Parentele insospettabili
di Lea Melandri


Silvia Levenson

Ci sono parentele insospettabili. Molti non le riconoscono, altri, avendole intraviste, preferiscono ignorarle. La più antica e la più duratura è quella che lega l’amore all’odio, la tenerezza alla rabbia, la vita alla morte.

Si distrugge per conservare, si uccide per troppo amore, si idealizza l’appartenenza a un gruppo, una nazione, una cultura, per differenziarsi da chi ne è fuori, visto come estraneo o nemico.

Anziché limitarsi a deprecare la violenza, invocando pene più severe per gli aggressori, più tutela per le vittime, forse sarebbe più sensato gettare uno sguardo proprio là dove non vorremmo vederla comparire, in quelle zone della vita personale e pubblica che hanno a che fare con gli affetti più intimi, con le gioie e le sofferenza di ogni essere umano, con tutto ciò che ci è più famigliare, ma non per questo più conosciuto.

Gli omicidi, gli stupri, i maltrattamenti fisici e psicologici che hanno come oggetto le donne, sono oggi ampiamente documentati da allarmanti Rapporti internazionali, riferiti dalle cronache dei quotidiani, gridati in prima pagina quando sono particolarmente crudeli o spettacolari. Ma nessuno sembra trovare inquietante che il corpo su cui l’uomo si accanisce sia quello che gli ha dato la vita, le prime cure, le prime sollecitazioni sessuali.

A uccidere, violentare, sottomettere, sono prevalentemente mariti, figli, padri, amanti, incapaci di tollerare pareti domestiche troppo strette, abbracci assillanti o abbandoni che lasciano scoperte fragilità e dipendenze maschili insospettate. Quando l’aggressore non ha il volto dello sconosciuto o dello straniero che si incontra casualmente per strada, ma siede alla stessa tavola, dorme nello stesso letto, anche l’offesa perde i suoi contorni, trova comprensione, produce adattamenti o resistenze sotterranee.

La famiglia prolunga l’infanzia ben oltre il bisogno del singolo individuo, costruisce legami di indispensabilità reciproca e arma silenziosamente la mano che tenterà di strapparli.

Il luogo che tutti vorrebbero al riparo di una società sempre più conflittuale, conserva il più lungo e il più enigmatico dei domini che la storia ha conosciuto: la guerra mai dichiarata che porta l’uomo, mosso da desideri e paure antiche, a celebrare i suoi trionfi sul corpo femminile con cui è stato tutt’uno, e con cui torna a confondersi nell’abbraccio amoroso.

Ma conserva paradossalmente anche il sogno di armonia, unione, appartenenza intima che induce la donna a parlare la stessa lingua di chi le ha tolto storicamente ogni libertà.

Non c’è da meravigliarsi se, erede di quel tragico connubio di violenza e tenerezza, sfruttamento e protezione, che si consuma nell’interno delle case, la civiltà più “democratica” del mondo si è inventata “bombe intelligenti”, “guerre umanitarie”, ricorso alla forza per “sanare” la barbarie di culture diverse.

 

Questo articolo è uscito su "D la repubblica delle donne" del 25 novembre 2006