Chi educherà l’Occidente

di Lea Melandri


Ci sono notizie il cui significato acquista in ampiezza e profondità quando vengono accostate. Sui giornali del 17.6.09 comparivano, distanti per latitudine e diversità dei contesti in cui sono avvenuti, due fatti di violenza, uno a Milano e l’altro a Napoli, e un’iniziativa del governo svedese additata al lettore italiano per la sua esemplarità.
Il denominatore comune sta nell’incontro-scontro tra cittadini dell’Occidente e immigrati, tra un mondo che si pensa come il miglior mondo possibile, modello di civiltà per gli altri popoli, e la massa dei nuovi ‘barbari’ che dall’interno oggi ne minaccia l’integrità.
Il coraggioso esempio svedese. Educazione sessuale per immigrati” è il titolo del commento di Silvia Vegetti Finzi che compare sul Corriere della sera, a sostegno di un provvedimento governativo, in ambito europeo, che avrebbe il merito di aprire un dialogo diretto, sia pure “dissimetrico”, tra il “padrone di casa” e “chi bussa alla sua porta per chiedere ospitalità”.

Più ancora che la lingua e l’educazione civica, al centro della “integrazione” che viene richiesta allo straniero è la diversità di norme, convinzioni e abitudini, che passerebbe nel rapporto tra i sessi.

Pur riconoscendo la difficoltà di un intervento educativo che mette in discussione l’identità personale e collettiva dell’altro, suscitando “arroccamenti inevitabilmente ostili”, Vegetti Finzi è convinta che la prossimità, la parola, siano sufficienti a creare uno “scambio trasformativo per entrambi”, l’occasione per riconoscersi appartenenti alla “comune umanità”.

Peccato che proprio ciò che culture diverse hanno di comune –e cioè il patriarcato e la barbarie che si porta dietro sotto qualunque cielo- venga attribuito a una parte sola, quella che va ‘educata’, costretta a farsi un passaporto di ‘incivilimento’. L’abitudine a porre se stessi come misura indiscutibile di ogni cosa è così connaturata a chi è sempre stato dalla parte vincente della storia, che gli orrori, le manchevolezze di casa propria, passano del tutto inosservati.
La violenza che attraversa il rapporto tra i sessi, così come la mancanza di solidarietà e di senso civico verso chi si trova in condizioni di bisogno, dovrebbero colpire molto di più là dove più marcate sono state le conquiste di benessere, democrazia, libertà individuale. La frequenza di omicidi famigliari e di maltrattamenti nei confronti delle donne, il mercato del corpo che passa come emancipazione, l’insignificanza o la totale subalternità della presenza femminile nell’economia e nella politica, dicono quale vuoto irresponsabile di ‘educazione civica e sessuale’ ci sia nel nostro come in altri Paesi dell’Occidente.

A Milano, in via Gallarate, la notte del 16.6.09, due finanzieri in divisa avvicinano una prostituta romena, la caricano sull’auto di servizio e la costringono, contro sua volontà, a un rapporto orale.
Lo stesso giorno, la televisione diffonde il filmato di una telecamera della stazione della Cumana di Montesanto, a Napoli, che riprende l’omicidio di un giovane suonatore ambulante rumeno, colpito per errore da un gruppo di camorristi.
La piccola folla attorno si disperde rapidamente senza prestare alcun soccorso al morente e alle grida della moglie, e non manca chi cerca comunque di timbrare il suo biglietto o di rispondere al cellulare.

Chi educherà l’Occidente ‘civile’ ai principi più elementari di umanità, a riconoscere dietro le ‘magnifiche e progressive sorti’, a cui ha ispirato la propria storia, la brutalità primordiale della specie, mai del tutto estinta, quella che vede nel diverso, sia esso la donna o lo straniero, l’essere inferiore o l’oggetto di cui disporre a piacere, su cui riversare il proprio malessere, e dare fondo alla propria aggressività?
Negli ultimi anni, la violenza crescente, o semplicemente più denunciata dall’informazione e dalle manifestazioni di protesta, contro le donne e gli immigrati, ha permesso di aprire uno spiraglio sulle forme più arcaiche del potere, che continuano a insidiare anche le civiltà più evolute.
Ma, a quella ‘rivoluzione culturale’, che, unico rimedio, potrebbe affrontare il fenomeno alla radice, nessuno sembra voler mettere mano.
Il modello di cittadinanza, verso cui si stanno orientando la televisione, la pubblicità e la comunicazione visiva in genere, a uso e consumo del mercato, ha finito per accreditare un immaginario finora ritenuto irrappresentabile, senza che nessun pensiero critico, nessuna analisi dei comportamenti e delle relazioni umane sia entrata nell’educazione precoce degli individui, nella scuola, nei luoghi della socializzazione, nella nuove forme di convivenza.
Le strade delle città si vanno riempiendo di forze dell’ordine di natura ambigua, la sicurezza che lo Stato promette al cittadino riesce sempre meno a nascondere l’insidia insospettabile dell’aggressione, lo zelo educativo rivolto allo straniero si rivela per quello che è: l’estremo tentativo di distogliere lo sguardo dai disastri di casa nostra.
Dispiace che siano proprio figure rappresentative della cultura del nostro Paese a favorire una torsione che potrebbe rivelarsi tragica di fronte all’imbarbarimento crescente.

pubblicato su L'altro del 19 giugno 2009

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