questa paura e sfiducia?

«Oggi è difficile restringere lo sguardo ad un' unica città per quel che riguarda la violenza sulle donne. Ma certo è che è il rapporto con il tessuto della città che conta. C' è stato un deterioramento delle relazioni sociali, c' è più solitudine, isolamento. C' è una crisi dei legami familiari, e non si intravede un altro tipo di legame sociale che crei condivisione e solidarietà».

- Che cosa bisognerebbe fare?

«Una rivoluzione. La questione uomo-donna, la forma che ha preso piede, segnata dal dominio di un sesso rispetto all' altro, deve essere sottratta al privato e diventare un problema pubblico. Il problema centrale della vita sociale, politica e culturale».

- Ma Milano è diventata veramente una città più insicura o no?

«Il cambiamento più grande l' ho avvertito dopo gli anni ‘70. In quegli anni ci si muoveva nella città liberamente, di giorno e di notte, ovunque. La città era veramente diventata un luogo di incontro che ha portato chi ci viveva ad impadronirsene».

- La presenza di molti extracomunitari, spesso disperati e senza lavoro, è un elemento che crea inquietudine in molte donne. Sarà per questo che è cresciuta la paura?

«La paura è cresciuta negli anni, legata al fatto che viviamo in una società in grande cambiamento. E la forte presenza di immigrati costituisce certamente un problema. Ma la convivenza tra diversi non deve sempre essere riportata a forme di scontro e conflitto, in cui molti vorrebbero confinarla. Io sono arrivata da un paese emiliano di provincia, di cultura contadina, dove non esisteva l' emancipazione delle donne e la violenza c' era, l' ho vista. La città mi ha resa libera».

- Ma lei è proprio tranquilla quando esce di sera?

«Non nascondo di avere anche io un certo timore a muovermi per la città. Ma non è una paura legata agli stranieri, a questa popolazione che mi dà un senso di vitalità, quella che c' è sempre nei fenomeni di migrazione. Quando monto sui tram di sera, e i tram dopo le 8 parlano lingue straniere, sento qualcosa che evoca affetti, memorie. Mi ricordo come sono arrivata io, in cerca di un alloggio...».

- Che cosa si può fare di concreto per cercare di favorire la fiducia a scapito della paura?

«Bisogna puntare sui processi di socializzazione che richiedono un grande sforzo, anche finanziario, un investimento per creare luoghi, situazioni, momenti in cui la gente si possa incontrare».

- E che succede se la gente si incontra?

«Crea un tipo di relazione diversa, crea un alternativa alla solitudine, alla famiglia in crisi».

- Negli anni ‘70 le donne hanno condotto una dura battaglia contro il maschilismo e per la loro autoderminazione. Oggi tacciono.

«Mi sembra ingiusto dire questo, soprattutto di Milano dove il 14 gennaio c' è stata la grande manifestazione "Usciamo dal silenzio", con 250mila persone. Da lì le donne in alcuni quartieri hanno iniziato a volersi incontrare, in questi mesi ci sono state affollatissime assemblee per discutere di cose che le riguardano direttamente. Questa è la direzione nella quale bisogna andare. Un modo per combattere la violenza è creare le condizioni per far uscire le donne di casa veramente, affinché il loro tempo non sia solo uno sforzo acrobatico tra lavoro e cura della famiglia».

- Carla De Albertis assessore alla Salute, chiede la castrazione chimica per i violentatori.

«Non sono per le punizioni corporali, né per l' occhio per occhio. L' abuso che gli uomini hanno esercitato sul corpo femminile non vorrei che fosse applicato su di loro, secondo la legge del taglione».

 

Questo articolo è apparso su La Repubblica del 22 agosto 2006