“L’identificazione non con il bambino (persona distinta dalla madre) ma con il feto (parte indifferenziata della madre) è alla base degli interventi ‘per la vita’ del papa, un’identificazione che cancella la vita della madre spostandola dalla persona reale a quella virtuale: è la vita del feto, parte nobile della madre, a decretare la vita o la morte di lei…la donna muore e il figlio è la sua rinascita, la sua resurrezione”. La coppia madre-figlio, su cui si può ipotizzare si siano costruite le figure della dualità -femminile/maschile, biologia/storia, corpo/mente, ecc.-, nonostante i cambiamenti che ha subito nel corso del tempo e ad opera di culture diverse, conserva i segni di un amore che si è configurato fin dall’origine indisgiungibile da un atto di guerra: il ‘desiderio primordiale’ del figlio di tornare a fondersi col corpo della madre si è convertito storicamente nel dominio dei padri, nell’imposizione di un modello unico di sessualità, penetrativo e generativo, impugnato come un’arma in difesa dell’identità maschile. La fecondazione diventa allora il traguardo essenziale della sessualità maschile, prova visibile del potere generativo dell’uomo e conferma della sua potenza virile. Se i contadini del mio paese –come di tutti i paesi del mondo- si vantavano al bar di aver messo incinta le loro mogli, Sàndor Ferenczi, uno dei più interessanti allievi di Freud, nel saggio Thalassa (1924), introduce suggestivi scenari marini per attribuire al coito la certezza dell’uscita da pericolose acque materne: Abituati come ormai siamo, dalle tecnologie riproduttive, a parlare di spermatozoi e ovociti, gameti e embrioni, come fossero persone, la “favola filogenetica” di Ferenczi, che vede nel “membro virile” un “piccolo Io in formato ridotto”, spinto dalla nostalgia a tornare alla sua dimora originaria, e a riattraversarla per essere sicuro della propria nascita, non può che fare tenerezza. Rispetto all’ “immacolata concezione” del culto cattolico di Maria e all’ “immacolata fecondazione” dei laboratori scientifici, dove il desiderio e la sessualità scompaiono persino dalla memoria, il corpo a corpo tra l’uomo e la donna qui è ancora al centro della nascita, prima di sparire dietro l’abbraccio fusionale, desiderato e temuto, della madre e del figlio. Non sfugge a Ferenczi l’aspetto “cruento” del coito: la lotta di due avversari che tentano di “forzare l’accesso al corpo dell’altro”, le armi che garantiscono il privilegio maschile, le compensazioni dietro cui la donna nasconde la sua sconfitta. La campagna contro l’aborto e il fronte opposto, schierato alla difesa delle leggi che in vari Paesi del mondo ne garantiscono la praticabilità, hanno quasi sempre in comune, oltre al rituale ossessivo della ripetizione, la tendenza a farne una “questione femminile”, sia che la vedano come colpa, dramma, o autodeterminazione, libertà di scelta della donna. Gli uomini, nella veste di accusanti o di difensori solidali, possono parlarne con la distanza di chi non è parte in causa, con la premura o la violenza di chi sa di avere a che fare con la ‘risorsa’ più preziosa per la continuità della specie. Mi stupisco sempre, dopo oltre trenta anni di femminismo, che si possa parlare di gravidanze, desiderate o indesiderate, senza risalire a quell’antecedente che è la sessualità. Eppure sono tante le ragioni che spingono verso questa ‘cesura’, a partire dalla forza con cui il movimento delle donne ha attaccato l’identificazione della donna con la madre, per arrivare all’effetto di cancellazione operato dalle tecnologie riproduttive, al lento spostamento della nascita fuori dal corpo della donna, fuori da corpi pensanti e desideranti, sedimento di storie individuali e collettive. La ‘naturalizzazione’ del rapporto tra i sessi affiora oggi vistosamente sulla scena pubblica come riduzionismo biologico, e trova al suo fianco l’alleato di sempre: la religione. Ma, insieme al fondamento ideologico di un dominio divenuto ‘senso comune’, struttura portante e indiscussa di tutte le civiltà costruite dall’uomo, si va facendo strada anche la consapevolezza della centralità che ha avuto finora la coppia madre-figlio nello sviluppo della storia umana. L’ “immaginario sacro cristiano” - come nota Luisa Accati- non ammette l’Eros, anzi rappresenta la fertilità come una madre casta”, ma la mariologia è “carica di fantasmi incestuosi”, che oggi, per arginare il ‘libertinismo’ sessuale delle donne, trascolorano nella fredda, necrofila sacralizzazione di feti e embrioni. Nell’affannosa corsa per portare il figlio in salvo dal risorto ‘potere di vita e di morte’ delle madri, la schiera degli ecclesiastici si è sorprendentemente arricchita di “atei devoti”, di “comunisti creaturali”, di politici ‘realisticamente’ decisi a cercare consenso a qualunque costo. Spirito di crociata e pragmatismo cinico contribuiscono a spingere il sacro verso le sue più arcaiche parentele con la magia, il sensazionalismo, l’orrido e lo stupefacente, che la televisione ha oggi il potere di amplificare, contaminare e diffondere a dismisura. Ne abbiamo avuto un saggio nella diretta di Porta a Porta su Lourdes, altre manifestazioni si annunciano con l’esposizione di reliquie di santi e con la riesumazione del cadavere di Padre Pio. L’ambiguità del sacro -“lordura e santità”, “puro e impuro”- è oggi più che mai scoperta, mentre sembra scomparire la materia prima del “perturbante”: il corpo femminile, la sua fantasmatica onnipotenza generativa e sessuale. In una insolita ‘scrittura di esperienza’ -Arnaldo Bressan, Esercizi laterali di piacere (edizioni del leone 1993)- il legame tra sessualità e fecondazione svela l’immaginario che lo sorregge, il desiderio incestuoso che impronta la vita sessuale adulta, piegando la relazione tra uomini e donne verso quel primo corpo a corpo che formano insieme la madre e il figlio. “Solo nell’eventualità o nel rischio dell’impregnanza il piacere è obbligato alla propria profondità, intensità e luce…La capisco. Infine, rischia lei sola: il ventre ‘occupato’ per nove mesi, il, parto, le conseguenze. Ma soltanto se considera la gravidanza un peso, dolore il parto e la maternità una schiavitù: se non esce dal banale e dal kitsch e non li sente come passaggi di piacere simili a quelli che dall’alba la conducono, fatalmente, al mezzogiorno di sé.” “Lo si chiami neotenia, simbiosi, istinto, bisogno, amore materno, piacere: lei riepiloga in esso l’evoluzione e la storia, nostra e di ogni altra specie; e soltanto in questo senso di onnipotenza si svela l’irrefrenabile mistero per cui sulla Terra, ogni anno, centinaia di milioni di donne partoriscono dove le condizioni per farlo sono più proibitive; e che da noi ci siano donne che letteralmente impazziscono pur di avere un figlio.” La “carne più bramata”, quella di cui ogni essere umano conserva memoria e “privati simboli corporei”, è la stessa che incontra nella sua vita sessuale adulta, cristallizzata nel ruolo che le ha assegnato un ‘ordine’ senza tempo: genere, entità collettiva senza volto, “centro” di quella “vasta cattedrale” che è l’infanzia -per usare una suggestiva immagine di Virginia Woolf-, ma anche linea continua di una dipendenza filiale che finisce quasi sempre solo con la morte.
questo articolo è apparso nell'inserto domenicale di Liberazione del 17 febbraio 2008 con il titolo Il segreto dei feticisti: concupiscono la madre |