Corteo separato delle femministe:
aderiscono all’appello, le delude una sinistra che non cambia il rapporto uomo-donna

Intervista di Laura Eduati a Lea Melandri

 

Laura Eduati

Uno spezzone del corteo fuori del corteo, è il Fuori Programma delle femministe che si daranno appuntamento in piazza Esquilino con fischietti e striscioni per sottolineare la protesta contro un 20 ottobre che «non dà ascolto alle ragioni per le quali ho firmato l’appello». A parlare è Lea Melandri, che oggi si presenterà ironicamente come donna-sandwich, «un cartello sul lato A e un cartello sul lato B».

 

Manifestazione “separatista” come negli anni ’70. Perché?

Non mi illudevo che i piccoli riferimenti dell’appello per il 20 ottobre (contro una politica fatta di soli uomini e critica al patriarcato) diventassero la pietra angolare della protesta, ma un fatto è certo: la manifestazione si è allontanata dalle istanze iniziali. Ormai è diventato un corteo contro il protocollo del welfare e una prova della riunificazione delle sinistre. Che va anche bene. Ma che cosa c’entrano le femministe?

 

Che cosa non hanno capito i promotori?

Il femminismo nacque all’interno della sinistra extraparlamentare che voleva rivoluzionare tutto tranne il rapporto uomo-donna. A 40 anni di distanza incontriamo, su questa tematica, lo stesso muro.

 

Non è una autoghettizzazione, la vostra?

Si può avere un rapporto conflittuale dove c’è ascolto reciproco. In questa manifestazione sembra esserci spazio soltanto per la questione del lavoro, dunque non c’è spazio per me e per Aurelio Mancuso (presidente dell’Arcigay, ndr). Speravo che il 20 ottobre creasse momenti di incontro. Dicono che noi, firmatari dell’appello, siamo degli intellettuali. Sì, è vero, siamo persone di cultura. Ma prima di tutto siamo persone che animano movimenti e fanno politica. Se si vuole avere un rapporto con i movimenti, come il Prc dice di volere, bisogna dare un segnale concreto.

 

Quale?

Devono capire che la questione dei sessi non è un tema accanto agli altri ma è un punto di vista sulla realtà che attraversa tutte le tematiche. Non puoi parlare del lavoro senza parlare della divisione sessuale del lavoro, come il lavoro gratuito delle donne nelle case. Ho letto l’intervista di Cremaschi su Ratzinger e la precarietà, entrambi condannano questa condizione perché non permette di fare figli. Un filo li unisce. Da decenni le femministe ripetono che produzione e riproduzione, amore e lavoro non sono disgiunti e che la sfera privata porta tutti i segni della sfera politica. Se si vuole combattere il capitalismo, che è sfruttamento dell’uomo sull’uomo, bisogna anche lottare contro lo sfruttamento originario dell’uomo sulla donna. Giordano l’ha capito, quando dice che il capitalismo ha inglobato gli altri dominii.

 

Dunque il 20 ottobre è una cosa di uomini?

Purtroppo sì. Nutro delle speranze per il processo di riunificazione, ma ho seri dubbi sulle nostre istanze perché sento parlare un soggetto monosessuato e maschile. E’ ancora una affare di uomini, di palazzo, di ceto politico.

 

Non è cambiato proprio nulla negli ultimi anni?

Sicuramente. Le femministe con pratiche separatiste hanno cominciato a fare assemblee con le donne impegnate nella politica e nel sindacato, segno dell’interesse per la politica istituzionale che negli anni ’70 mancava, impegnate come eravamo a conquistare autonomia dal pensiero maschile. La ripresa del movimento femminista è stato stimolato anche dall’emergere di dati impressionanti sulla violenza domestica, sebbene i media e la politica continuino a considerarli fatti di cronaca, raptus improvvisi, e non fatti inseriti in una storia millenaria di dominio. Io rimprovero a questa sinistra e trovo imperdonabile e ignobile che non ci sia una parola pubblica su questo, da parte dei politici e degli intellettuali. Devono dire: ci riguarda.

 

Come potranno le donne prendersi ciò che spetta loro?

Gli uomini si accaniscono sul corpo da cui sono nati mentre le donne sono portate dalla cultura maschile a rendersi indispensabili all’interno della famiglia perché questo è l’unico potere che è stato loro concesso. Allora bisogna riflettere sulla famiglia, sui rapporti sentimentali, sul privato. Ecco, bisogna partire ancora dal privato, sciogliere le relazioni che ci sembrano naturali e non lo sono. Ma questa volta, a differenza degli anni ’70, voglio entrare in conflitto anche con la politica istituzionale perché non gliela voglio dar vinta.

 

Questo articolo è uscito su Liberazione del 20 ottobre 2007