di Lea Melandri
Per quanto ci si sforzi
di tenerlo fuori scena -che vuol dire anche nell’ambito di ciò che è
devianza dalla norma, oscenità, trasgressione-, il problema delle unioni
civili vi rientra malgrado tutto e torna pervicacemente a occupare le
pagine dei giornali. In questi giorni, la Commissione Giustizia del Senato
comincia a discutere i disegni di legge in merito e ancora non si sa quale
posto sarà riservato ai Dico, il ddl
approvato dal Consiglio dei ministri l’8 febbraio. In questo quadro, mi
sembra che l’unica incertezza appartenga a quei movimenti che, preoccupati
della sorte dell’attuale governo, costretti a tener conto delle scelte
tutt’altro che unanimi dei partiti, oltre che degli sviluppi imprevedibili
dell’iter della legge in Parlamento, ancora non sanno che volto dare alla
loro uscita pubblica, sabato prossimo. Nel volantino di convocazione
diffuso in questi giorni,
Arcilesbica
sottolinea che il riconoscimento delle unioni civili riguarda prima di
tutto le coppie omosessuali che non possono avere diritti in altro modo.
Pur non potendo difendere i Dico, da cui non viene né giuridicamente né
simbolicamente affermata la dignità dell’amore fra persone dello stesso
sesso, ci si augura “che almeno i Dico diventino legge dello Stato”. Mi chiedo se invece non sia il caso di ripensare il problema della governabilità, a cui guarda oggi la maggior parte dei movimenti, convinti che non si possa prescindere sempre e comunque dalla logica dei diritti, e metterlo in rapporto con la necessaria autonomia delle pratiche che nascono fuori da ambiti istituzionali. Parlo volutamente di ‘pratiche’ e non di ‘battaglia di idee’, per evitare il ritorno a una polarizzazione, cultura-politica, che il femminismo ha cominciato a criticare alcuni decenni fa. Le idee naturalmente ci sono, iscritte da quelle stesse pratiche nei comportamenti individuali e sociali, nei saperi e nei linguaggi a cui hanno dato vita, formalizzate in nuove leggi. Ma, come insegnano i giuristi, le leggi non sono mai la traduzione dei pensieri che le hanno originate; nello ‘scarto’ di cui hanno bisogno per immettere esperienze vissute dentro codici di lunga tradizione, molti dei contenuti e delle passioni che vi sono legate, spariscono e riemergono congelati e irriconoscibili. Non sarà diverso
neppure in questo caso, qualunque sia l’esito del dibattito parlamentare
sulle norme che dovrebbero regolare le unioni di fatto. Sul campo resterà
l’interrogativo aperto dal momento in cui qualcuno ha voluto che lo Stato
riconoscesse una forma dell’amore che sfugge all’idea di un ‘ordine
naturale’ modellato secondo la verità biologica della procreazione, e
fatto proprio finora dal patriarcato in tutte le sue forme, religiose e
laiche. La richiesta che sia
riconosciuta la ‘compiuta uguaglianza’ di tutti i cittadini, secondo il
dettato costituzionale, non può ignorare che quando entrano in scena
corpi, sessualità, sentimenti, non si può parlare solo di diritti o di
leggi. Se una parte lo fa, quella avversa sicuramente glielo ricorda. Possiamo anche pensare
che per le menti illuminate il richiamo della Chiesa al suo ‘magistero’
per quelli che considera ‘temi etici’, soggetti all’inalienabile legge
della natura e di Dio -secondo l’interpretazione che essa stessa ne da-,
sia una pretesa scandalosa e risibile al medesimo tempo, tanto da poterla
liquidare con una battuta. Ma se ne vediamo i riflessi radicati nel
sentire comune, la questione cambia volto e linguaggio: diventa normalità
e follia, Bene e Male, ordine e caos, appartenenza ed estraneità,
necessità e arbitrio, sicurezza e rischio. I movimenti che, non da
ora, stanno mettendo in discussione la ‘naturalità’ del dominio dell’uomo
sulla donna, della coppia eterosessuale su quella omosessuale e lesbica,
della sessualità procreativa sul libero gioco del piacere, hanno oggi
l’occasione per dare un supporto di pensieri e prospettive adeguato ai
grandi cambiamenti in atto nella società, per impedire che i segnali del
‘reale’ e del ‘possibile’ siano interpretati come sintomi di decadimento e
malattia. articolo uscito su Liberazione del 7 marzo 2007 |