L’autonomia insolita di
Ségolène
di Lea Melandri
Se gli uomini non avessero fissato in una immobilità senza tempo i ruoli
opposti e complementari del maschio e della femmina, nessuno definirebbe
un “terremoto” gli avvenimenti recenti che hanno visto l’elezione o la
candidatura di alcune donne alle cariche più alte dello Stato. Ma così è
andata la storia e oggi che le parti cominciano a confondersi ben vengano
i “fiumi di inchiostro” che si interrogano per capire di che entità sia la
scossa, da quali profondi squilibri sia stata provocata, quali nuovi
assestamenti stia preparando e che nomi darle.
Nancy Pelosi, Hillary Clinton, Ségolène Royal, sono sicuramente le figure
emblematiche di una “svolta” destinata a segnare profondamente
l’immaginario e la coscienza collettiva, ma quanto sono tra loro
assimilabili, quanto conta nella loro eccezionale riuscita il fatto di
essere donne, e, soprattutto, di che successo si tratta? Da sponde
diverse, viene fatto notare che «in politica non tutte le donne sono
donne» (Il
Foglio, 17.11.06), che «le donne al potere sono come gli uomini
al potere» (Roudinesco, Liberazione, 18.11.06), da cui si deduce che la
femminilità, su quella scena tutta maschile, o neutra come la si è sempre
rappresentata, non può avere alcun peso, e se ce l’ha, è legittimo il
sospetto che sia strumentale, “un’operazione di marketing”.
Tutti sanno che far carriera politica è ormai una professione - che vuol
dire saperi, linguaggi, competenze particolari; ma è soprattutto
l’esercizio di un potere “virile” fin dalle sue lontane origini. Se le
donne che tentano la scalata, strada facendo si uniformano al sistema già
dato, per subalternità, per adattamento o per il piacere della sfida ad
armi pari, non dovrebbe sorprendere, almeno non quanto la capacità di
alcune di loro di conciliare col duro apprendistato politico le
tradizionali funzioni di moglie e madre.
Vedere la propria simile nei luoghi che sono stati storicamente
appannaggio dell’altro sesso, sicuramente fa crescere bambine e giovani
donne con una percezione diversa di sé, ma se non intervengono altri
cambiamenti il rischio è di vivere una doppia colonizzazione.
La maggiore fissità o permanenza di prototipi antichi è sicuramente quella
che, incapace di cogliere i segni di un mutamento nel modo di essere di
uomini e donne, si affanna a ricucirvi sopra le maschere note del maschile
e del femminile.
La bellezza, l’eleganza, la pragmaticità, la seduzione, la capacità di
reperire fondi, i legami affettivi, appartengono a un sesso quanto
all’altro, ma a nessun commentatore verrebbe in mente, se avesse di fronte
un uomo politico, di notare se ha denti perfettamente bianchi e allineati,
se veste sobrio o vistoso, se ha fianchi larghi, se sorride troppo o poco,
se sta con la schiena dritta o curva, se vuole sedurre o convincere. Tanto
meno si soffermerebbe sulla sua vita privata, figli, mariti, amanti,
attitudini domestiche. Ma è quello che quasi tutti i giornali hanno fatto,
e che è apparso in tutta la sua evidenza, contraddittorietà e goffaggine
proprio là dove si profilava una figura diversa, come quella di Ségolène
Royal.
Ha fatto eccezione Bernardo Valli (Repubblica
18.11.06) che ha via via preso a delineare una figura complessa,
portatrice di un nuovo linguaggio, un modo di far politica fuori dagli
schemi tradizionali, un’autonomia da modelli sia femminili che maschili.
«Ségolène ha sempre dato l’impressione di non far parte del circolo degli
eletti. Ne ha rifiutato gli atteggiamenti e il linguaggio. Questo rifiuto
la fa apparire non solo diversa ma nuova. Benché ne faccia parte, risulta
estranea all’élite della classe politica, sempre più impopolare nella
società civile... Attacca puntualmente la destra e gli abusi dell’economia
di mercato. E lo strapotere dei ricchi e la disattenzione verso i deboli
di chi governa. Ma senza i soliti slogan. Cita piuttosto esempi concreti e
racconta le sue esperienze. Entra nei dettagli della vita quotidiana,
nelle famiglie, nelle scuole, negli ospedali, nei luoghi di lavoro. C’è in
Ségolène Royal il gusto della trasgressione. Che applica con un esemplare
perbenismo…E’ riferendosi a lei che il panorama politico si ridisegna».
In altri commenti, tra cui quello della psicanalista Elisabeth Roudinesco,
la “novità” di Ségolène viene invece riportata a vecchie equivalenze tra
femminile, emozioni, apparenza, seduzione. E’ interessante notare come
questa visione semplificata e dicotomica si allarghi fino a includere in
un femminile svalutato e minaccioso un’intera società, in quelli che sono
oggi i suoi aspetti più nuovi, anche se discutibili. Dice Roudinesco,
nell’intervista riportata da Liberazione: «La nuova generazione dei
politici pratica una “politica-media”: una politica che fa leva
sull’apparenza più che sui contenuti…La politica sta uscendo dai partiti e
sta entrando nell’opinione. I partiti perdono potere e se questo finisce
nelle mani delle emozioni della società civile, in balia delle immagini e
dei media, allora siamo in pericolo». Apparentemente la critica di
Roudinesco, come quella di altre politiche e femministe francesi, non si
appunta sulla femminilità - «Non credo che abbia successo perché è una
donna» - ma di fatto, ad essere confuso in un femminile che porta segni di
negatività e pericolo, e come tale rifiutato, è tutto il lavoro di
Ségolène, il rinnovamento che essa rappresenta per la sinistra francese e,
in genere, per la politica tradizionale.
E’ proprio sul rapporto tra società civile, opinione pubblica, partito e
sfera privata - coppia, figli, ruoli genitoriali - che Ségolène Royal sta
dimostrando un’autonomia insolita da schemi noti, contrapposizioni e
complementarietà date come naturali. Chi le rimprovera la solitudine e la
forte convinzione personale, le incertezze e le inclinazioni autoritarie,
repressive, sembra non voler vedere la difficoltà di aprire strade nuove,
in un terreno minato da storiche complicità maschili, appartenenze,
gerarchie, obblighi di fedeltà.
L’ascolto dell’opinione dei cittadini, soprattutto dei più svantaggiati,
l’appello perché facciano sentire le loro idee e la loro volontà di agire,
ha preso corpo in un Forum lanciato su Internet - “Desideri di avvenire” -
a cui tutti possono partecipare, discutendo, facendo proposte; ma si è
tradotto anche in un interessante laboratorio di democrazia partecipativa
in un liceo, vicino a Poitiers, dove studenti, genitori, personale
scolastico e funzionari della Regione decidono insieme in assemblea come
destinare i fondi pubblici per la scuola.
Quello che ad alcuni è parso il limite della formazione di Royal, essere
passata attraverso ministeri poco “virili”, come l’Ambiente, l’Istruzione
scolastica, la Famiglia e l’Infanzia, è, in realtà, l’esperienza che le ha
permesso, non importa quanto consapevolmente, di ribaltare alcune priorità
della tradizionale agenda politica e di cogliere alcuni dei problemi
essenziali di una società in via di cambiamento.
Ordine, sicurezza, autorità, temi che la sinistra rimprovera a Ségolène di
aver fatto propri, varcando uno dei confini ideologicamente più netti
rispetto alla destra, se visti in un modo “giusto”, cercando di affrontare
alla radice le cause che li muovono, possono colmare quel vuoto tra
l’inquietudine delle classi popolari e l’intellettualità politica che è
alla base della crisi dei partiti e, in generale, della democrazia.
Oggi, nella “civile” Europa, che agita il fantasma dello straniero,
barbaro e aggressivo, ci si affanna in realtà per arginare un’ondata di
violenza, cinismo, indifferenza, che avanza dai suoi interni di famiglia,
dalle sue classi sociali benestanti, dai suoi figli più curati, dalle sue
scuole, dai luoghi primi essenziali della formazione dell’individuo e
della società. Eppure, la classe politica sembra ancora lontana, sorda,
incapace di affrontare l’onda che monta e che oggi ha nomi precisi:
razzismo, sessismo, qualunquismo, indifferenza.
Il programma di Ségolène, che chiunque navighi in Internet può visitare in
migliaia di siti, parla di educazione alla cittadinanza, di nuove forme di
genitorialità e di convivenza, di alternative al carcere per la
delinquenza minorile, di una campagna di sensibilizzazione contro la
violenza: una responsabilizzazione collettiva che mette sullo stesso piano
la giustizia sociale, i problemi del lavoro, l’immigrazione, le politiche
internazionali con il deterioramento del legame sociale, il ripensamento
dei processi educativi, a partire dalla prima infanzia.
Alcune proposte sono discutibili, come l’idea di scuole per genitori i cui
figli commettano atti di inciviltà, e la sospensione degli assegni
famigliari; il progetto di impegnare i minori che delinquono in azioni
umanitarie nel Terzo mondo, inquadrandoli in strutture militari. La figlia
di un colonnello di artiglieria, quale è Ségolène, traspare dietro la
donna politica che già si sente chiamata da una eccezionale investitura a
un “grande dovere”, che dice di sé di non essere “autoritaria” ma
“esigente”.
Anche del rapporto tra i sessi non viene detto niente esplicitamente, e
neppure si fa accenno al femminismo, ma ci sono segnali indiretti,
maturati dall’esperienza personale, che valgono quanto una lunga
militanza. «Prima di abbracciare l’idea socialista, ciascuna e ciascuno di
noi si è alzato contro un’ingiustizia che gli sembrava intollerabile.
Quanto a me fu il rifiuto del ruolo assegnato alle donne dalla tradizione
che mi ha aperto gli occhi e ha improntato sempre il mio impegno. Dalla
padronanza del proprio corpo fino alla battaglia ancora incompiuta per
l’uguaglianza professionale e politica, senza dimenticare la sorte toccata
alle donne ridotte in schiavitù in troppe parti del mondo». (dal
sito Toute l'actu).
questo articolo è apparso in
Liberazione
del 24 novembre 2006
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