Questa nuova forza di sinistra resterà nel dominio maschile ?
di Lea Melandri


 

Sebbene si discuta da mesi di un nuovo soggetto politico alla sinistra del neonato Pd, la serata su La7 ("Ottoemezzo" del 3 maggio), ospiti Franco Giordano, Oliviero Diliberto, Gavino Angius, e Paola Agnello Modica della Cgil, ha avuto l’effetto di una presentazione ufficiale, come quando nei paesi, dopo una lunga frequentazione pubblica, le famiglie costringevano gli innamorati a fidanzarsi in casa.
E quale casa più autorevole oggi della televisione? Quale comunità più estesa e più curiosa degli imperscrutabili disegni del potere della massa degli spettatori serali?
Il fervore, gli amorosi richiami con cui i leader dei partiti di sinistra si rivolgono gli uni agli altri sono riusciti a far balenare un’unità di intenti anche là dove impazzano frazionamenti e riaggregazioni. Se mi soffermo sull’accorato appello di Diliberto ai suoi compagni di partito, perduti e oggi ritrovati  -“Io, Giordano e Mussi, ma anche Angius e Salvi” (diceva su Liberazione qualche giorno fa), mi viene irriverente all’orecchio un celebre verso dantesco: “Guido io vorrei che tu, Lapo ed io fossimo presi per incantamento…”. Come è seduttiva l’amicizia tra uomini quando, deposti elmetti e corazza, si scambiano abbracci, sorrisi, gesti di un’alleanza antica!
E’ così irresistibile che anche le donne si commuovono, ridono e piangono, dimenticando la parte di assenti-presenti che è stata loro imposta dal sesso dominante. Parlando dell’assemblea che ha dato vita alla “Sinistra Democratica per il Socialismo europeo”, il 5 maggio all’Eur, Rina Gagliardi notava quanto fosse dissonante, rispetto alla “sfilata dei leader (maschi), che ha occupato lo spazio iniziale, acme dell’entusiasmo e dell’attenzione”, il ruolo meramente “testimoniale” toccato alle donne.

Se i congressi dei partiti o delle nuove formazioni, come la Sd, che si sono succeduti nelle ultime settimane, avevano l’obiettivo di ricomporrre in un nuovo assetto, da ‘famiglia allargata’, ‘fratelli’ e ‘cugini’ litigiosi, dal punto di vista spettacolare ci sono sicuramente riusciti. Abbiamo visto contendersi antenati, numi propiziatori ma soprattutto garanti fantasmatici di identità, appartenenze in via di estinzione; abbiamo assistito alla fine di una “diaspora”, col ritorno di Bobo Craxi e Gianni De Michelis nello Sdi, alla ricomparsa di due ceppi parentali, quello socialista e quello comunista, che oggi si dicono ansiosi di ricostruire la “casa” comune.
Non si può dire che la politica non abbia corpi, sentimenti, passioni, fantasie e relazioni intense, il guaio è che li recupera quando si personalizza e si appropria inconsapevolmente di modi, parole, gesti che sono sempre stati del privato. E’ da questa confusa mescolanza che nascono alcune delle più evidenti contraddizioni di un processo di per sé interessante e augurabile.
Si prospetta un nuovo soggetto della sinistra, molteplice e differenziato nelle sue componenti, disposto ad allargare le maglie della struttura partitica per “farsi società”, ma per celebrarne la nascita, si parla di ‘interni’ – case, famiglie, identità- di cui conosciamo i disastri storici. Il “partire da sé”, che nelle pratiche del femminismo era stata l’affermazione rivoluzionaria della politicità del ‘vissuto’ personale diventa “cura” del proprio partito, perché si evitino indesiderati inglobamenti. L’aggettivo ricorrente, per la nuova sinistra, è “democratica.
Eppure non si è mai visto un protagonismo più acritico, ostentato, di leader e ceti dirigenti. Nessuna delle parti politiche interessate desidera, a parole, agglomerati di vertice o la “ristrutturazione di un ceto politico” sempre più minacciato dall’autoreferenzialità, dal varco che si è aperto tra istituzioni, pratiche sociali e vita dei singoli.
Si parla di apertura verso l’altro, il diverso, ma intanto si rinsaldano parentele partitiche; si evocano processi di contaminazione, meticciato, ma nessuno vuole rinunciare alla propria identità, per cui ognuno coltiva l’illusione di poter essere per gli altri “lievito”, “ponte”, “laboratorio” di incontri e condivisioni, cosicchè non si vede più quali siano le sponde o i mondi da mettere in comunicazione. Non so quanto e quanti il travagliato parto della nuova sinistra riesca ad emozionare, al di là dei protagonisti quotidianamente in scena e delle assemblee coinvolte.
Se ne indicano le necessità oggettive: il vuoto che si è aperto a sinistra del Pd, il dilagare di posizioni reazionarie, “razziste, illiberali, xenofobe, fondamentaliste” (Sansonetti), il bisogno di dare rappresentanza al mondo del lavoro (Rossanda), e soprattutto la crisi della politica.
Si dà per scontato che il vissuto soggettivo delle persone che dovrebbero essere interessate e sostenere il cambiamento combaci automaticamente con l’analisi ‘di fatto’. Ma quello che più induce indifferenza nella maggior parte dei cittadini o rabbia nei pochi che seguono queste vicende con sincero interesse, è lo scarto che si registra ogni volta tra i propositi dichiarati  e la loro applicazione concreta.

Il rinnovamento culturale e politico che è cominciato all’interno di Rifondazione comunista con la scelta della non violenza, intesa come critica a tutte le forme di potere, ha preso concretezza e visibilità nella Conferenza di Massa Carrara, dove è stato affrontato in modo non equivoco, sotto la voce “democrazia di genere”, il rapporto uomo-donna.
Nella relazione conclusiva di Franco Giordano, la denuncia del ‘maschilismo’, che poteva passare inosservata nell’elenco di altre storture—burocratismo, centralismo, separatezza-, ha lasciato invece intravedere lo spostamento che il femminismo chiede da anni: dalla “questione femminile” all’analisi del dominio maschile, dalla risposta allo svantaggio storico delle donne all’interrogativo più  radicale sul fondamento originario della pòlis.
“C’è un problema di tempi e di liturgie nel nostro modo di lavorare. E per noi maschi c’è un problema che riguarda l’abbandono di ogni universalismo neutro e del riconoscimento della nostra parzialità, di dismettere il narcisismo che è sempre il segno più pubblico del cerimoniale del potere”.
Piero Sansonetti ha indicato come punti di riferimento del ‘cantiere’ della nuova sinistra: la lotta al liberismo, il pacifismo, il femminismo. Ma l’ultima voce dell’auspicato terremoto della ‘politica separata’ è quello che sparisce con più rapidità, di cui non si dicono con chiarezza tutte le implicazioni, soprattutto quelle che imporrebbero agli uomini di interrogare la storia del proprio sesso: la maschilità.

Non basta dichiararsi “pacifisti”, se non si dice che la violenza più antica è quella che ha costruito sulla diversità sessuale un dominio e, insieme, l’impianto originario di ogni opposizione amico-nemico, umano-non umano; non basta essere “antiliberisti” se non si precisa che lo sfruttamento economico in tutte le sue forme storiche comincia col relegare la donna nella funzione riproduttiva, con l’incredibile menzogna con cui tuttora si contrabbanda come ‘cura’, ‘amore’, ‘dono’, ‘capacità relazionale’, il lavoro gratuito delle donne all’interno delle famiglie.
Rimettere al centro il lavoro  -ha scritto Franco Giordano il 1°maggio- “significa anche rinnovare la critica alle discriminazioni di genere, contrastare perdita di diritti e poteri, mutare il paradigma dello sviluppo in chiave ambientalista”.
La centralità che viene data al lavoro  -e perché non all’amore che nella esperienza precoce di ogni  umano lo precede e che resta per la maggior parte delle persone il desiderio primo, amare e essere amati?- mi fa dubitare che i nessi che vorrebbero portare allo scoperto siano ancora imparentati con una dicotomia nota, tra struttura e sovrastruttura, condizioni materiali e fattori culturali.
Il ‘riequilibrio di genere’, se non si accompagna a un’analisi del sessismo, rigorosa quanto quella che viene fatta costantemente su capitalismo e globalizzazione, se non porta a un ripensamento della separazione ‘persona’ e politica, è destinato a tradursi, come avverte da tempo il Forumdonne del Prc, nella “cooptazione di donne da parte di gruppi di potere… Perché nulla cambi?”.



questo articolo è apparso su
Liberazione dell' 11 maggio 2007