Violenza contro le donne: le firme non bastano
Lea Melandri

 

Sono d’accordo con le donne di “Se non ora quando?”, promotrici della mobilitazione contro la violenza maschile, che  è necessario spostare l’attenzione sul soggetto da cui viene praticata e non fermarsi sempre e solo sulle vittime, Ma siccome penso, e lo scrivo da anni, che è un errore separare la violenza manifesta da quella meno visibile, solo perché meno selvaggia, che attraversa tutti i rapporti tra uomini e donne   - l’esclusione dalla vita pubblica, la divisione del lavoro e dei ruoli sessuali, con ricadute (sottoccupazione, divario degli stipendi,  conciliazione famiglia/lavoro, ecc.)  sotto gli occhi di tutti- , mi chiedo che senso abbia chiedere di firmare un appello a quegli stessi uomini  -e purtroppo anche donne- che, occupando ruoli di potere nelle istituzioni della sfera pubblica o di autorevolezza nei luoghi della cultura, hanno opposto finora tanta sordità e resistenza ad assumere la questione del rapporto tra i sessi in tutta la sua portata, culturale, sociale, economica e politica. Dare una firma, solidarizzare, scendere in piazza con le donne non costa loro nessuna fatica e anzi si può pensare che accrescerà i loro meriti presso l’elettorato femminile.  Mi si potrebbe obiettare che così è possibile in seguito chiedere loro “fatti” e non solo “firme”.

L’esperienza di tante manifestazioni, appelli, documenti e scritti sulla violenza maschile  -non penso solo al femminismo ma anche ad associazioni come Maschile/Plurale- che ci sono state negli ultimi anni, mi fanno dubitare degli effetti di risveglio di coscienza e responsabilità che può produrre un “coinvolgimento” così facile, offerto con tanta fiducia e gentilezza dalle donne stesse. Siccome, come sappiamo bene, non è solo questione di leggi, pur necessarie, penso che la strada che può portare cambiamenti significativi sia quella di affrontare la problematica del rapporto di potere tra i sessi in tutti i luoghi dove le donne sono presenti, dal privato al pubblico, cominciando a dire dei no, a contrastare, a mettere in discussione forme organizzative modellate suoi ruoli di genere, aperture e valorizzazioni fittizie, strumentali del “talento femminile”. In altre parole, imparare a non avere paura dei conflitti – che sono il contrario della guerra – e dei costi che purtroppo continuerà ad avere ancora  a lungo l’affermazione della libertà delle donne.

Non sottovaluto la ricaduta positiva che possono avere sull’attenzione mediatica le firme di tante persone note, il fatto insolito di vederle tutte insieme, trasversalmente e convintamente “contro” qualcosa di cui forse si accorgono per la prima volta, tale è stata finora l’indifferenza su omicidi, stupri, maltrattamenti quotidiani , che hanno come oggetto le donne, un fenomeno rimasto “privato” e perciò assente dal dibattito culturale e politico. Ma mi preoccupa lo scarto evidente tra la facilità, la leggerezza  -e in alcuni casi l’ipocrisia del politicamente corretto-, con cui si rilasciano brevi dichiarazioni contro gli esemplari “mostruosi” del proprio sesso, e il silenzio persistente sulla “normalità” della violenza connessa a un potere maschile che, come scrive Pierre Bourdieu nel suo libro Il dominio maschile (Feltrinelli 1998), “è inscritto in tutto l’ordine sociale e opera nell’oscurità dei corpi”. Non mancano associazioni, gruppi di uomini che da anni si interrogano sulla questione sessuale, cercando di guardarsi dentro, di conoscersi, di smascherare gli stereotipi che determinano i loro comportamenti  -in casa, sul posto di lavoro, per strada, nelle chiacchiere con gli amici-, ma c’è forse qualcuno tra gli illustri firmatari che abbia dato segno di qualche curiosità riguardo alle loro iniziative, pubblicazioni, convegni, uscite pubbliche?

Le manifestazioni di piazza sono importanti  -credo di non averne mancata una, anche se non ne condividevo del tutto i contenuti-, ma se non sono supportate dal lungo lavoro culturale e politiche che hanno alle spalle e che ne tempera l’aspetto di eccezionalità, è come cominciare ogni volta da principio, con alle spalle un vuoto di passato e davanti un futuro del tutto vago. Il comitato nazionale di Snoq ama presentarsi come un fenomeno “nuovo” rispetto al pensiero e alle pratiche del femminismo storico tuttora presente sul territorio nazionale, una “svolta” con obiettivi di democrazia paritaria, accesso delle donne ai luoghi decisionali del potere, impegno per la legalità e il decoro morale e il riscatto del buon nome dell’Italia agli occhi del mondo. Mi chiedo come sia possibile separare un discorso sulle istituzioni e sullo Stato cancellando decenni di analisi sulla crisi della democrazia e della politica stessa  -linguaggio, separatezza, forme organizzative, gerarchia, norme patriarcali, falsa neutralità, ecc.-. di cui il femminismo degli anni ’70 fu un sintomo e al medesimo tempo, come osservò Rossana Rossanda,  “un embrione di ripensamento”.

La modificazione dei confini tra privato e pubblico era allora solo agli inizi, mentre oggi è sotto gli occhi di tutti dalla personalizzazione della politica al populismo, al saccheggio della vita intima da parte dei media, della pubblicità, del consumo.  Ma, anziché muoversi come fa da anni la cultura femminista nella direzione della ricerca di nessi tra corpo, sessualità, individuo e legame sociale, riscoperta della politicità di tutto ciò che è stato considerato per secoli “natura”, materia separata dalla storia  -a partire dalla relazione tra uomo e donna-, le forze politiche convogliano, volutamente o meno, ogni esperienza di cambiamento  dietro il fantasma minaccioso dell’ “antipolitica”. Come possono non chiedersi, le donne che oggi si battono per un’equa rappresentanza nei parlamenti, nei governi, nelle giunte, nei consigli di amministrazione delle imprese, come si sia andata modificando, dietro la spinta dei movimenti e dell’azione sociale, l’idea stessa di rappresentanza e di democrazia partecipata? Non mi preoccupa la diversità di teorie e pratiche, e neppure la frammentazione  che c’è sempre stata nel femminismo, un elemento di ricchezza e garanzia di continuità se non si traduce in contrapposizioni e cancellazioni reciproche.  Mi spaventa la facilità con cui si demolisce , ogni volta che nascono nuovi gruppi e iniziative di donne, quel poco di storia che abbiamo alle spalle e che andiamo faticosamente, pazientemente costruendo.

11-05-2012

 

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