Liberazione: non una fine ma solo l’inizio di un’altra sinistra
di Lea Melandri

Con la destituzione di Piero Sansonetti, Liberazione non perde solo un direttore, ma, da quello che si è potuto capire dalle lettere e dagli articoli comparsi sul giornale negli ultimi mesi, una componente rilevante di lettori, lettrici, collaboratori, collaboratrici, e ampia parte del suo collettivo redazionale.
Una volta imboccata la strada del frazionamento, del settarismo, della ricerca compulsiva dell’omogeneità e della purezza del gruppo di appartenenza, non c’è limite che non possa essere oltrepassato, fino alla polverizzazione.
Sotto questo profilo, come ho già scritto altre volte, ciò che sta accadendo all’interno del Prc e nella vicenda di Liberazione, è emblematico della storia, molto più lunga e tormentosa, del o dei partiti che si sono via via arrogati l’identità ‘comunista’, difendendola ogni volta da possibili tradimenti, contaminazioni, storture ideologiche.

Come insegna la sorte toccata ai gruppi-partito extraparlamentari di ispirazione marxista-leninista degli anni ’70, la frammentazione, motivata e perseguita sempre come necessario ritorno alle ‘autentiche’ radici di massa, porta invece, fatalmente, a un esito opposto.
Allora, come scrisse Elvio Fachinelli nel suo saggio Il paradosso della ripetizione, si videro spuntare “fortezze ideologiche al limite del deserto”, oggi, purtroppo, solo il deserto.
Il rimprovero che si fa a Sansonetti, di aver optato per la minoranza del partito, anziché rispettare ideologicamente la parte vincente all’ultimo congresso, addotto ora come motivo della sua sostituzione, appare, a dire la verità, molto poco credibile, se si tiene conto che l’ostilità dichiarata e il boicottaggio del giornale da parte di molti militanti c’era da prima della sconfitta elettorale e del congresso di Chianciano.
E poi cosa significa “fare un giornale di partito”, quando i partiti oggi sembrano tarantolati, spinti da una parte all’altra da correnti che cambiano direzione da un giorno all’altro, quando, contro ogni sensatezza, ci si riunifica da una parte dividendosi dall’altra, e ci si divide per riunificarsi altrove?
La forma-partito, già messa in discussione, per quanto riguarda la sinistra, da quello straordinario ripensamento della politica che è stato il ’68, arriva oggi al capolinea e rivela in pieno tutta l’arrogante fragilità di chi ha saputo erigere solo barriere al rinnovamento o saltare da un trasformismo all’altro, alla rincorsa di un consenso sempre più esiguo.

Col cambio di direzione, si interrompe anche l’esperienza “unica”, come ha scritto ieri un gruppo nutrito di redattori, che ha fatto di Liberazione  un singolare spazio collettivo in cui raccogliere e mettere a confronto forme organizzate della politica e movimenti, gruppi,  pratiche sociali, che in Italia non mancano, ma che hanno sofferto di una inspiegabile marginalizzazione e messa sotto silenzio, proprio da parte di chi avrebbe dovuto farne dei preziosi interlocutori.

Viene da pensare, amaramente, che al di là dei proclami verbali e delle alleanze del momento, le aperture, le nuove pratiche politiche, che sono andate crescendo e radicalizzandosi, in una direzione imprevista rispetto alla tradizione dei partiti comunisti e del movimento operaio, siano, in realtà considerate, dalla sinistra organizzata, più temibili della propria stessa fine o comunque associate ad essa.
Ringrazio Piero Sansonetti, Angela Azzaro, Carla Cotti, e altre redattrici e redattori che ho avuto modo di conoscere attraverso gli scritti del giornale, per avermi permesso, nei quattro anni di collaborazione, di ritrovare passioni, arricchimenti di pensiero, speranze di cambiamenti possibili, incontri che non finiranno certo con questa momentanea ‘discontinuità’. 
La ‘liberazione’, anche quella dai dogmatismi che spesso si accompagnano ai più insospettabili intenti rivoluzionari, è un movimento delle coscienze, prima ancora che una pratica politica, e come tale, una volta avviato, non si fermerà al primo ostacolo. Anziché prospettarsi una ‘fine’, perché non proviamo a pensare che sia solo l’inizio di un’altra sinistra, capace di ripensare criticamente il proprio passato e il suo possibile rinnovamento?

 

pubblicato da Liberazione del 11 gennaio 2009

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